Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3932 del 11/02/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2019, (ud. 11/01/2019, dep. 11/02/2019), n.3932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 12170-2017 proposto da:

Y.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO

GILARDONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BRESCIA (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 452/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 24/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ACIERNO

MARIA.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Brescia ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino pakistano Y.A., confermando la pronuncia di primo grado.

Il richiedente aveva narrato di essere originario della città di Thatta nella regione del Sind e di essere stato aggredito da parenti che miravano ad impossessarsi nel fondo lasciato a suo padre in eredità dal nonno. Era stato minacciato con un fucile e colpito alla nuca. Il fatto avvenuto non era stato denunciato alla polizia se non in su secondo momento, avendo deciso d’investire della questione il capo villaggio che, tuttavia aveva lasciato il problema irrisolto. Le autorità di polizia infine si rifiutavano d’intervenire perchè corrotte dai parenti facoltosi. Ciò accadeva nel dicembre del 2012. A luglio del 2013 veniva nuovamente aggredito e nel settembre minacciato di morte perchè si era rivolto ad un avvocato. Egli allora si rifugiava a Karachi ma le aggressioni continuavano nei confronti della madre e della sorella. In conseguenza di questi episodi fuggiva raggiungendo l’Italia dalla Libia. Venivano prodotte certificazioni mediche relative al ricorrente ed al padre.

A sostegno della decisione assunta la Corte ha affermato che le lesioni subite e documentate pur se compatibili con aggressioni e una in particolare con il calcio di un’arma da fuoco non risulta siano il frutto di comportamenti persecutori per ragioni di razza, religione od altro ma a ragioni patrimoniali. Non è inoltre provato che non sarebbero perseguite penalmente.

Non è provato in conclusione che il ricorrente sia vittima di atti persecutori dai quali lo Stato non possa proteggerlo o da una violenza indiscriminata, nè in mancanza della prova di aver subito persecuzioni, che vi siano i requisiti per il rilascio di un permesso umanitario.

Avverso questa pronuncia è stato proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Nel primo motivo viene dedotto la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, per avere la Corte d’Appello omesso di esercitare i propri poteri istruttori officiosi in relazione all’inesistenza o radicale inadeguatezza della protezione dell’Autorità di Polizia, invano sollecitate dal ricorrente come riferito dalle sue dichiarazioni. Ma risulta dalle dichiarazioni che la polizia si era rifiutata di raccogliere la sua denuncia nonostante le lesioni fossero documentate e riconducibili all’uso di un’arma da fuoco e che il ricorrente aveva denunciato al Tribunale di Gujrat le condotte violente del clan familiare antagonista, conferendo incarico ad un avvocato ma il procedimento si era arrestato perchè le persone indagate avevano corrotto gli investigatori. Il mancato assolvimento dell’onere probatorio è stato affermato senza alcun controllo delle fonti sulle questioni poste nelle dichiarazioni: inadeguatezza e tasso di corruzione dell’autorità pubblica. Il pericolo al quale il richiedente asilo ha cercato di sottrarsi è collegabile ad una condizione di violenza diffusa ed incontrollabile da parte dello Stato ed è riconducibile alla protezione sussidiaria.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per essere stata esclusa la protezione umanitaria senza alcuna indagine sui requisiti propri di tale misura.

In relazione al primo motivo il Collegio ha ritenuto di dover disporre la rimessione del ricorso alla pubblica udienza in ordine alla correlazione tra le cause delle violenze subite e la circostanziata affermazione dell’inerzia della pubblica autorità con riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a).

PQM

Dispone la rimessione in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2019

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