Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3934 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 14/02/2017, (ud. 11/01/2017, dep.14/02/2017),  n. 3934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5927/2015 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso lo studio degli avvocate PAOLO BOER ed ALBERTO

BOER, che lo rappresentano e difendono unitamente e disgiuntamente

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati GIUSEPPINA GIANNICO,

SEBASTIANO CARUSO, ELISABETTA LANZETTA, FRANCESCA FERRAZZOLI e

CHERUBINA CIRIELLO, giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6330/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

emessa il 30/06/2014 e depositata il 02/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’11/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PAGETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che il Collegio ha autorizzato la redazione della ordinanza in forma semplificata;

rilevato:

che N.M., avvocato dipendente dell’INPS fino al 1.6.2006, adiva il Giudice del lavoro chiedendo: il ricalcolo del trattamento pensionistico integrativo a carico del Fondo di previdenza del personale INPS, per effetto della inclusione, nella relativa base di calcolo, della “quota onorari” percepita negli ultimi dodici mesi precedenti la data del 30.9.2009 (di soppressione del Fondo) in luogo di quella percepita nell’arco degli ultimi 36 mesi precedenti la medesima data, liquidati dall’INPS sulla base della Delib. Consiglio Amministrazione 30 aprile 1982, n. 90; il ricalcolo della indennità di arricchimento professionale e di autoaggiornamento, percepite in modo fisso e continuativo;

che il Tribunale rigettava la domanda con decisione confermata dalla Corte di appello;

che il giudice di appello riteneva non fondata nel merito, alla luce di Cass. n. 3775 del 2012, la domanda di ricalcolo relativa alla quota onorari e respingeva la domanda relativa alla indennità di arricchimento professionale e di autoaggiornamento sul rilievo della inammissibilità della produzione – avvenuta solo in sede di gravame dei contratti collettivi (ccnl professionisti dell’11.10.1996 e ccnl professionisti 1994/1997) posti a fondamento della pretesa azionata;

che N.M., premesso di prestare acquiescenza alla statuizione di rigetto della domanda relativa al ricalcolo della quota onorari, ha chiesto, sulla base di due motivi, la cassazione della decisione di rigetto della domanda relativa della indennità di arricchimento professionale e di autoaggiornamento;

che l’INPS ha resistito con tempestivo controricorso, successivamente illustrato con memoria);

che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 85 e 90 ccnl 1994/1997, dell’art. 345 c.p.c., comma 3 e dell’art. 2967 c.c., censurando la decisione per avere ritenuto tardiva la produzione dei contratti collettivi (contratto collettivo enti pubblici non economici -professionisti) laddove tali contratti, in quanto pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, erano direttamente conoscibili da parte del Collegio giudicante; deduce, inoltre, che, alla luce della giurisprudenza di legittimità (ed in particolare di Cass. n. 18584 del 2008), il contratto collettivo non prodotto può sempre essere acquisito d’ufficio ove, come avvenuto nel caso di specie, controparte non abbia contestato l’esistenza e il contenuto dello stesso ma solo la sua applicabilità al rapporto;

che con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del Regolamento del fondo di previdenza e quiescenza del personale INPS, ribadendo che, a mente di tale previsione, gli emolumenti richiamati, in quanto connotati dal prescritto carattere di fissità e continuità, attestati dai conteggi INPS dovevano essere computati nel trattamento di quiescenza;

ritenuto:

che la censura attinente alla diretta conoscibilità del contratto collettivo da parte del giudice di appello è manifestamente fondata, con effetto di assorbimento sia delle ulteriori censure svolte con il primo motivo che delle censure svolte con il secondo motivo;

che preliminarmente deve essere disattesa la eccezione con la quale l’INPS deduce il mancato assolvimento da parte del ricorrente dell’onere posto dall’art. 366 c.p.c., di indicazione della sede processuale di produzione, nell’ambito del giudizio di merito, degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso e dell’onere posto dall’art. 369 c.p.c., n. 4, di produzione in sede di legittimità di tali atti, in quanto la censura svolta con il primo motivo non investe la corretta interpretazione delle norme collettive alla base della pretesa all’inclusione nella base di calcolo del trattamento pensionistico integrativo della indennità di arricchimento professionale e di autoaggiornamento, ma la ritenuta inammissibilità in seconde cure della relativa produzione documentale;

che in base allo specifico contenuto della doglianza che si pone su un piano esterno a quello della interpretazione delle norme collettive, gli oneri di indicazione e produzione di tali documenti richiamati dall’INPS si rivelano insussistenti in quanto non è sui detti documenti che il ricorso deve ritenersi fondato;

che quanto al merito della censura in esame la stessa deve essere accolta alla luce della affermazione di questa Corte (Cass., SS.UU. n. 23329 del 2009) secondo la quale non soggiace alla prescrizione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il contratto collettivo di diritto pubblico, che quindi non necessariamente deve essere depositato, atteso che l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice è già assolta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8, sì che la successiva previsione, introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, deve essere riferita ai contratti collettivi di diritto comune; in questa prospettiva è stato in particolare affermato, sia pure con riferimento al giudizio di cassazione, che la conoscibilità della fonte normativa si atteggia diversamente a seconda che si versi in un’ipotesi di violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro privatistico rispetto a quella in cui le questioni attengano ad un contratto collettivo nazionale del pubblico impiego, atteso che, mentre in quest’ultimo caso il giudice procede con mezzi propri (secondo il principio “iura novit curia”), nel primo il contratto è conoscibile solo con la collaborazione delle parti, la cui iniziativa, sostanziandosi nell’adempimento di un onere di allegazione e produzione, è assoggettata alle regole processuali sulla distribuzione dell’ onere della prova e sul contraddittorio, che non vengono meno neppure nell’ipotesi di acquisizione giudiziale ex art. 425 c.p.c., comma 4 (Cass. n. 19507 del 2014);

che alla luce di tali principi, fermi restando gli oneri di allegazione a carico della parte, il giudice di appello non avrebbe potuto rigettare la domanda del N. sul rilievo della tardiva produzione del contratto collettivo, costituendo questa una fonte normativa direttamente conoscibile in ragione della avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8 (nello specifico: GU Serie Generale n. 258 del 4-11-1996 – Suppl. Ordinario n. 187);

che all’accoglimento del primo motivo, assorbito l’esame del secondo motivo, consegue la cassazione della decisione con rinvio, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, ad altro giudice che si designa nella Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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