Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3930 del 19/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3930 Anno 2018
Presidente: SCALDAFERRI ANDREA
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

ORDINANZA
sul ricorso 19568-2017 proposto da:
JALLOW SALIHU, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
FLAMINIA 56, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO FIOCCA,
rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO SASSI;
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente avverso la sentenza n. 186/2017 della CORTE D’APPELLO di
CAMPOBASSO, depositata il 22/05/2017;

Data pubblicazione: 19/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 16/01/2018 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza in data 22.5.2017, la Corte d’Appello di

gradata al riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria
ed alla protezione umanitaria, avanzate da Jallow Salihu, nato
in Gambia, il quale aveva esposto di essere fuggito dal paese
natale dopo avere violentato una ragazza diciassettenne ed
esser stato denunciato dai di lei genitori, e prima di essere
convocato in tribunale. Per la cassazione della sentenza ha
proposto ricorso lo Jallow Salihu, con cui denuncia omesso
esame di fatti decisivi e violazione e falsa applicazione di
norme di legge (artt. 3, 14, 16, co 1 lett. b) del D.Igs. n. 251
del 2007; 5, co 6, d.lgs. n. 286 del 1998). Il Ministero ha
resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ha deliberato, come da decreto del Primo
Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della
motivazione in forma semplificata.
2. L’impugnata sentenza ha negato il diritto alla protezione
sussidiaria, in applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 cit., art.
16, comma 1, lett. b), come modificato dal D.Lgs. 21 febbraio
2014, n. 18, art. 1, comma 1, lett. I), n. 1, secondo cui tale
protezione non può essere concessa a chi “abbia commesso al
di fuori del territorio nazionale, prima di esservi ammesso in
qualità di richiedente un reato grave. La gravità del reato è
valutata anche tenendo conto della pena, non inferiore nel
minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni, prevista
dalla legge italiana per il reato”, evidenziando che il caso
Ric. 2017 n. 19568 sez. M1 – ud. 16-01-2018
-2-

Campobasso, ha confermato il rigetto delle istanze, volte in via

ricorreva nella specie, sulla scorta delle dichiarazioni del
richiedente e della pena comminata dall’art. 609 bis c.p. Il
primo motivo, con cui si sollecita, in modo del tutto vago, una
positiva valutazione di merito circa la ricorrenza dell’ipotesi
attenuata di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p. (che, in

della libertà sessuale della vittima, in considerazione delle
modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla
persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le
caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità
della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche
sotto il profilo psichico) è, dunque, inammissibile perché
impinge nel fatto ed è generico, restando, con ciò assorbite le
considerazioni svolte circa la protestata (e contestata

ex

adverso) situazione di violenza generalizzata in Gambia.
3. Circa il mancato riconoscimento della protezione
umanitaria, che, secondo la giurisprudenza di legittimità ha
carattere atipico e residuale, in quanto copre tutta una serie di
situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non
sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela
tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non possa
tuttavia disporsi l’espulsione e debba perciò provvedersi
all’accoglienza del richiedente che si trovi in una condizione di
“vulnerabilità” (Cass. n. 15466/2014; n. 26566/2013), va
osservato che la Corte territoriale ne ha escluso i presupposti
tenuto conto che la situazione attuale del Paese di provenienza
del richiedente -quale risultante dalle più recenti informazioni
pubblicate dal Ministero dell’Interno (del 5.5.2017) in cui si dà
conto del nuovo corso già inaugurato dal nuovo Presidente del
Gambia in tema di diritti umani, e dai dati di Amnesty
International (del 27 aprile 2017)- ha consentito di concludere
Ric. 2017 n. 19568 sez. MI – ud. 16-01-2018
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tesi, implica la verifica circa la minima entità di compressione

che, rientrando in Patria, lo Jallow non corre il concreto rischio
di esser sottoposto a procedimenti giudiziari privi di garanzia
ed a trattamenti detentivi inumani e degradanti. Il motivo, che
nega la positiva evoluzione del Paese di provenienza, senza
indicare fonti alternative di informazione, limitandosi a

dovendo rilevarsi che la Corte territoriale ha compiuto la sua
indagine in relazione alle vicende narrate dal richiedente, che
non ha affatto allegato (oltre alla fuga per timore delle
conseguenze penali del reato commesso) alcuna sua specifica
condizione personale (sociale, economica o familiare).
4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come
da dispositivo. Essendo stato ammesso al patrocinio a spese
dello Stato, il ricorrente non è tenuto al versamento
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto
dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n.
115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano
in C 2.050,00, oltre a spese prenotate a debito, ed accessori,
come per legge.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2018.

richiamare giurisprudenza di merito, va dunque respinto,

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