Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3930 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 14/02/2017, (ud. 11/01/2017, dep.14/02/2017),  n. 3930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19903/2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO

SGROI, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO ed EMANUELE DE ROSE, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO

17, presso lo studio dell’avvocato FULVIO ZARDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIAMPIERO RICCI, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1512/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

emessa il 23/10/2014 e depositata il 29/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’11/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO

FERNANDES.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Bologna confermava la decisione del Tribunale di Ravenna che aveva accolto la domanda proposta da L.L. nei confronti dell’INPS ed intesa all’accertamento della non debenza alla Gestione Commercianti dell’istituto dei contributi asseritamente dovuti in qualità di socio della società “Immobiliare Splendor di F.A. e L.L. s.n.c.”. La Corte di merito osservava che la predetta società non esercitava un’attività commerciale essendosi limitata a gestire un immobile limitandosi a riscuotere il canone di locazione e, quindi, che l’attività svolta dal L. quale socio necessariamente non poteva avere un minimo di consistenza e di abitualità come attività commerciale.

a Corte di merito osservava che la predetta società non esercitava un’attività commerciale essendosi limitata a gestire un immobile limitandosi a riscuotere il canone di locazione e, quindi, che l’attività svolta dal L. quale socio necessariamente non poteva avere un minimo di consistenza e di abitualità come attività commerciale.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’INPS, in proprio e nella qualità, affidato ad un unico motivo.

Resiste con controricorso il L..

E’ stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Preliminarmente, si evidenzia che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Con l’unico motivo del ricorso viene dedotta violazione e/o falsa applicazione della L. 27 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 202, 203 e 208 (art. 360 c.p.c., n. 3) assumendosi che, contrariamente a quanto sostenuto nella impugnata sentenza, il socio di una società in nome collettivo era per ciò stesso, in quanto soggetto abilitato a compiere atti in nome della società, tenuto alla iscrizione nella Gestione Commercianti perchè l’esercizio dell’attività commerciale in modo abituale e prevalente era “in re ipsa”, ossia immediatamente e direttamente correlato all’essere socio con poteri di gestione della società; che l’attività di riscossione di canoni di locazione di immobile, rientrando in quella più ampia di gestione del patrimonio immobiliare, aveva natura commerciale.

Il motivo è infondato.

Presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è – per il disposto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203 – che sia provato lo svolgimento di un’attività commerciale che, nella specie, risulta essere stato escluso con un accertamento in fatto da parte della Corte di appello supportato da una motivazione adeguata ed immune dai denunciati vizi.

La Corte ha, infatti, rilevato che la “Immobiliare Splendor di F.A. e L.L. s.n.c.” di cui il L. era socio non svolgeva alcuna attività diretta all’acquisto ed alla gestione di beni immobili limitandosi alla riscossione del canone di locazione dell’unico immobile di cui era proprietaria.

Tale decisione è il linea con il principio già espresso da questa Corte secondo cui la società di persone che svolga una attività destinata alla locazione di immobili di sua proprietà ed a percepire i relativi canoni di locazione non svolge un’attività commerciale ai fini previdenziali a meno che detta attività non si inserisca in una più ampia di prestazione di servizi quale l’attività di intermediazione immobiliare (Cass. n. 3145 dell’11 febbraio 2013 e ribadito di recente in Cass. n. 17643 del 6 settembre 2016).

E’ evidente che dovendosi considerare lo svolgimento in concreto di un’attività commerciale non rileva il contenuto dell’oggetto sociale.

Le spese del presente giudizio, seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2.700,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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