Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3920 del 17/02/2011

Cassazione civile sez. I, 17/02/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 17/02/2011), n.3920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17367/2005 proposto da:

BANCA DI PIACENZA SOC. COOP. A R.L. (c.f. (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA LIMA 48, presso l’avvocato MEO Giorgio, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati RESCIGNO MATTEO, MONTAGNA

GIOVANNI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A.M. – COOPERATIVA AGRICOLA DI MACELLAZIONE S.C.A R.L.;

– intimata –

sul ricorso 22462/2005 proposto da:

PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA DELLA C.A.M. –

COOPERATIVA AGRICOLA DI MACELLAZIONE S.C. A R.L. (c.f.

(OMISSIS)), in persona dei Commissari liquidatori pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 1, presso

l’avvocato GAITO VIRGILIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ALGANI ALDO, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

BANCA DI PIACENZA S.C.A R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIMA 48, presso

l’avvocato MEO GIORGIO, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati RESCIGNO MATTEO, MONTAGNA GIANNI, giusta procura a margine

del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 32/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata l’8 marzo 1995 il commissario liquidatore della C.A.M. Cooperativa Agricola di Macellazione a r.l., posta il liquidazione coatta amministrativa con D.M. 16 marzo 1990 e dichiarata insolvente con sentenza del 19 dicembre successivo, convenne in giudizio la Banca di Piacenza s.c.a.r.l.. Premesso che la C.A.M. aveva tenuto presso la banca convenuta un “conto anticipi salvo buon fine a giro immediato”, sul quale veniva contabilizzato lo sconto di effetti, e un conto corrente ordinario, sul quale veniva accreditato il netto ricavo delle operazioni di sconto, e che nell’anno anteriore al decreto di liquidazione coatta amministrativa, nella consapevolezza dell’insolvenza della C.A.M. da parte della banca, erano stati scontati effetti per complessive L. 1.070.244.357, chiese la revoca delle predette operazioni, o, quantomeno, di una rimessa solutoria di L. 7.741.665 sul conto corrente ordinario.

La banca resistette, e il Tribunale di Piacenza respinse la domanda principale e revocò il solo pagamento di L. 7.741.665.

Il commissario liquidatore propose appello, chiedendo l’accoglimento della domanda respinta in primo grado. La banca resistette e propose appello incidentale per il rigetto anche della domanda subordinata.

La Corte di Bologna accolse il gravame principale, configurando quali pagamenti anomali, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, le operazioni in questione e affermando che la revoca era stata richiesta anche a detto titolo sin dall’introduzione del giudizio di primo grado. Condannò, quindi, la banca all’ulteriore pagamento di L. 1.040.254.751 (detraendo dalla somma pretesa dal commissario il solo importo degli insoluti accertato dal CTU), pari ad Euro 541.244,98. Respinse, inoltre, l’appello incidentale.

A proposito del requisito soggettivo della revocatoria, la Corte osservò che la banca non aveva dato la prova della inscientia decoctionis, necessaria per contrastare la domanda di revoca dei pagamenti anomali, e che il commissario liquidatore aveva, invece, fornito la prova della scientia decoctionis quanto al pagamento di L. 7.741.665, revocato ai sensi del secondo comma della stessa norma, eseguito il 29 settembre 1989. Infatti lo stato di insolvenza della C.A.M. risultava in maniera eclatante dal bilancio dell’esercizio 1988, depositato il 19 luglio 1989, e dalla relazione del consiglio di amministrazione ad esso allegata; ed era, inoltre, chiaramente desumibile anche dal bilancio dell’esercizio precedente, come consentivano di affermare i dati obbiettivi esposti in una relazione di consulenza tecnica di ufficio espletata in altro procedimento e prodotta nel giudizio di appello dal commissario liquidatore. Il che era sufficiente per affermare in via presuntiva che alla data della rimessa un osservatore particolarmente attento ed esperto, come una banca, “non potesse non conoscere lo stato di decozione della C.A.M.”, tanto più che all’analisi di quei bilanci la banca era tenuta nell’ambito dell’istruttoria relativa a un finanziamento richiesto dalla cooperativa, inizialmente accordato per L. 1.000.000.000 e quindi, nell’agosto 1989, ridotto, sia pure su formale richiesta della cliente, a sole L. 500.000.000 già erogate il 26 giugno precedente.

Nè, ad avviso dei giudici di appello, era indicativa di inscientia decoctionis la concessione di linee di credito alla cliente, trattandosi di circostanza in genere estremamente ambigua, ricollegabile anche all’erroneo convincimento di potere comunque rientrare dell’esposizione, come nella specie era presumibilmente avvenuto in relazione ai rilevanti finanziamenti pubblici sistematicamente accordati alla C.A.M..

La Banca di Piacenza s.c.a.r.l. ha quindi proposto ricorso per cassazione per quattro motivi, cui il commissario liquidatore ha resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale condizionato per un solo motivo, al quale la ricorrente principale ha risposto, a sua volta, con controricorso. Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I ricorsi principale e incidentale, proposti avverso la medesima sentenza, vanno previamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. – Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione dell’art. 345 c.p.c. e vizio di motivazione, si ripropone la tesi dell’inammissibilità della domanda di revoca ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2. Si ribadisce che essa era stata formulata dal commissario soltanto con l’atto di appello e si contesta l’assunto della Corte di merito secondo cui era già contenuta nella citazione introduttiva e nelle conclusioni del giudizio di primo grado.

2.1. – Il motivo è fondato.

2.1.1. – Va premesso che, essendo denunciato un error in procedendo, la questione va decisa in base al diretto esame degli atti del giudizio di merito.

Questa Corte, invero, ha già avuto occasione di affermare (sent.

10423/2005) che, per quanto l’interpretazione della domanda sia frutto di un tipico giudizio di fatto riservato al giudice del merito, il giudice di legittimità può procedere all’esame della domanda stessa e delle altre risultanze processuali onde accertare se le richieste formulate con l’atto di appello integrino gli estremi di una domanda diversa (e quindi nuova) rispetto a quella avanzata nella precedente fase di giudizio, e, come tale, inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c.. Ciò perchè, come affermato anche dalle Sezioni Unite (sent. 10840/2003), ove sia stata dedotta la violazione di una norma processuale, se il giudice di legittimità riscontra il vizio denunziato non può limitarsi a porre nel nulla la decisione impugnata e ad enunciare, se del caso, il principio di diritto al quale il giudice del rinvio dovrà attenersi, ma deve sostituire la propria alla statuizione cassata, procedendo alla diretta applicazione della norma processuale, previa verifica dell’esistenza, nel caso concreto, della fattispecie astrattamente prevista dal legislatore.

Il Collegio ritiene di dare continuità a tale orientamento, pur nella consapevolezza del dibattito mai sopito nella giurisprudenza di legittimità fra la tesi che riconosce alla Corte di cassazione ampi poteri di sindacato sull’accertamento del fatto allorchè sia denunciato un error in procedendo (per la quale v., oltre alle sentenze sopra citate, Cass. 254/2006, 409/2006, 17109/2009, fra le più recenti) e la tesi che, viceversa, limita anche in tal caso i poteri del giudice di legittimità sull’accertamento del fatto alla verifica della correttezza della motivazione del giudice di merito sul medesimo accertamento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (per la quale cfr., fra le più recenti, Cass. 16596/2005, 15603/2006, 17947/2006, 20373/2008, 5712/2009).

2.1.2. – Dall’esame degli atti, e anzitutto dell’atto di citazione in primo grado, emerge chiaramente che l’attore aveva proposto, quanto alle operazioni di cui trattasi, compiute nell’anno anteriore al decreto di liquidazione coatta amministrativa, domanda di revoca esclusivamente ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, in via principale riguardando le stesse operazioni come cessioni di crediti (punto 1.A. delle conclusioni: “Revocare, ai sensi della L. Fall., art. 61, comma 2, tutte le operazioni qualificabili come contratti, e definite come “anticipi salvo buon fine a giro immediato mediante i quali la C.A.M. ha ceduto a titolo oneroso alla Banca di Piacenza gli specificati effetti, il cui netto ricavo risulta dagli estratti conto mensili del conto anticipi n. 05/4087 e del conto corrente ordinario n. 05/4084, aperti presso la Filiale di Castelvetro Piacentino …

nel periodo dal 16.3.1989 al 16.3.1990: e conseguentemente, dato atto dell’impossibilità della restituzione dei titoli oggetto delle singole operazioni, condannare la Banca di Piacenza soc. coop. a r.l.

al pagamento del tantundem”) e in via gradata prendendo in considerazione i pagamenti insiti nelle medesime operazioni, ossia le rimesse, aventi natura solutoria, pervenute sul conto corrente ordinario quale accredito del netto ricavo delle cessioni (punto 2.A. delle conclusioni: “In alternato subordine, qualora non fossero ritenute revocabili le operazioni di cui al punto n. 1.A., revocare tutte le rimesse conseguenti, pervenute dalle predette operazioni sul conto corrente ordinario n. 05/4084, ed aventi natura solutoria…”).

Solo in fine, al punto 3 delle conclusioni (riproposte pedissequamente all’udienza finale di precisazione davanti al giudice istruttore), si chiede di “revocare tutti gli eventuali atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali di pagamento, compiuti a far data dal 16.3.1988”. Si omette, tuttavia, di precisare quali siano i pagamenti anomali cui si fa riferimento. Di certo, però, l’attore non si riferiva alle operazioni di cui ora si discute. La predetta omissione, invero, non era casuale, o dovuta a un difetto di redazione dell’atto (si noti la precisione con cui, invece, le operazioni oggetto di revoca sono indicate nei punti precedenti, sopra trascritti), ma era dovuta al fatto che l’attore intendeva riferirsi a ulteriori atti – diversi da quelli che ci riguardano – che però egli non era ancora in grado di precisare (e mai preciserà in seguito), come emerge chiaramente dal seguente passaggio a pag. 4 dell’atto di citazione: “Della ricorrenza dello stato di insolvenza anche nell’anno anteriore a quello di cui alla L. Fall., art. 61, comma 2, si è testè affermata l’esistenza onde rendere oggetto della presente azione revocatoria anche gli atti estintivi di debiti pecuniari non effettuati con mezzi normali di pagamento (ai sensi della L. Fall., art. 61, comma 1, n. 2), di cui dovesse venir accertata l’esistenza: volta che gli istituti di credito convenuti avranno posto la deducente nella condizione di verificarlo, non avendone essa avuta la possibilità a seguito dei precedenti sequestri di tutta la documentazione…”.

Insomma, la revoca ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, veniva richiesta con riguardo ad atti che erano qualificati “eventuali” (punto 3 delle conclusioni) nel senso che di essi si sarebbe fatta menzione, successivamente, nell’eventualità che fossero emersi dalla necessaria documentazione allorchè fosse stata posta a disposizione del commissario.

La diversa formulazione delle conclusioni in appello (“… revocare, ai sensi della L. Fall., art. 61, comma 2, e/o ai sensi della L. Fall, art. 61, comma 1, n. 2, tutte le operazioni qualificabili come contratti e definite come anticipi salvo buon fine a giro immediato…”), chiaramente comprensiva anche del titolo non invocato in primo grado, era dunque inammissibile; con la conseguenza che la sentenza impugnata va cassata nella parte in cui, esclusa l’inammissibilità, ha esaminato nel merito e quindi accolto la domanda di revoca ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2.

Per tale parte la cassazione è senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, ult. Parte.

3. – Nell’accoglimento del primo restano assorbiti il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, entrambi riguardanti l’accoglimento della predetta domanda: accoglimento censurato per la configurazione, a dispetto della giurisprudenza di legittimità, di una fattispecie di pagamento anomalo in un caso in cui mancava qualsiasi debito pregresso da estinguere e le cessioni avevano, dunque, mera funzione di garanzia o estintiva delle corrispondenti anticipazioni (secondo motivo), nonchè per la qualificazione perplessa della fattispecie quale cessione di crediti, ovvero sconto, ovvero ancora mandato irrevocabile all’incasso (terzo motivo).

4. – Il quarto motivo del ricorso principale attiene all’elemento soggettivo della revocatoria fallimentare. La ricorrente contesta sia (a) l’affermata mancanza di prova della inscientia decoctionis, con riferimento alla domanda di revoca per L. 1.040.254.751 accolta ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, sia (b) l’affermata sussistenza della prova della scientia decoctionis, con riferimento alla domanda di revoca della rimessa solutoria di L. 7.741.665, accolta ai sensi del secondo comma della medesima norma.

Va da sè che la prima censura (a), consistente nel rilievo dell’apoditticità della statuizione di insussistenza della prova dell’inscientia decoctionis, è assorbita dalla inammissibilità della domanda cui, in definitiva, essa attiene, accertata in accoglimento del primo motivo di ricorso.

La seconda censura (b), relativa alla prova della scientia decoctionis, si articola nei seguenti profili:

a) violazione del principio secondo cui va provata la conoscenza effettiva – e non la semplice conoscibilità – dello stato d’insolvenza dell’imprenditore: violazione rivelata anche dall’affermazione dei giudici di appello secondo cui la banca “non poteva non sapere”;

b) insufficienza, comunque, della motivazione perchè non è chiarito come e perchè da tale ultima asserzione discenda la prova di una conoscenza effettiva;

c) contraddittorietà della motivazione, in cui si afferma anche, all’opposto, che la banca riteneva solvibile la C.A.M. in ragione dei finanziamenti pubblici;

d) insufficienza della motivazione per la mancanza di qualsiasi cenno ai dati di bilancio che avrebbero reso “eclatante” l’emersione dell’insolvenza;

e) irrilevanza, ai fini della prova della scientia decoctionis, di bilanci da cui, come nella specie, lo stato d’insolvenza emerga solo attraverso analisi complesse e approfondite;

f) carenza di motivazione considerato che il bilancio della C.A.M. al 31 dicembre 1989 (recte: 1988) non evidenziava alcuna perdita di esercizio nè era accompagnato da una relazione degli amministratori che la evidenziasse;

g) con riferimento al richiamo della consulenza tecnica di ufficio redatta in altro processo e prodotta in giudizio dal commissario:

g1) violazione del dovere di motivare senza ricorrere alla mera recezione di un documento esterno, tanto più se avente valore di mero elemento di prova e non di vera e propria consulenza tecnica di ufficio;

g2) acritica recezione della medesima consulenza senza neppure indicare gli elementi che, in base ad essa, avrebbero dimostrato lo stato l’insolvenza della C.A.M.: il che nasconde il fatto che, in realtà, gli esiti della consulenza erano il frutto di un’analisi tecnica sofisticata e non dell’immediata lettura del dato contabile, che sola può costituire legittima base dell’inferenza della scientia decoctionis;

g3) inammissibilità, tempestivamente eccepita, della produzione del documento solo in sede di precisazione delle conclusioni e omessa motivazione su detta eccezione.

4.1. – Sotto i profili a), b) e c) il motivo è inammissibile perchè non si confronta con la reale ratio, sul punto, della decisione impugnata.

La Corte d’appello, invero, ha espressamente affermato essere necessaria la conoscenza effettiva dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte dell’accipiens, e tale significato ha inteso esprimere con la locuzione “non poteva non sapere”, che evoca appunto l’esito positivo del procedimento inferenziale mediante il quale solitamente si accertano gli stati psicologici. Quindi non vi è nè violazione nè falsa applicazione di legge; si tratta, semmai, di verificare se l’inferenza della conoscenza effettiva sia adeguatamente motivata. E a questo proposito va certamente sgombrato il campo dalla censura di contraddittorietà sub c), inammissibile perchè la Corte d’appello non ha inteso affermare che la banca ritenesse solvibile la C.A.M., ma soltanto che la stessa avrebbe potuto superare lo stato di insolvibilità, pur sussistente, o comunque provvedere al rimborso del finanziamento, grazie a futuri, eventuali, ancorchè probabili, contributi esterni.

4.2. – Segue, nell’ordine logico, l’esame del profilo g3), relativo all’ammissibilità di una delle fonti di prova della scientia decoctionis, la relazione di consulenza tecnica di ufficio redatta in altro processo.

Il profilo di censura è infondato, trovando nella specie applicazione l’art. 345 c.p.c., nel testo anteriore alla novella di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353 (la citazione introduttiva del giudizio in primo grado risale, come si è riferito all’inizio, a data anteriore al 30 aprile 1995), che consentiva la produzione di nuovi documenti in appello. Nè, trattandosi di questione processuale, rileva l’omissione di motivazione o espressa pronuncia del giudice sulla relativa eccezione.

4.3. – Il motivo è, invece, fondato quanto al profilo d) e, nei sensi di cui sì dirà appresso, ai profili g1) e g2).

La Corte d’appello ha ritenuto di basare il ragionamento presuntivo mediante il quale ha accertato la scientia decoctionis sul fatto che lo stato di insolvenza della C.A.M. “non solo risultava in modo eclatante dal bilancio dell’esercizio 1988, depositato il 19-7-1989, e dalla relazione del C.d.A. allo stesso allegata ma, come consentono di affermare i dati obiettivi esposti nella relazione del c.t.u.

Dott. V.D., espletata in altro giudizio (…), era chiaramente desumibile anche dal bilancio dell’esercizio precedente”.

Tuttavia la sentenza non dice quali siano i dati del bilancio dell’esercizio 1988 e dell’annessa relazione degli amministratori rivelatori dell’insolvenza, nè quali siano i dati obiettivi esposti nella relazione del c.t.u. parimenti rivelatori con riferimento all’esercizio precedente.

La motivazione della sentenza ben può fare riferimento ad altri documenti acquisiti agli atti (motivazione c.d. per relationem), ma occorre che dalla giustapposizione del testo da lui redatto e di quello cui fa rinvio il suo ragionamento risulti con sufficiente chiarezza e precisione.

Nella specie, invece, senza le precisazioni di cui si è detto il ragionamento dei giudici di appello si rivela inidoneo, per l’estrema genericità dei riferimenti su un punto essenziale, a rendere possibile la comprensione da parte del lettore e, soprattutto, il controllo delle parti e del giudice dell’impugnazione, costituente scopo precipuo della motivazione della sentenza. I documenti contabili, invero, generalmente contengono i dati più vari, non tutti ovviamente significativi ai fini che qui rilevano: era pertanto necessario che il giudice di merito precisasse quali di quei dati erano, a suo giudizio, effettivamente indicativi dell’insolvenza della C.A.M. e perchè.

Sul punto la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, affinchè motivi in ordine alla scientia decoctionis della banca.

Sono in ciò assorbiti tutti i restanti profili di censura dedotti con il motivo in esame.

5. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale si sollecita l’accoglimento della domanda di revoca delle operazioni di anticipo salvo buon fine a giro immediato”, di cui si è detto, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, quali atti a titolo oneroso o pagamenti.

5.1. – Il motivo, come riconosciuto dallo stesso ricorrente incidentale, è inammissibile in quanto attinente a questioni non esaminate dal giudice di appello perchè assorbite. Tali questioni, ovviamente, restano impregiudicate e aperte nel giudizio di rinvio.

6. – Il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo e, nei sensi di cui in motivazione, il quarto motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti il secondo e il terzo motivo del medesimo ricorso; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa, in relazione alle censure accolte, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2011

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