Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3923 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 17/02/2020), n.3923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31651-2018 proposto da:

A.Z., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PAOLA CHIANDOTTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TRIESTE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 244/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 26/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Trieste, pubblicata il 26 maggio 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da A.Z., alias A.Z., nei confronti dell’ordinanza resa dal Tribunale del capoluogo friulano il 6 giugno 2017. Con quest’ultima pronuncia era stato negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed era stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo oppone la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,7,8,11 e 12, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; oppone, altresì, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nella sostanza, l’istante si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia esaminato le proprie dichiarazioni “secondo criteri di verosimiglianza”, procedendo a una “analisi completa e sistematica delle numerose informazioni in suo possesso fornite dal ricorrente”. Viene lamentato che il giudice distrettuale non abbia adempiuto all’obbligo di indagine posto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e che sia quindi mancata l’acquisizione di una aggiornata informativa sull’attuale situazione sociopolitica del Pakistan: la Corte – secondo il ricorrente – si sarebbe limitata a generiche affermazioni senza nemmeno indicare le fonti del proprio convincimento.

Col secondo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 14 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Con esso è censurata l’affermazione della Corte di appello secondo cui la situazione del Pakistan non desterebbe particolari ragioni di preoccupazione; viene sottolineato che per conflitto locale non possa intendersi la sola guerra civile, dovendo essere ricompresa in tale nozione ogni scontro che determini rischi per l’incolumità dei cittadini. L’istante si duole inoltre del fatto che i giudici di merito non abbiano preso in considerazione il danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), costituito dal rischio di subire tortura, detenzione arbitraria o altra forma di pena o di trattamento inumano o degradante.

Il terzo mezzo, infine, lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Assume l’istante che i motivi di carattere umanitario da lui dedotti non erano stati presi nella debita considerazione.

2. Il ricorso è inammissibile, in quanto tardivo.

La notifica del ricorso data 26 ottobre 2018.

Nell’istanza di trasmissione ex art. 369 c.p.c., comma 3, del fascicolo d’ufficio alla Corte di cassazione, il ricorrente, che pure non ha indicato, nel proprio atto di impugnazione, la data di notificazione della sentenza di appello, ha precisato che quest’ultimo incombente ha avuto luogo il 26 maggio 2018: e del resto, lo stesso istante ha univocamente ammesso la tardività del proprio ricorso richiedendo preliminarmente una rimessione in termini.

Tale istanza di rimessione in termini è stata motivata avendo riguardo alla condotta del precedente difensore dello stesso ricorrente, il quale non lo avrebbe notiziato della possibilità di impugnare la sentenza di appello avvalendosi del gratuito patrocinio.

L’istanza in questione non può essere accolta.

Prima ancora di ogni approfondimento inerente alla concreta sussistenza dell’evenienza addotta, va qui osservato che il ricorrente si duole, in sostanza, di un inadempimento del proprio precedente difensore ad obblighi che sarebbero inerenti al mandato di cui questi era stato officiato. Tuttavia, in termini generali, la rimessione in termini, disciplinata dall’art. 153 c.p.c., non può essere riferita all’infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, giacchè questa circostanza attiene esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell’art. 83 c.p.c.: condotta che potrebbe, se del caso, assumere rilevanza soltanto ai fini di un’azione di responsabilità promossa contro quest’ultimo, e non già, quindi, spiegare effetti restitutori al fine del compimento di attività precluse (Cass. 17 novembre 2016, n. 23430, in fattispecie di mancata proposizione del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento; Cass. 4 marzo 2011, n. 5260, in caso di mancata costituzione in giudizio).

3. – Non vi sono spese di giudizio da liquidare.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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