Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3936 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. II, 08/02/2022, (ud. 08/07/2021, dep. 08/02/2022), n.3936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23909/2016 R.G. proposto da:

R.G., e R.A., rappresentati e difesi dall’Avv.

Gianluigi Martino, elettivamente domiciliati in Roma, Lungotevere

Flaminio n. 22, presso lo studio del difensore;

– ricorrenti –

contro

R.G.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio

Ingroia, elettivamente domiciliato in Roma, via Venti Settembre n.

89, presso lo studio del difensore;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

R.M., rappresentato e difeso e difeso da sé ex art. 86

c.p.c.;

– controricorrente –

contro

R.R., rappresentata e difesa da sé ex art. 86 c.p.c.;

– controricorrente –

contro

RI.MA.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila n. 345

depositata il 24 marzo 2016.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 luglio

2021 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Chieti, Sezione distaccata di Ortona a Mare, con sentenza n. 304 del 2009, in accoglimento della domanda proposta da Ri.Gi. nei confronti dei fratelli R.G., A. e Ma., nonché dello zio, R.C., dichiarava lo scioglimento della comunione ereditaria dell’immobile di cui tutte le parti in causa risultavano comproprietari per successione ereditaria, e per l’effetto disponeva l’assegnazione del bene ai fratelli convenuti con obbligo di pagamento in favore di Ri.Gi. della somma pari ad Euro 13.768,95 e in favore di R.C. della somma pari ad Euro 55.075,80, data la non comoda divisibilità del bene e ritenuta tardiva la richiesta avanzata da R.C. di scioglimento con conseguente attribuzione dell’intero immobile controverso a lui;

– sul gravame interposto da R.M. e R., nella loro qualità di eredi legittimi di R.C., la Corte di appello di L’Aquila, nella resistenza di R.G., A. e Ma. e nella contumacia di Ri.Gi., con sentenza n. 345 del 2016, accoglieva l’appello e per l’effetto riformava la sentenza impugnata, nel senso che dichiarato lo scioglimento della comunione ereditaria, veniva disposta la divisione mediante attribuzione dell’intero compendio immobiliare agli appellati, con obbligo di pagamento agli altri condividenti della somma pari al valore delle rispettive quote.

In via preliminare, il giudice di secondo grado rilevava l’ammissibilità e la tempestività della domanda di scioglimento della comunione ereditaria proposta da R.C. e della conseguente domanda di attribuzione dell’intero compendio ereditario.

Nel merito, la Corte distrettuale, rilevata la non comoda divisibilità del bene e ritenute legittime le richieste di tutti i convenuti circa l’attribuzione dell’intero immobile, in applicazione del criterio generale di cui all’art. 720 c.c., attribuiva il compendio immobiliare al comunista R.C., quale detentore della quota maggiore del bene.

Infine, quanto alla rivalutazione della somma assegnata in conguaglio, la Corte di appello rilevava che nulla era dovuto in assenza di qualsiasi allegazione di parte e di qualsivoglia richiesta in tal senso;

– per la cassazione della sentenza della Corte di appello di L’Aquila ricorrono R.G. e A. sulla base di tre motivi, cui resistono, con separati controricorsi, R.M., R.R. e Ri.Gi., proponendo quest’ultimo ricorso incidentale affidato a due motivi;

– è rimasta intimata Ri.Ma..

Atteso che:

– con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano, ex art. 360, comma 1, n. 4, la nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., n. 4, per aver la Corte distrettuale dichiarato l’ammissibilità della domanda di scioglimento della comunione e la conseguente domanda di attribuzione del compendio proposta da R.C. solo con la memoria integrativa ex art. 185 c.p.c., comma 5.

I ricorrenti sostengono che il giudice di secondo grado avrebbe errato laddove non ha ritenuto nuova la predetta domanda, considerandola una semplice emendatio libelli.

Contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, i ricorrenti fanno luce sul fatto che non tutte le mutationes libellorum siano ammissibili, ma solo quelle che si sostituiscono alla domanda iniziale, mentre in ordine alle reconventiones reconventionis, tale ritenuta quella di attribuzione del bene da parte di R.C., sarebbe proponibile solo dall’attore e non dal convenuto, cosicché la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità per motivazione apparante.

In sostanza, ad avviso dei ricorrenti il giudice di secondo grado avrebbe dovuto ritenere inammissibile la richiesta di attribuzione del bene ex art. 720 c.c. (e quindi l’implicita domanda di scioglimento della comunione), costituendo la stessa una domanda nuova.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360, comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per aver la Corte distrettuale dichiarato la tempestività della domanda avversaria interpretando erroneamente il verbale di udienza.

Ad avviso dei ricorrenti, gli odierni resistenti avrebbero richiesto solo il rigetto della domanda attrice, senza formulare la domanda di scioglimento della comunione nemmeno in forma implicita, essendo impossibile desumerla, anche in via presuntiva, dalla domanda avanzata dall’attore, come peraltro confermato non solo dall’atto di costituzione ma anche nei verbali di udienza del 16 maggio 2003 e del 18 ottobre 2006.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per essersi la Corte distrettuale pronunciata su una domanda nuova e anzi su una domanda mai introdotta in giudizio.

I motivi di ricorso principale, da esaminarsi unitariamente in considerazione della loro stretta connessione argomentativa, sono privi di pregio.

E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che, con riferimento ai limiti della proposizione dell’istanza di attribuzione, non si può prescindere dalla specificità del giudizio di divisione e soprattutto dall’incidenza che possono avere sul risultato della divisione le vicende soggettive che colpiscono i condividenti, ovvero quelle oggettive concernenti i beni coinvolti nel giudizio (Cass. n. 15926 del 2019). Pertanto, la domanda di attribuzione di un immobile indivisibile, lungi dal rivestire natura negoziale, costituisce una modalità attuativa della divisione e si risolve nella mera specificazione della pretesa introduttiva del processo, rivolta a porre fine allo stato di comunione e come tale è formulabile anche in appello (Cass. n. 3497 del 2019).

In altri termini, la richiesta di attribuzione dell’intero compendio ereditario ex art. 720 c.c., può essere proposta per la prima volta anche in appello poiché attiene alle modalità di attuazione dello scioglimento della comunione e non costituisce domanda in senso proprio (Cass. n. 14521 del 2012; Cass. n. 15926 del 2019).

Sulla base di tali principi, la Corte distrettuale ha correttamente ritenuto ammissibile la domanda di scioglimento della comunione e la conseguente domanda di attribuzione dell’intero compendio ereditario avanzata da R.C. in primo grado ed in particolare nell’udienza ex art. 180 c.p.c., del 16 maggio 2003;

– passando all’esame del ricorso incidentale proposto da Ri.Gi., con il primo motivo è dedotta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per essere stato condannato al pagamento delle spese di lite, nonostante fosse rimasto contumace in giudizio di appello e non avesse interesse ad agire.

Il motivo non può trovare ingresso.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, la condanna della parte soccombente alle spese processuali, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., non ha natura sanzionatoria ma è conseguenza obiettiva della soccombenza, ai cui fini non rileva che la parte nulla deduca contro l’accoglimento della domanda avversaria, ritenendosi soccombente e meritevole di condanna al rimborso delle spese anche il convenuto contumace (Cass. n. 4485 del 2001 e Cass. n. 1439 del 2003), per cui è tradizionalmente concepita quale oggettività della differenza tra il contenuto della domanda della parte e la decisione assunta.

Rimane così irrilevante ai fini della individuazione della parte tenuta a farsi carico delle spese di lite la condivisione di argomenti difensivi anche parziali ovvero la mancata contestazione, in quanto all’uopo occorre procedere al riscontro della sola soccombenza, la quale si determina secondo l’esito complessivo della lite.

Nella specie, essendo stato il gravame accolto, la Corte d’appello ha correttamente ritenuto gli appellati, in cui era ricompreso il ricorrente incidentale, seppure contumace, in solido, totalmente soccombenti, con la conseguente condanna alla integrale rifusione delle spese di lite;

– con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 720 c.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento alla determinazione del conguaglio in favore dei condividenti, ed in particolare alla rivalutazione monetaria e agli interessi sulla somma ricevuta in conguaglio.

In particolare, ad avviso del ricorrente incidentale, il giudice di appello avrebbe fatto mal governo dei principi che regolano la determinazione del conguaglio, per non aver tenuto conto dei documenti prodotti in giudizio a sostegno del notevole incremento di valore del bene oggetto di divisione, né tantomeno del contenuto della sentenza di primo grado.

Invero, il ricorrente incidentale sostiene che nella domanda avanzata in primo grado avrebbe richiesto espressamente che la determinazione della somma dovuta a titolo di conguaglio fosse aggiornata ai nuovi valori di mercato del bene de quo, generati dall’adozione del PRG del Comune di Ortona, pertanto, contrariamente da quanto affermato dal giudice di secondo grado, una domanda in tal senso sarebbe stata tempestivamente e puntualmente avanzata.

Per giunta, l’aumento del valore del mercato del bene oggetto di divisione sarebbe stato riconosciuto anche dall’Agenzia del Territorio con prot. N. 2571 del 2 agosto 2010.

Il motivo non è fondato.

Premesso che il giudice di appello non ha esaminato la predetta questione per non aver le parti allegato alcunché in sede di gravame, né presentato alcuna istanza in tal senso, va osservato che, pur non essendovi dubbio che in tema di divisione ereditaria occorre assicurare la formazione di porzioni di valore corrispondente alle quote e che quindi – tendenzialmente – la stima dei relativi beni deve essere effettuata in epoca non troppo lontana rispetto a quella della decisione, tuttavia il mero trascorrere del tempo non costituisce automaticamente una ragione sufficiente per ritenere che si sia determinato un apprezzabile mutamento di valore dei beni stessi che renda necessario l’adeguamento di quello stabilito al tempo della stima (Cass. n. 3029 del 2009).

Pertanto, con riferimento a tale fattispecie la giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di giudizio di divisione immobiliare, la parte che sollecita una rivalutazione degli immobili deve allegare le ragioni di significativo mutamento del valore di essi o di alcuni di essi “medio tempore”, non essendo sufficiente il mero riferimento al lasso temporale intercorso per ritenere che il prezzo di mercato dei beni abbia subito una significativa ed apprezzabile variazione (Cass. n. 3029/2009, cit.).

Tanto premesso, nella specie, Ri.Gi., pur corretta l’argomentazione in diritto fatta valere con la censura, tuttavia ha scelto di rimanere contumace nel giudizio di appello, per cui ha dedotto solo in sede di legittimità la circostanza dell’incremento del valore del bene oggetto di divisione, chiedendo la rideterminazione del conguaglio corrisposto in favore dei condividenti. E’ evidente che alla base della deduzione vi sarebbero accertamenti in fatto che avrebbero dovuto essere sollecitati nella fase di merito.

Del resto, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratta di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 19164 del 2007; Cass. n. 25319 del 2017).

Conclusivamente, vanno respinti entrambi i ricorsi, principale e incidentale.

Le spese processuali, considerata la reciproca soccombenza, vanno interamente compensate tra R.G. e A., da una parte, e R.G.P., dall’altra, mentre seguono la soccombenza nei confronti di R.M. e di R.R..

Poiché i ricorsi, principale e incidentale, sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriannuale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte sia dei ricorrenti principali sia del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi;

dichiara compensate tra i ricorrenti principali e il ricorrente incidentale le spese del giudizio in cassazione;

condanna i ricorrenti, principali e incidentale, in solido alla rifusione delle spese di legittimità in favore di R.M. e di R.R., che liquida per ciascun controricorrente in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia dei ricorrenti principali sia del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

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