Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3924 del 14/02/2017
Cassazione civile, sez. VI, 14/02/2017, (ud. 20/01/2017, dep.14/02/2017), n. 3924
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7559/2016 proposto da:
B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO,
19, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SERANGELI, rappresentato
e difeso dagli avvocati LORENA IANNUZZI, ALBERTO ANTONUCCI, giusta
procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CAVALLO 18 SS, in persona dei soci e legali rappresentanti pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA 37/A,
presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CANINI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato AMEDEO ROSBOCH, giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2121/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,
depositata il 25/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO
ANTONIO GENOVESE.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La Corte d’appello di Torino, con la sentenza n. 2121 del 2015 (pubblicata il 25 novembre 2015), ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da B.B. contro la sentenza del Tribunale di quella stessa città che l’ha condannato al rilascio di un box auto ed al pagamento del risarcimento dei danni in favore della Cavallo 18 s.s., oltre alla rifusione delle spese di giudizio.
Secondo la Corte territoriale, l’appellante aveva proposto un gravame inammissibile, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., atteso che, per quello che ancora rileva, oltre a non indicare le parti della sentenza che intendeva impugnare non aveva argomentato in modo specifico in ordine alle motivazioni della stessa (sulla querela di falso, si era limitato a ribadirne la rilevanza senza contestare le ragioni con le quale, all’ud. del 17 aprile 2014, il Tribunale aveva motivatamente negato la loro rilevanza ai fini del decidere; sulla quantificazione del danno, non aveva esaminato l’affermazione secondo la quale la liquidazione era ancorata all’ammontare di quanto era stato percepito senza versare tali somme nelle casse sociali).
Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia contenuta nella proposta notificata alle parti costituite nel presente procedimento, alla quale sono state mosse osservazioni critiche da parte della ricorrente.
Quest’ultima, infatti, assume l’evidente rilievo delle proprie richieste e deduzioni senza, a sua volta, corrispondere ai deficit allegativi e impugnatori evidenziati dalla Corte territoriale: il ricorso per cassazione, pertanto, si rivela ulteriormente inammissibile, omettendo di censurare quelle motivazioni e di allegare – con modalità autosufficienti – le parti del gravame che smentirebbero le deduzioni del giudice distrettuale, con particolare riferimento alla loro decisività: a) per la querela di falso, atteso che “la proponibilità della querela di falso in via incidentale, quale mezzo per rimuovere la forza probatoria di un documento posto dall’avversario a base della domanda o dell’eccezione (nella specie, la procura), esige la rilevanza del documento stesso, cioè la sua potenziale attitudine ad incidere sulla statuizione nel merito; (e che) detta indagine di fatto è rimessa al giudice della causa principale ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4310 del 2002) e, nella specie, avendo il giudice del gravame riaffermato la genericità della doglianza svolta in appello e la sua non decisorietà, anche con riguardo alla implicita irrilevanza di essa, secondo il ragionamento decisorio svolto dal Tribunale (argomentazione non censurata, neppure nell’odierna memoria); b) con riguardo alla quantificazione del danno, non avendo svolto il ricorrente adeguate censure al ragionamento della Corte territoriale che aveva ritenuto non inciso (e perciò aveva confermato) quello del Tribunale (alle pp. 9 e 10) anche per il mancato esame del vincolo da pattuizione in questa contenuta, potenzialmente assorbente di ogni altra considerazione ed anche di quella relativa alla quota tributi, la cui affermazione non è stata svolta in chiave derisoriamente incisiva in relazione al contenuto del patto.
Alla reiezione del ricorso, conseguono: a) la condanna alle spese processuali, in favore della parte controricorrente, liquidate come da dispositivo; b) e il raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte:
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore del controricorrente, in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 1, della Corte di Cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 20 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017