Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3931 del 18/02/2010

Cassazione civile sez. II, 18/02/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 18/02/2010), n.3931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZARELLA Giovanni – rel. Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1759-2005 proposto da:

R.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FARINI 16, presso lo studio dell’avvocato SPATARO PAOLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROMANO MARIO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI LIBERI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 3312/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2010 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI VINCENZO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.G. e A., premesso di essere proprietari di un terreno boschivo nel comune di Liberi e di aver delimitato la strada che attraversava tale terreno con una catena in ferro e con una sbarra metallica rimossa dal detto Comune che ne riteneva la natura pubblica, convenivano in giudizio il Comune per sentir dichiarare la strada in questione di esclusiva proprietà di essi istanti con la condanna dell’ente pubblico al ripristino della sbarra ed al risarcimento dei danni materiali e morali.

Il Comune convenuto, costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda sostenendone l’infondatezza.

Con sentenza 16/11/2001 l’adito tribunale di S. Maria Capua Vetere accoglieva la domanda e condannava il Comune al ripristino della sbarra metallica e al risarcimento de danno nella misura di L. 50.000.000, oltre accessori Avverso la detta sentenza il Comune di Liberi proponeva appello al quale resisteva R.G. mentre R.A. non si costituiva nel giudizio di secondo grado.

Con sentenza 21/11/2003 la corte di appello di Napoli, in parziale riforma dell’impugnata decisione, condannava il Comune di Liberi al risarcimento dei danni in favore dei R. nella misura, all’attualità della pronuncia, di Euro 2.582,28 oltre interessi al 3% annuo dal dicembre 1990.

La corte di merito, per quel che ancora rileva in questa sede, osservava: che la liquidazione di un danno morale non poteva essere riconosciuta in relazione alla sottoposizione di un procedimento penale posto che le imputazioni configurate a carico degli appellati si riferivano alla inottemperanza ad un provvedimento amministrativo e restavano estranee all’ente territoriale; che del pari andava accolta la censura relativa alla determinazione del danno materiale;

che, infatti, solo per pochi mesi del biennio 89/90 e 90/91 l’utilizzazione della strada in questione era stata limitata dal transito di veicoli pesanti; che il ricorso a criteri equitativi consentiva di individuare l’entità del risarcimento in 3 milioni di L. – pari a 500.000 L. per ciascuno dei tre mesi per anno – corrispondenti all’attualità della pronuncia ad Euro 2.582,28 per effetto della svalutazione monetaria oltre interessi al 3% annuo in media dal dicembre 1990 sul complessivo dovuto tenuto conto del tempo trascorso dall’evento produttivo del danno e della necessità di evitare entrate superiori al pregiudizio effettivamente subito, per effetto del cumulo di rivalutazione ed interessi sulla somma già rivalutata.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Napoli è stata chiesta da R.G. con ricorso affidato a tre motivi. L’intimato Comune di Liberi non ha svolto attività difensiva in sede di legittimità.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso R.G. denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. deducendo che la corte di appello ha riformato la sentenza del tribunale escludendo il riconoscimento del risarcimento del danno morale senza considerare che, in relazione alla liquidazione di tale danno, il Comune di Liberi non aveva mosso alcuna censura alla sentenza di primo grado per cui sul punto si era verificato un giudicato interno. La corte di merito è incorsa nella evidente violazione del dovere di non pronunciarsi oltre i limiti degli specifici motivi di appello che avevano riguardato solo la liquidazione del danno materiale e non del danno morale.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del principio del contraddittorio deducendo che il giudice di primo grado, nell’effettuare la liquidazione in complessive L. 50.000.000, aveva imputato la detta somma al danno materiale ed a quello morale come conseguenza sia del processo penale sia della lite temeraria ex art. 96 c.p.c.. La corte di merito ha eliminato il danno morale che non aveva formato oggetto dei motivi articolati dal Comune di Liberi nell’atto di appello.

La Corte rileva la manifesta fondatezza delle dette censure che, per evidenti motivi di ordine logico, possono essere esaminate congiuntamente in quanto strettamente connesse ed interdipendenti.

Dalla lettura degli atti processuali – attività consentita in questa sede di legittimità e, in particolare, della sentenza di primo grado e dell’atto di appello come sviluppato dal Comune di Liberi, risulta che:

a) il tribunale ritenne di poter liquidare ai R. la somma di L. 50.000.000 – “somma determinata in via equitativa ex art. 1226 c.c.” – “oltre che per il danno materiale e morale conseguente rispettivamente al minor uso de terreno di loro proprietà e ad un processo penale, che li ha visti imputati di reati infamanti, anche per lite temerario ex art. 96 c.p.c.” (così testualmente a pagina 6 della sentenza di primo grado);

b) con l’atto di appello il Comune di Liberi censurò la sentenza impugnata anche in ordine all’entità dei danni liquidati sostenendo che “in concreto gli attori, nella peggiore delle ipotesi, avrebbero perduto 100/200 mq. di bosco ceduo” per cui, tenuto conto del “valore medio di tali boschi in L. 8.000.000 per ettaro”, era evidente la “enormità della somma liquidata: 50.000.000 rispetto ad un danno reale di appena alcune centinaia di migliaia di L.”.

Ciò posto emerge con evidenza l’errore in cui è incorso il giudice di secondo grado nell’escludere la liquidazione di un danno morale, danno la cui sussistenza era stata riconosciuta dal tribunale con pronuncia che sul punto non aveva formato oggetto delle censure sviluppate nell’atto di appello del Comune di Liberi il quale aveva lamentato solo l’entità della somma liquidata per danno materiale facendo riferimento al valore del terreno perduto dai R. senza alcun cenno alla liquidazione del danno morale per la sottoposizione ad un processo penale e per lite temeraria.

Operando in tal modo la corte di merito è incorsa nel denunciato vizio di ultrapetizione posto che, come è noto, il giudizio di appello – in relazione al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato cui fa riscontro quello del tantum devolutum quantum appellatum – ha per oggetto la controversia decisa dalla sentenza di primo grado entro i limiti della devoluzione, quali risultano fissati dai motivi specifici che l’appellante ha l’onere di proporre con l’atto di appello. Conseguentemente incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice di appello che (come avvenuto nella specie) esamini una questione non espressamente prospettata nei motivi di gravame e che non possa ritenersi tacitamente proposta, non essendo in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate e non costituendone neppure l’antecedente logico-giuridico.

Con il terzo motivo R.G. denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. deducendo che la corte di appello, nello statuire e ridimensionare l’ammontare degli interessi quale accessorio del solo danno morale liquidato, non solo è incorsa in ultrapetizione non rientrando tale falcidia inclusa tra i motivi di gravame, ma per di più, operando una modifica delle modalità di calcolo di tale voce, ha omesso di motivare tale iniziativa.

Il motivo, concernente il calcolo degli interessi relativi alla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno materiale, è infondato in quanto la corte di appello accogliendo il motivo di gravame relativo a tale capo della sentenza del giudice di primo grado ha proceduto ad una nuova e diversa determinazione della somma da riconoscere per la detta voce di danno determinandone l’ammontare complessivo alla data della pronuncia tenendo conto dell’aumento da aggiungere – trattandosi di debito di valore – per effetto della svalutazione monetaria dal momento del sorgere del credito al momento della pronuncia. Su tale somma, così determinata, la corte di merito ha aggiunto gli interessi nella misura del 3% annuo non però sulla somma iniziale dovuta per sorta capitale e da rivalutare anno per anno su tale somma via via rivalutata, bensì “sul complessivo dovuto tenuto conto del tempo trascorso dall’evento produttivo del danno e della necessità di evitare entrate superiori al pregiudizio effettivamente subito, per effetto del cumulo di rivalutazione ed interessi legali sulla intera somma già rivalutata” (pagina 12 sentenza impugnata).

Così decidendo la corte territoriale si è correttamente adeguata al principio che questa Corte ha avuto modo di affermare secondo cui qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata con riferimento ai valori monetari esistenti alla data della liquidazione, non occorre tener conto della svalutazione verificatasi a partire dal giorno dell’insorgere del danno, essendo dovuto al danneggiato soltanto il risarcimento del mancato guadagno (o lucro cessante) provocato dal ritardo nella liquidazione. Tale risarcimento può avvenire attraverso la liquidazione di interessi ad un tasso stabilito dal giudice del merito valutando tutte le circostanze del caso, ma gli interessi non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma rivalutata, perchè la somma dovuta – il cui mancato godimento va risarcito – va aumentata gradualmente nell’intervallo di tempo occorso tra la data del sinistro e quella della liquidazione. Sull’importo liquidato all’attualità della data della pronuncia possono essere riconosciuti gli interessi compensativi, da calcolarsi nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l’equivalente monetario alla data di insorgenza del credito (data del fatto lesivo), ovvero mediante l’attribuzione di interessi sulla somma liquidata all’attualità ma (come appunto operato dalla corte di appello nella sentenza impugnata) ad un tasso inferiore a quello legale medio nel periodo di tempo che viene in considerazione, ovvero mediante il riconoscimento di interessi legali sulla somma attribuita, ma a decorrere da una data intermedia, ovvero computando gli interessi sulla somma progressivamente rivalutata anno per anno dalla data dell’illecito (in tali sensi, sentenze 23/1/2006 n. 1215;

3/8/2005 n. 16237).

Va peraltro aggiunto che, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato nella sentenza 8520 del 05/04/2007, il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual’era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria. Ne consegue che, impugnato il capo della sentenza contenente la liquidazione del danno, non può invocarsi il giudicato in ordine alla misura legale degli interessi precedentemente attribuiti e il giudice dell’impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di uno specifico rilievo sulla modalità di liquidazione degli interessi prescelta dal giudice precedente, può procedere alla riliquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore (riconoscendo gli interessi nella misura legale o in misura inferiore, oppure non riconoscendoli affatto, potendo utilizzare parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria o dalla redditività media del denaro nel periodo considerato), restando irrilevante che vi sia stata impugnazione o meno in relazione agli interessi già conseguiti e alla misura degli stessi.

In definitiva devono essere accolti i primi due motivi di ricorso e rigettato il terzo. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad altra sezione della corte di appello di Napoli che procederà ad un nuovo esame limitatamente alla liquidazione del danno morale lamentato dal ricorrente R.G. tenendo conto dei rilievi sopra svolti e dei principi sopra enunciati.

In particolare il designato giudice del rinvio provvederà a liquidare l’ammontare del risarcimento per il detto danno morale tenendo conto che: a) il danno materiale (per il minor uso del terreno in proprietà dei R.) e morale (per l’instaurazione di un procedimento penale e per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.) è stato quantificato dal giudice di primo grado in complessive L. 50.000.000;

b) avverso la sentenza di primo grado il soccombente Comune ha proposto appello limitatamente alla quantificazione del danno materiale con conseguente passaggio in giudicato del capo della detta sentenza concernente il riconoscimento del diritto dei R. al risarcimento del danno morale;

c) deve essere tenuta ferma sia la parte della sentenza impugnata relativa al rapporto tra il Comune di Liberi e R.A. (il quale non ha proposto ricorso avverso la detta sentenza che, quindi, su tale parte è passata in giudicato), sia la liquidazione del danno materiale determinata dalla corte di appello in Euro 2.582,28 all’attualità della sentenza di secondo grado oltre interessi al 3% annuo dal dicembre 1990 su tale somma;

d) il danno morale subito dal ricorrente R.G. deve essere liquidato in una somma che, aggiunta a quella di Euro 2.582,28 già definitivamente liquidata per il danno materiale subito da R.G. e R.A., nonchè a quella (da determinare) relativa al danno morale subito di R.G., non può superare la somma complessiva di L. 50.000.000 liquidata dal giudice di primo grado per danno materiale e per danno morale.

Al giudice del rinvio va rimessa anche la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione tra R.G. ed il Comune di Liberi.

P.Q.M.

la Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2010

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