Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3922 del 19/02/2018

Cassazione civile, sez. VI, 19/02/2018, (ud. 16/01/2018, dep.19/02/2018),  n. 3922

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza del 27.5.2016, confermava la decisione di primo grado che, nel pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da M.M. con M.L., aveva determinato in Euro 600,00 dell’assegno dovuto dal padre per il mantenimento dei figli L. ed A. (classe (OMISSIS) e (OMISSIS)) conviventi con la madre e gli aveva posto l’onere di provvedere in via esclusiva al mantenimento del figlio Al. (classe (OMISSIS)) con lui convivente. Il M. ricorre con tre motivi, successivamente illustrati da memoria, deducendo l’omessa pronuncia in merito alle censure da lui mosse alla sentenza di primo grado circa i rispettivi cespiti reddituali, sotto il profilo della violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.; della nullità della sentenza per difetto di motivazione; e dell’omesso esame del fatto decisivo in relazione al giudizio di bilanciamento ex art. 337 ter c.c.. La Ma. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

2. I motivi vanno rigettati.

3. Il condivisibile principio, secondo cui la mancata valutazione di un motivo d’appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado (Cass. n. 12952 del 2007; n. 26598 del 2009), non è richiamato a proposito dal ricorrente, in quanto la doglianza riferita ai redditi delle parti è stata esaminata dalla Corte territoriale, con esito per lui sfavorevole, non solo in motivata adesione alle valutazioni compiute al riguardo dal Tribunale, tenuto conto delle risultanze della Guardia di Finanza, ma anche considerando e disattendendo le critiche dallo stesso svolte, in ragione del reddito da lui stesso dichiarato nel triennio considerato – pari al doppio di quello della madre-, della mancata dimostrazione del fatto che il suo patrimonio immobiliare comprenderebbe beni inagibili, a causa del sisma, e terreni di cui sarebbe proprietario per una piccola quota, avendo egli, a tal fine indicato solo “una piccola parte dei suoi 327 appezzamenti” (cfr. pag. 2 sentenza).

4. Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha limitato, com’è noto, l’impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado in riferimento alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo di legittimità sulla motivazione rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, che è stato individuato -richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di ricorso straordinario – in relazione alle ipotesi (mancanza della motivazione;

motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014), ipotesi qui non sussistente.

5. Sotto l’altro profilo dedotto, il fatto indicato quale non esaminato – id est la condizione reddituale delle parti- risulta appieno considerato (costituendo, anzi, l’oggetto esclusivo del gravame), talchè il vizio non sussiste e la congruità del contributo imposto al ricorrente costituisce un giudizio di merito, non potendosi, ad ogni modo, non rilevare che in tema di determinazione del contributo per il mantenimento dei figli è necessario considerare costi diversi da quelli connessi al mero sostentamento, e, dunque, esigenze relative, anche, all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, con la precisazione che i figli hanno il diritto di mantenere il tenore di vita loro consentito dai proventi e dalle disponibilità concrete di entrambi i genitori, e cioè quello stesso che avrebbero potuto godere in costanza di convivenza. Va appena aggiunto che l’argomento esposto dal ricorrente in seno alla memoria, relativo alla disparità di trattamento che in tal modo deriverebbe per il figlio con lui convivente (cui residuerebbe una somma “ben inferiore” rispetto a quella determinata per i fratelli), è nuovo, non avendolo trattato i giudici del merito, e, comunque, attiene a valutazioni di merito.

6. In relazione alle dedotte violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c., va osservato che la censura in sede di legittimità riferita alla prima di dette disposizioni può solo denunciare o che il giudice abbia negato di doverla osservare, o che abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti; laddove la violazione dell’art. 116 c.p.c. è concepibile quando il giudice abbia attribuito il valore di prova legale ad una risultanza da valutare secondo il suo prudente apprezzamento o viceversa abbia prudentemente apprezzato una prova avente valore legale (cfr. Cass. n. 11892 del 2016), e tali vizi non sono stati neppure dedotti.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in Euro 2.100,00, oltre a spese generali e ad accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis. In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2018

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