Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3921 del 17/02/2011

Cassazione civile sez. I, 17/02/2011, (ud. 24/01/2011, dep. 17/02/2011), n.3921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – rel. Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI SAN DONA’ DI PIAVE (c.f. (OMISSIS)), in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso l’avvocato DI PIERRO NICOLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FAGOTTO SANDRO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.I. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 300 – PAL.C, presso l’avvocato RAVA’

GIANFRANCO, rappresentato e difeso dall’avvocato SACCO GIUSEPPE,

giusta procura a margine del controricorso; IMPRESA FRATTOLIN S.P.A.

IN LIQUIDAZIONE (c.f. (OMISSIS)), in persona del Commissario

Giudiziale liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso l’avvocato VAIANO DIEGO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ARTALE SEBASTIANO,

VAIANO PAOLO, ZECCHINI ANNAPAOLA, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 175/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 31/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MARIA BERRUTI;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato STELLA DONELLA, per delega

Avv. VAIANO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il comune di San Donà del Piave conveniva davanti al Tribunale di Venezia la S.p.A. Impresa Frattolin e l’ingegnere P.I., rispettivamente appaltatrice dei lavori di una rete fognaria comunale la prima, progettista dell’opera e direttore dei lavori, il secondo.

L’attore, richiamando anche il risultato di un accertamento tecnico preventivo da esso richiesto e regolarmente svolto, chiedeva, si legge nella narrativa della sentenza impugnata, che i convenuti fossero condannati in solido a risarcire i danni ad esso ente prodotti per effetto delle difformità e dei vizi dell’opera.

Resisteva l’impresa negando anzitutto l’esistenza di un obbligo di garanzia ai sensi dell’art. 1667 c.c. avendo a suo dire la stazione appaltante accettato l’opera, e negando comunque, oltre all’esistenza stessa dei vizi,comunque il loro carattere occulto.

Si costituiva pure l’ingegnere P. contestando le risultanze dell’accertamento tecnico preventivo e rilevando, quindi, che progetto ed opera riguardavano una rete fognaria bianca e non una rete mista, tale da poter essere adibita al deflusso di acque nere e bianche. Cosicchè i rilievi che il comune avanzava relativamente a fuoruscita, peraltro mai verificatasi, ovvero a commistione tra acque bianche e nere, non dipendevano, seppure mai verificatesi, da cattiva progettazione o da cattiva realizzazione, ma piuttosto dall’uso concreto dell’opera da parte del committente.

Espletata l’istruttoria il tribunale accoglieva la domanda del Comune condannando in solido i convenuti al pagamento della somma di L. 193.000.600, oltre ad interessi e spese di giudizio.

Proponevano appello la spa Frattolin e l’ingegnere P..

Resisteva all’appello e proponeva appello incidentale il comune di San Donà.

La corte di Venezia accoglieva gli appelli principali e dichiarava infondata ogni pretesa anche incidentalmente proposta da parte del Comune.

Riteneva, per quanto rileva nella presente fase di legittimità, di escludere anzitutto ogni responsabilità del progettista ingegner P., e ciò pur considerando che la sentenza di primo grado, non impugnata sul punto, aveva pronunciato la sua condanna ai danni solo con riferimento all’attività di direttore dei lavori e non anche a quella di progettista. La Corte di merito giungeva a questa conclusione rilevando che il progetto affidato al tecnico era relativo ad una rete di sole acque bianche meteoriche, e non anche, come erroneamente sostenuto dal Comune, di acque luride. Affermava quindi che esso era stato redatto a regola d’arte e invece che il progetto stesso, successivamente, era stato stravolto dal Comune committente, che aveva adibito l’opera realizzata a funzioni affatto diverse da quelle considerate al momento del conferimento dell’incarico di progettazione. La sentenza della Corte veneta sul punto valorizzava la consulenza tecnica di ufficio redatta dal professor M..

La Corte di merito, in proposito, rilevava l’errore della prima sentenza che aveva fondato la sua pronuncia di condanna al risarcimento dei di danni, su di un mero “pericolo”, di fuoruscita dei liquami, ancorchè poi questa non fosse stata provata e comunque, benchè nella realtà degli 11 anni successivi alla realizzazione della fogna un fatto simile non si fosse mai verificato.

Osservava anche che, in ogni caso, i pretesi vizi dell’opera, ovvero la contestata esattezza delle giunture tra le tubazioni, non si sarebbero potuti considerare, se mai fossero stati realizzati,come dipendenti da inadempimento del progettista o del direttore dei lavori, giacchè il Comune si era impegnato contrattualmente ad assolvere all’onere del controllo quotidiano sull’andamento dei lavori attraverso il suo ufficio tecnico, da certificarsi nel cosiddetto Giornale dei lavori. Ed altresì perchè il Comune non aveva mai partecipato al progettista il suo intento di utilizzare l’impianto anche per il deflusso di acque nere.

Quindi il secondo giudice, pur rilevando il carattere assorbente dell’accoglimento del fondamentale motivo di appello concernente l’esistenza e/o l’azionabilità dei lamentati vizi, riteneva di esaminare tuttavia, per dichiarata completezza di motivazione, anche i successivi motivi avanzati in subordine nell’atto di appello, e ne affermava per tutti la fondatezza.

Riteneva pertanto, diversamente dal primo giudice, fondate le eccezioni di inesistenza della garanzia dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1667 c.c., dal momento che i pretesi vizi sarebbero stati anzitutto riconoscibili, ma soprattutto conosciuti al momento dell’accettazione dell’opera. valorizzava all’uopo l’avvenuto positivo superamento del collaudo tecnico.

Riteneva fondata l’eccezione di prescrizione dell’azione di garanzia, ai sensi del comma tre della norma del codice civile innanzi citata, per superamento del termine biennale ivi previsto. Riteneva viziata da extra petizione la sentenza impugnata, ed errata la valutazione dei danni compiuta.

Il Comune di San Dona del Piave ricorre per Cassazione con 10 motivi erroneamente numerati fino alla cifra di 11 a partire dal settimo motivo, e dedicandone in particolare due alla esclusiva posizione processuale dell’ingegnere P..

Resistono con distinti controricorsi La società Frattolin e l’ingegner P..

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il Comune di San Donà del Piave lamenta la violazione degli artt. 1665, 1176, 1372, 1667, 1668, 1669 c.c., nonchè la motivazione insufficiente, erronea, illogica sul punto decisivo della causa, costituito dalla circostanza della sussistenza dei vizi dell’opera idraulica.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112, 105 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1655, 1667 1669 c.c., nonchè ancora la motivazione omessa, insufficiente, erronea ed arbitraria, sui punti decisivi della valutazione delle prove relative all’oggetto del contratto di appalto e dunque alla valutazione dei vizi della opera. Gli stessi vizi della motivazione innanzi invocati, il ricorrente lamenta anche con riferimento al punto decisivo nel quale la sentenza impugnata ha escluso il danno risarcibile.

3. Con il terzo motivo di ricorso il Comune lamenta ancora la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1667,669, 1662, 1669 c.c. e la motivazione errata e contraddittoria su un punto decisivo della controversia costituito dall’esclusione da parte della corte di merito del carattere occulto dei vizi pretesi, ovvero ancora dalla ritenuta circostanza dell’accettazione dell’opera da parte del committente e, infine, della affermata riconoscibilità comunque dei vizi allegati.

3.a. I tre motivi vanno esaminati insieme dal momento che tutti, anche sotto profili in parte diversi, riguardano il fondamentale accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito. La corte di Venezia infatti ha rilevato, in essenziale sintesi, che a) l’appaltatore aveva eseguito l’opera così come era stata commissionata; b) che questa non prevedeva la costruzione di una fogna per acque bianche e nere insieme, con la conseguenza che l’uso promiscuo che ne era stato fatto in ogni caso non poteva tornare a danno dell’appaltatore; c) che nella specie era stata proposta azione di danno e non istanza di eliminazione dei vizi dell’opera, la quale, in ogni caso, nemmeno essa poteva essere accolta perchè l’opera era stata controllata durante la sua esecuzione dall’Ufficio tecnico del Comune che mai aveva eccepito alcunchè e mai aveva prodotto all’uopo il Giornale dei lavori; d) che l’opera era stata collaudata con esito positivo, ed al termine dei lavori era stata accettata senza alcuna riserva. Per di più i pretesi vizi, in particolare le disgiunzioni tra le tubature in ogni caso non si potevano considerare occulti ma invece dovevano ritenersi pienamente riconoscibili e peraltro conosciuti al momento della consegna.

3.a. La sentenza dunque nega in fatto l’esistenza dei vizi occulti nell’opera. Il ricorrente , consapevole dei limiti di ricorso per cassazione, non nega talune delle circostanze che, come si è sintetizzato, la Corte valorizza nel suo accertamento. Non nega dunque l’avvenuta accettazione dell’opera da parte di esso Comune committente, ma, per l’appunto, collegando il preteso errore nella progettazione dell’opera idraulica, che a suo avviso doveva essere mista ovvero relativa anche ad acque nere con il carattere a suo dire occulto dei pretesi vizi che sostiene ipotizzando il pericolo del deflusso di acque nere (il pericolo è circostanza occulta in quanto tale) tenta di negare gli effetti liberatori dell’accettazione da parte della committenza e con essa la decadenza dall’azione poi esperita.

Ma questo tentativo non può avere successo. Perchè i pretesi vizi tutti di cui pretende di discutere il ricorrente risalgono tutti, comunque, ad una premessa fondamentale nel suo ragionamento:

l’appalto aveva ad oggetto un’opera per acque bianche e nere insieme.

Solo in tale prospettiva, insomma, i difetti, capaci di far fuoriuscire dalle tubature le acque nere, sono ipotizzabili, e quindi ricercabili nel concreto. Ma tale presupposto è stato negato, con ricostruzione di fatto incensurabile in questa sede perchè adeguatamente motivata, dal giudice di secondo grado: il contratto ebbe ad oggetto un’opera idraulica che doveva raccogliere acque meteoriche e dunque esclusivamente bianche. L’uso che ne venne fatto dipese dal committente. Fu una sua scelta. Pretendere, come fa diffusamente il Comune nei sintetizzati motivi, che al momento dell’incarico di progettazione, siffatto intento di un uso misto dell’opera fosse stato manifestato, vuoi dire affermare una circostanza che il giudice del merito ha escluso. Tra l’altro osservando la mancanza di alcun rilievo da parte dell’ufficio tecnico del Comune tenuto al controllo quotidiano dell’andamento dei lavori.

Una difformità così vistosa, tale da escludere una funzione che a dire dell’odierno ricorrente era invece essenziale, avrebbe dovuto costituire oggetto di specifici rilievi tecnici.

Dunque infondate sono le esaminate doglianze, in quanto collegate a tale inesistente presupposto.

4. La trattazione dei quarto motivo, con il quale il Comune ricorrente lamenta la violazione degli artt. 166 e 1669 c.c., e la motivazione inadeguata sul punto della prescrizione dell’azione contro l’appaltatore per decorso del biennio dalla consegna dei lavori, è assorbita dal rigetto dei primi tre motivi. Infatti la motivazione relativa alla mancanza tout court dei vizi dell’opera è sufficiente a sostenere la statuizione.

5. Il quinto motivo con il quale il ricorrente lamenta violazione dell’art. 1668 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. nonchè la motivazione inadeguata sul punto, riproduce parte della doglianza trattata al secondo motivo. E’ appena il caso di precisare che la corte di merito non ha affatto negato in astratto la possibilità di chiedere all’appaltatore il risarcimento dei danni nella misura corrispondente alle spese necessarie al ripristino dell’opera, purchè questi formuli specifica domanda in tal senso, e non, come nella specie è avvenuto, in modo generico e quale mera conseguenza dell’affermato inadempimento. Inadempimento che non vi è stato, secondo il giudice.

Poichè questo, si è detto, non vi è stato, anche la trattazione di questo motivo risulta assorbita dal rigetto dei primi.

6. Con il sesto motivo mediante il Comune ricorrente, lamentando la violazione della L. n. 2248 del 1865, artt. 342, 343, 344 e del R.D. n. 350 del 1895, art. 20 rimprovera alla Corte di Venezia di avere dimenticato che l’appaltatore non deve eseguire l’opera se il progetto è carente, in realtà ancora una volta tenta di sostenere che poichè oggetto dell’appalto era un’opera mista, funzionale cioè per acque nere e bianche, il progetto, in quanto dimentico delle acque nere, era inadeguato. La trattazione del motivo risulta pertanto assorbita dal rigetto della fondamentale doglianza che si è già esaminata.

7. Il settimo motivo, erroneamente contrassegnato con il numero 8, che lamentando ancora la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. nonchè dell’art. 2697 c.c. critica la valutazione delle prove del giudice del merito sul punto della rigettata domanda di risarcimento, è inammissibile perchè ancora una volta tenta di riesaminare i fatti, con prospettazione già esaminate.

8. Inammissibile è anche l’ottavo motivo (contrassegnato con il numero nove) mediante il quale allegando la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, valorizzando erroneamente la mancata fuoruscita dei liquami nei 15 anni successivi alla consegna dell’opera, abbia argomentato a favore della mancanza di indizi dei vizi lamentati. La censura tende ancora una volta a riesaminare i fatti di causa giacchè, s’è detto, la Corte di merito ha inserito l’annotazione appena menzionata dentro di un quadro complessivo che fa escludere che oggetto della progettazione altro non fosse che un’opera per acque bianche.

9. E’ inammissibile il nono motivo ,erroneamente contrassegnato col numero 10, che allegando ancora la violazione degli artt. 1667, 1668, 1669, 1222, 1176 c.c. e del R.D. n. 350 del 1895, art. 3 sostiene l’arbitrarietà della sentenza laddove ha ritenuto esente da ogni responsabilità l’autore del progetto ing. F.. Afferma infatti che questi era a conoscenza dell’intento del committente di utilizzare l’opera anche per le acque nere cosicchè il progetto fu inadeguato. Per ragioni già esposte nell’esame dei motivi che procedono questo motivo tende a rivedere i fatti di causa, in particolare relativi ai vizi pretesi, accertati con motivazione adeguata.

10. Inammissibile è anche l’ultimo motivo, erroneamente contrassegnato con il numero 11, con il quale il ricorrente allegando la violazione degli artt. 112, 215, 100, 16, 2110, 113 c.p.c. lamenta la cattiva lettura dei fatti di causa da parte della Corte veneta, che avrebbe conferito eccessivo ed illogico rilievo alla mancata produzione da parte del Comune, del Giornale dei lavori. La circostanza invece, si è detto, è inserita in un coerente contesto di fatti che oggi il ricorrente non può riesaminare.

11. Il ricorso deve essere respinto. Il ricorrente va condannato spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 7000,00 per onorari oltre ad Euro 200,00 per esborsi, nonchè alle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2011

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