Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3935 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/02/2020, (ud. 26/09/2019, dep. 17/02/2020), n.3935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27532-2018 proposto da:

D.S. COSTRUZIONI DI T.D.S. & FIGLI SAS, in

persona del legale rappresentante pro tempore, D.S.T.,

D.S.A., D.S.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA BUCCARI 3, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA ACONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ERNESTO FENIZIA;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 923/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

il 02/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GORI

PIERPAOLO.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con le sentenze nn. 923, 924, 925 e 926/9/18 depositate in data 2.2.2018 la Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, rigettava l’appello proposto dalla società D.S. Costruzioni Srl, D.S.T., D.S.A. e D.S.L. avverso la sentenza n. 1430/1/16 della Commissione tributaria provinciale di Avellino, che aveva rigettato il ricorso proposto da ciascun contribuente contro avviso di accertamento IVA e II.DD. 2010 emesso nei confronti della società contribuente per rideterminazione del reddito di impresa, e dei soci per i relativi redditi di partecipazione; la CTR confermava le decisioni di primo grado, escludendo nel caso di specie fosse stato violato il contraddittorio endoprocedimentale ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e, nel merito, riteneva fosse fondata la ripresa per operazioni inesistenti;

– Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti con un unico ricorso affidato a due motivi, che illustrano con memoria, e l’Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso, i contribuenti lamentano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3- la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (Statuto del Contribuente), poichè la CTR ha negato l’invalidità dell’avviso di accertamento oggetto di lite nonostante in sede procedimentale non fosse stato provocato il contraddittorio pur in presenza di ripresa anche per tributo armonizzato;

– La censura, premesso il fatto che non si evince dalla sentenza nè dal corpo del ricorso che fosse stato sollevato in sede di merito lo specifico profilo del mancato rispetto del termine dilatorio del 7comma, ma solo del contraddittorio dello Statuto, art. 12, in sè, è comunque infondata. Va ribadito che: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.” (Cass. Sez. Un. 9 dicembre 2015, n. 24823); e che: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “non armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 701 del 15/01/2019, Rv. 652456 – 01);

– Nel caso di specie è pacifico il fatto che non è intervenuto il contraddittori endoprocedimentale, e che l’accertamento alla base delle riprese è avvenuto a tavolino. Ciò esclude l’obbligo del contraddittorio Statuto del Contribuente ex art. 12, per le imposte dirette, inclusa l’IRAP, mentre quanto alla ripresa IVA, l’assenza non determina di per sè la violazione di legge. Nello specifico la contribuente non ha adempiuto alla c.d. prova di resistenza, dando sostanza alla allegazione di non aver potuto produrre documentazione idonea. E’ vero che si accenna in ricorso alla presenza di una perizia di parte, di cui dà conto anche la sentenza invero, prodotta in giudizio al fine di dimostrare l’esistenza delle operazioni contestate, ma questa non è riprodotta in ricorso, nè allegata, e non è possibile valutare se la sua presenza in sede procedimentale sarebbe stato un dato meramente formale o meno ai fini della prova di resistenza;

– Con il secondo motivo, viene dedotta l’omessa motivazione, – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – nel senso di motivazione solo apparente, circa fatti controversi, per non essersi la CTR realmente confrontata con l’ampia documentazione delle disponibilità finanziarie del socio e con il chiarimento che l’accollo del debito non ha comportato l’immediato pagamento dello stesso;

– Il motivo, articolatosi in due sotto motivi strettamente connessi nella loro formulazione e nella loro logica, può essere affrontato complessivamente e, in disparte dal fatto che il dedotto vizio per motivazione apparente doveva essere sussunto nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non del n. 3, comunque è infondato;

– Premesso che l’esistenza grafica della motivazione si evince dalla piana lettura della sentenza impugnata, dovendosi il mezzo meglio riferire alla deduzione di apparenza della motivazione, va ribadito che “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232); rammenta inoltre che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053);

– Nel caso in esame, la sentenza della CTR nell’esposizione del fatto, dà conto dell’esistenza della perizia di parte e, più in generale, espone compiutamente il fatto processuale, mentre nella parte in diritto esprime una succinta ma motivata risposta all’appello, esprimendo una chiara ratio decidendi, sfavorevole alla società e, per trasparenza, ai soci, supportata da individuati elementi di prova (fatture prive della analiticità della prestazione, dell’indicazione del tipo di automezzo locato, delle ore di locazioni e dei nominativi degli operatori) senza che sia necessario prendere in esame ogni elemento istruttorio acquisito al processo. Ove nel compendio istruttorio fossero stati forniti elementi probatori decisivi e contrari a tale ratio, era onere dei contribuenti, riprodurne il contenuto in ricorso, riallegarli e denunciare la motivazione della CTR sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Più in generale, il motivo tende ad una generica rivalutazione del quadro probatorio, per la quale non vi è spazio in sede di legittimità;

– La sentenza impugnata va dunque confermata, e al rigetto segue il regolamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso il Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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