Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3938 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3938 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 3901-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

2013
3490

SALVAGNINI ITALIA SPA;
– Intimato –

Nonché da:
SOCIETA’ SALVAGNINI ITALIA SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

Data pubblicazione: 19/02/2014

,

in ROMA VIALE PARIOLI

43,

presso lo

studio

dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIVA
GIUSEPPE giusta delega a margine;
– controricorrente incidentale –

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controri corrente a ricorso incidentale

avverso la sentenza n. 55/2007 della COMM.TRIB.REG. di
VENEZIA, depositata il 15/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/12/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato GENTILI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato TIENGO delega
Avvocato PIVA che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale, assorbito
l’incidentale.

contro

3901-09

Svolgimento del processo
Sulla base delle risultanze di un verbale di constatazione
della guardia di finanza, l’agenzia delle entrate, ufficio
di Vicenza, notificava alla Salvagnini Italia s.p.a. un
avviso di accertamento, contestandole, ai fini dell’Irpeg

e dell’Ilor per gli anni 1996 e 1997, l’indebita
utilizzazione di eccedenze d’imposta conseguenti a una
complessa operazione societaria, ritenuta elusiva ai sensi
dell’art. 10 della 1. n. 408 del 1990; nonché l’omessa
contabilizzazione di una plusvalenza derivata dalla
retrocessione, e dalla conseguente assegnazione, di
crediti ai propri soci.
La

società

proponeva

opposizione

affermando
)
l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 10 citato e
l’inesistenza della plusvalenza.

L’adita commissione tributaria di Vicenza accoglieva il
ricorso sul duplice rilievo (a) che l’ufficio non aveva
provato i fatti posti al fondo della prima pretesa, con
specifico riferimento alla inesistenza di valide ragioni
economiche sottese dall’operazione societaria e alla
sproporzione del conseguito vantaggio fiscale; e (b) che
l’operazione contestata, quanto alla restante posta
patrimoniale, aveva avuto completa neutralità impositiva.
Gravata da appello principale dell’agenzia delle entrate e
da appello incidentale della società, la decisione era
confermata dalla commissione tributaria regionale del

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Veneto con sentenza n. 55-9-07, depositata il 15 gennaio
2008.
La commissione regionale – premessa l’infondatezza della
tesi della società, volta a sostenere l’inammissibilità
dell’avverso appello in mancanza di autorizzazione della
direzione compartimentale del contenzioso, posto che,

invece, l’autorizzazione era stata concessa così
motivava il rigetto dell’appello principale:
(a) l’ufficio non aveva assolto all’onere della prova in
ordine alla ricorrenza di tutte le condizioni di
applicabilità dell’art. 10 della 1. n. 408-90:

id est, la

mancanza di valide ragioni economiche dell’operazione
ritenuta elusiva; l’esclusività dello scopo di ottenere,
attraverso l’operazione stessa, un risparmio d’imposta; la
fraudolenza dei mezzi per il conseguimento del risultato;
(b) di contro, la società aveva ampiamente illustrato il
percorso attraverso il quale, negli anni dal 1993 al 1996,
il gruppo Salvagnini aveva saputo superare le difficoltà
di mercato con una serie di operazioni dirette a
consolidare la propria posizione, e con uso di mezzi
certamente non fraudolenti intesi all’utilizzo del credito
d’imposta contestato;
(e) quanto alla plusvalenza, la società non aveva affatto
provveduto a contabilizzare gli effetti dell’accordo di
cessione di crediti, giacché lo stesso, in base alla
prodotta documentazione, era stato “risolto per effetto
della condizione sospensiva ivi prevista”.

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L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per
cassazione, articolando cinque motivi.
La società si è costituita con controricorso e ha proposto
ricorso incidentale articolato in otto censure, sei delle
quali dedotte in unico motivo, come altrettante omissioni
di pronuncia, una come subordinato vizio di motivazione e

un’altra, in ultimo, come violazione (in forma
condizionata) di norma di diritto.
Al ricorso incidentale l’agenzia ha replicato con
controricorso.
La società ha depositato una memoria.
Motivi della decisione
I. – La società Salvagnini ha proposto un’eccezione di
inammissibilità del ricorso principale in quanto tardivo,
siccome notificato il 30 gennaio 2009. L’amministrazione
infatti aveva avuto conoscenza legale dell’impugnata
sentenza in data 1 luglio 2008, allorché era stato a lei
notificato, da parte della medesima società Salvagnini, un
ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 8-18-08
della commissione tributaria regionale del Veneto,
intervenuta in merito al collegato atto di recupero dei
disconosciuti crediti d’imposta. Si sostiene che al
ricorso per revocazione era stata allegata la sentenza n.
55-9-07, oggetto dell’attuale ricorso per cassazione, la
quale sentenza era stata altresì prodotta all’udienza di
trattazione del 22 febbraio 2008, avanti la commissione
regionale che aveva poi emesso la ripetuta sentenza n. 818-08.

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In subordine, si eccepisce la conoscenza legale a far data
dal 7 ottobre 2008, allorché l’ufficio era intervenuto nel
giudizio di revocazione suddetto (ripetesi, relativo alla
sentenza n. 8-18-08), evidenziando la pendenza in
cassazione del procedimento nel quale era sopravvenuta la
sentenza n. 55-9-07.

– L’eccezione è infondata.
Secondo una consolidata giurisprudenza, la proposizione
dell’istanza di revocazione di una sentenza in grado
d’appello integra nei confronti del notificante conoscenza
legale della sentenza agli effetti della decorrenza del
termine breve per proporre ricorso per cassazione, sicché
la tempestività del successivo ricorso per cassazione
proposto dal predetto soggetto va verificata con riguardo
non solo al termine di un anno dal deposito della
sentenza, ma anche a quello di sessanta giorni dalla
proposizione del ricorso (o dalla notificazione della
citazione) per revocazione,

salvo che il giudice della

revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso
il termine per proporre ricorso per cassazione a norma
dell’art. 398, 4 0 co., c.p.c. (v. Cass. n. 1849-13; n.
26002-10; n. 20812-09 e moltissime altre).
Nel solco di tale insegnamento si inscrive anche
l’indirizzo interpretativo richiamato dalla società,
secondo il quale peraltro è da dire che il termine breve
di impugnazione decorre soltanto in forza di una
conoscenza “legale” del provvedimento da impugnare, e cioè
di una conoscenza conseguita per effetto di un’attività

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svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria
o che ella stessa ponga in essere; attività normativamente
idonea a determinare da sé detta conoscenza o tale,
comunque, da farla considerare acquisita con effetti
esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale (v.
Cass. n. 15359-08; cui adde Cass. n. 7962-09).
in

In questo senso in definitiva si registra,

giurisprudenza, una generalmente condivisa affermazione
secondo la quale la notificazione di una citazione (o di
un ricorso) per revocazione di una sentenza d’appello
equivale, tanto per il notificante quanto per il
destinatario, alla notificazione della sentenza stessa ai
fini della decorrenza del termine breve per proporre
ricorso per cassazione.
Al fondo del mentovato indirizzo è ferma, nondimeno, la
distinzione tra conoscenza legale e conoscenza
occasionale, sul rilievo che solo la prima è utile a far
decorrere il termine breve di impugnazione; sicché
unicamente in tal caso il termine può affermarsi decorrere
non solo per il notificante, ma anche per il destinatario
(e v. infatti, nel senso che non è configurabile una
equivalenza tra conoscenza occasionale della sentenza da
impugnare e conoscenza legale della stessa, Cass. n.
18075-04).
La ratio dell’orientamento – peraltro assai discusso in
dottrina – sta in ciò: che il difensore, nel redigere
l’atto di impugnazione, ovvero nel resistere al medesimo,
deve aver necessariamente esaminato (e quindi deve

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conoscere legalmente) la sentenza impugnata; donde lo
stare in giudizio a mezzo del difensore realizza, per la
parte stessa, la situazione di

notum facere

cui è

preordinata la notificazione della sentenza.
Orbene, la situazione nel caso di specie evocata dalla
società Salvagnini è affatto diversa, perché qui non si

invoca la conoscenza “legale” della sentenza n. 55-9-07,
intanto definibile tale, in quanto derivante dallo
svolgimento di attività difensiva a essa sentenza
direttamente afferente. Si invoca la conoscenza
giustappunto occasionale, siccome asseritamente
discendente dall’attività difensiva afferente la diversa
sentenza n. 8-18-08; conoscenza tradotta dal fatto che, in
sede di ricorso per revocazione contro quella sentenza,
sarebbe stata allegata una copia della ripetuta sentenza
n. 55-9-07.
In questi termini è palese che l’eccipiente confonde la
prospettiva della conoscenza legale con quella della
conoscenza occasionale; la quale non rileva affatto,
poiché una conoscenza di tal genere non costituisce forma
idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione.
Il che questa corte ha più volte affermato, per esempio,
in relazione alle ipotesi di comprovata estrazione di
copia autentica della sentenza (v. Cass. n. 10053-09; n.
21718-12), irrilevante sintomo di una conoscenza
giustappunto non legale.
In conclusione:

l’art.

326 c.p.c., nel sancire la

decorrenza del termine per impugnare dalla notificazione

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della sentenza, ha la funzione di abbreviare il formarsi
del giudicato in dipendenza di un’attività (di
notificazione) direttamente riferita alla sentenza di cui
si tratta.

Può

(anche) convenirsi con l’ammissione di

equipollenti, ma purché questi derivino da attività
processuale implicitamente e inequivocamente supponente la

conoscenza legale. Non può (invece) tollerarsi
un’estensione interpretativa tale da comprendere nel
novero dei fatti equipollenti le evenienze processuali non
direttamente associabili alla sentenza che devesi
impugnare.
III. – Disattesa l’eccezione pregiudiziale, può il
collegio esaminare i motivi di ricorso.
Il ricorso principale consta di cinque motivi, così
nell’ordine articolati.
Col primo motivo si deducono, in ordine alla utilizzazione
dei crediti d’imposta,

la violazione e la falsa

applicazione dell’art. 10 della 1. n. 408-90 e del
principio di abuso del diritto come sancito dalla corte
giust. CE nella causa C-255/02 (Halifax), addebitandosi
alla commissione tributaria regionale di avere escluso
l’esistenza dei presupposti applicativi della norma per
asserito inadempimento dell’onere della prova.
L’amministrazione denunzia che la commissione non avrebbe
in ciò considerato (i) che l’accertamento dell’elusione
può prescindere dal carattere fraudolento e fittizio delle
attività compiute e dalla prova della volontà di
realizzare esclusivamente un risparmio d’imposta; e (il)

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che

gravava

semmai

sul

contribuente

la

prova

dell’esistenza di ragioni economiche non teoriche e non
marginali da porre a fondamento delle operazioni
determinative del risparmio d’imposta.
Col secondo motivo si denunzia l’insufficiente motivazione
della sentenza, per essersi questa limitata a negare )

apoditticamente ) l’esistenza dei presupposti applicativi
della norma succitata, senza esplicitare in modo alcuno
l’esito dell’esame della situazione globale così come
dall’amministrazione ricostruita in giudizio.
Col terzo motivo, relativamente al capo della decisione
afferente la negazione della plusvalenza sull’assegnazione
dei crediti ai soci, si eccepisce un’omessa pronuncia
(art. 112 c.p.c.) in ordine alla questione, sollevata in
primo grado e riproposta con l’appello, dell’invalidità e
inefficacia, per mancata omologazione da parte del giudice
delegato, dell’accordo integrativo venuto in essere nella
prospettiva concordataria il 22 novembre 1996, col quale
era stata apposta la condizione sospensiva (richiamata in
sentenza) al negozio di cessione dei crediti oggetto di
giudizio.
Col quarto mezzo, in subordine, e in caso di ritenuta
implicita pronuncia sul motivo di gravame, si deducono la
violazione e la falsa applicazione dell’art. 167 della
legge fall. (vecchio testo), giacché l’atto integrativo
sopra detto, sottoscritto dal solo liquidatore della
società in concordato preventivo, senza autorizzazione del

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giudice delegato, dovevasi considerare appunto per questo
invalido e inefficace.
Col quinto motivo, infine, ai sensi dell’art. 360, n. 5,
c.p.c., si deduce non avere la commissione tributaria
regionale speso motivazione con riferimento alla questione
sottostante, circa la conclusione dell’accordo senza

previa autorizzazione del giudice delegato.
IV. – I primi due motivi, tra loro connessi, sono fondati.
La questione attiene alla affermata abusività di un
vantaggio fiscale concretizzatosi nella fruizione in
compensazione di crediti d’imposta mediante un’operazione
societaria di riorganizzazione del gruppo Salvagnini,
avvenuta mediante il concorso di tre soggetti.
La contestazione era stata, in proposito, la seguente.
Tra il mese di giugno e il mese di ottobre 1996 la
Salvagnini Italia s.p.a.

aveva acquistato l’intero

pacchetto azionario di Salvagnini s.p.a., la quale,
all’esito di un rapporto

tax due diligence commissionato

dallo stesso gruppo Salvagnini, era affermata essere una
scatola vuota.
Nel novembre 1996 era stata costituita la Salvagnini BV,
società avente sede in Olanda, che, il mese successivo,
aveva acquisito il controllo della Salvagnini Italia e, da
questa, altresì le azioni della Salvagnini s.p.a.
Dopo appena due giorni da tale acquisto, la Salvagnini BV
aveva ceduto alla Salvagnini s.p.a. il pacchetto di
controllo della Salvagnini Italia s.p.a.

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In tal modo si era rovesciata la posizione iniziale; per
cui la Salvagnini Italia s.p.a., chiudendo l’esercizio in
utile, aveva provveduto a distribuire l’utile alla
controllante Salvagnini s.p.a., la quale però, gravata da
debiti, aveva potuto portare questi in compensazione sul
reddito da capitale. L’eccedenza d’imposta, così

formatasi, era stata quindi ceduta dalla Salvagnini s.p.a.
alla Salvagnini Italia s.p.a., in base all’art. 43-ter del
d.p.r. n. 602 del 1973; e ciò aveva consentito a
Salvagnini Italia s.p.a. di utilizzare l’eccedenza
suddetta in compensazione di quanto dovuto a titolo di
Irpeg e di Ilor per gli esercizi in esame.
V. – In tale pacifica situazione di fatto, che aveva
portato l’amministrazione a disconoscere, invece, sul
presupposto di un abuso di diritto, le eccedenze dette e i
connessi vantaggi tributari, la commissione tributaria
regionale ha reso la decisione affermando che l’ufficio
non aveva dimostrato l’esistenza di nessuna delle tre
condizioni di applicabilità dell’art. 10 della 1. n. 40890 e che in ogni caso i mezzi utilizzati dal gruppo
Salvagnini per il superamento delle insistenti difficoltà
economiche e per consolidamento della propria posizione su< mercato non potevano certamente qualificarsi come fraudolenti. Una simile argomentazione, lacunosa ed evasiva, determina le violazioni di diritto e motivazionale ascritte alla sentenza col primo motivo e col secondo motivo. 10 Può infatti ormai definirsi consolidata (v. sez. un. n. 30055-08) la constatazione che in materia tributaria esiste un generale principio antielusivo la cui fonte, in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta (non nella giurisprudenza comunitaria, l'ordinamento tributario italiano. E' cioè insito nell'ordinamento — come diretta derivazione delle norme costituzionali — il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio. Il riferito principio si dice non in contrasto col canone di riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti ybo~ di negozi posti in essere al solo scopo di e ‘14%' 361 eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilità del negozio all'amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell'operazione. 11 quanto) negli stessi principi costituzionali che informano costituisce Conseguentemente, condotta abusiva l'operazione economica che abbia quale suo elemento (non necessariamente unico, ma comunque) predominante e assorbente lo scopo elusivo del fisco. Talché il divieto di siffatte operazioni non opera ove esse possano (in modo non marginale) spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta. La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe all'amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l'onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti (e comunque, ripetesi, non marginali o teoriche: v. Cass. n. 1372-11; n. 10257-08) che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (v. tra le tante Cass. n. 21390-12; n. 21782-11; n. 20029-10). Diversamente da quanto sostenuto dalla commissione regionale nel caso di specie, non occorre affatto a tal riguardo dimostrare anche il connotato fraudolento dei mezzi impiegati. Anzi, l'operatività dei principi poc'anzi rammentati prescinde del tutto dall'accertamento della simulazione o del carattere fraudolento dell'operazione in sé (v. già Cass. n. 21221-06). Semplicemente impone di valutare l'operazione nella sua specifica essenza, fermo che - come già detto - sulla medesima non possono influire ragioni economiche (e/o di riassetto) soltanto teoriche, 12 inidonee a fondare spiegazione una alternativa dell'operazione rispetto alla constatazione del risparmio fiscale. Osserva la corte che una simile valutazione spetta al giudice del merito, e un rigoroso accertamento a tal riguardo è stato omesso. Ma in via di principio osserva pure che un' operazione così poco lineare, quale quella come sopra realizzata, appalesa profili di estraneità agli schemi funzionali alla pur richiamata logica del riassetto societario, al punto da indurre a considerazioni di estraneità anche rispetto al fine, dalla commissione regionale genericamente evocato, di superamento di difficoltà di mercato e di consolidamento di una posizione economica o produttiva. VI. - I restanti motivi di cui al ricorso principale terzo, quarto e quinto sono invece infondati nel presupposto giuridico. I motivi attengono alla questione della plusvalenza sull'assegnazione dei crediti ai soci, maturata in dipendenza di una cessione e di una successiva retrocessione dei crediti detti. A fronte dell'evidenziata rilevanza, di contro, di un negozio integrativo col quale, all'atto di cessione, era stata apposta una condizione sospensiva contemplante un evento poi non verificatosi, così da determinare l'inefficacia in sé del patto di cessione, i motivi si risolvono nell'affermazione che l'accordo integrativo era da ritenere invalido e inefficace, in quanto non 13 autorizzato dal giudice delegato nel contesto della procedura di concordato preventivo (art. 167, vecchio testo, legge fall.). Deve invece osservarsi che la norma di cui all'art. 167 legge fall. (vecchio testo), nel porre il principio secondo cui gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, compiuti dal debitore concordatario senza l'autorizzazione del giudice delegato, sono affetti da inefficacia (relativa) rispetto ai creditori anteriori al concordato, non inficia la validità dell'atto, ma opera esclusivamente a favore dei creditori suddetti (v. tra le tante Cass. 12286-04; n. 27450-05). Pertanto, la violazione della norma non può esser fatta valere da chi, come nella specie l'amministrazione finanziaria, si affermi terzo rispetto ai soggetti coinvolti dalla procedura di concordato, al punto da incentrare la propria pretesa su una plusvalenza affermata come conseguente a un contratto (di cessione del credito, poi seguito dalla retrocessione) stipulato esso in funzione concordataria, oltre che sulla inefficacia del negozio integrativo col quale, a quel contratto, era stata apposta la condicio iuris sospensiva. VII. - Infine va esaminato il ricorso incidentale della società. Col ricorso incidentale sono state dedotte: (a) la nullità della sentenza d'appello per omissione di pronuncia su una serie di censure in punto di nullità (o 14 comunque invalidità) dell'avviso di accertamento, formulate nelle allora redatte controdeduzioni; (b) l'omessa motivazione della sentenza con riferimento alla decisione con la quale pure l'appello incidentale della società era stato infine respinto; (c) in forma condizionata, la violazione e la falsa applicazione del divieto di abuso di diritto, come emergente dalla sentenza della corte di giustizia CE in causa C-255/02 (Halifax), nella parte afferente l'illegittimità di eventuali sanzioni. Il ricorso incidentale è nel complesso inammissibile per le ragioni che seguono. La prima complessa censura (sub a) è innanzi tutto priva di autosufficienza. Il ricorso non riporta il contenuto dell'atto introduttivo del giudizio, al fine di consentire di superare i possibili rilievi di novità delle dedotte questioni, cui la sentenza non accenna affatto. A ogni modo, sul punto, come del resto sui profili ulteriormente dedotti a mezzo delle residue doglianze (in forma autonoma o condizionata), la società non risulta essere stata soccombente dinanzi al giudice di merito. Dalla sentenza si comprende che l'opposizione della società avverso l'atto impositivo si era basata sull'affermazione di inapplicabilità dell'art. 10, quanto alla prima contestazione, e sulla inesistenza della plusvalenza quanto alla seconda. Sui dianzi indicati profili la società è risultata, in primo come in secondo grado, interamente vittoriosa. 15 L'unico versante che ne ha determinato la soccombenza, e che appare involto dal dispositivo di rigetto dell'allora proposto appello incidentale, risulta essere stato quello dell'ammissibilità dell'avverso gravame, siccome proposto dall'agenzia delle entrate a seguito di rituale autorizzazione (contrariamente a quanto eccepito) da parte della direzione compartimentale del contenzioso. Consegue che le residue questioni, ivi prospettate finanche dalla società, appaiono comprese dall'inciso di chiusura dell'impugnata sentenza, per cui restavano "assorbiti (..) tutti gli altri motivi di appello". Ora, con massima pressoché stereotipata questa corte è andata ripetendo che è inammissibile il ricorso incidentale (condizionato o meno) con il quale la parte vittoriosa sollevi questioni non esaminate dal giudice di appello in quanto ritenute assorbite dall'accoglimento di altre tesi. In tale situazione, invero, difetta la soccombenza, sia pure teorica, quale presupposto del diritto di impugnazione, mentre la questione medesima può sempre essere riproposta davanti al giudice di rinvio, ove ritualmente introdotta nel giudizio originario, e ove, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata venga cassata. VIII. - Conclusivamente, vanno accolti il primo e il secondo motivo del ricorso principale; vanno rigettati gli altri motivi del ricorso detto; va dichiarata l'inammissibilità del ricorso incidentale. 16 T€SEN7171 Al S;'.5, . l's;. 13i MATERIA "-1RiB1JTAF:1,), L'impugnata sentenza va cassata con rinvio alla medesima commissione tributaria regionale del Veneto, diversa sezione, affinché provveda a rivalutare il merito della controversia facendo applicazione dei principi di diritto richiamati al superiore punto V. giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. p.q.m. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale; rigetta i restanti; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale del Veneto. Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del

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