Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3919 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 17/02/2020), n.3919

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20935-2018 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VALENTINA SASSANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO CONIMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DILLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TORINO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositato il 30/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Torino del 30 maggio 2018. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, O.E. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato; con lo stesso provvedimento è stato negato che il predetto istante potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo è lamentata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Lamenta il ricorrente che il Tribunale abbia respinto la propria domanda di protezione sussidiaria senza tener conto di numerose informazioni sulla situazione generale della propria città natale: ad avviso dell’istante, la sentenza impugnata dovrebbe esssere cassata nella parte in cui il giudice di prima istanza avrebbe erroneamente valutato le condizioni della propria regione di origine.

Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale, nel valutare se ricorressero le condizioni per la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), ha affermato che la situazione del paese di provenienza sarebbe rilevante, ai fini della tutela richiesta, solo se correlata alla specifica posizione del richiedente, il quale “rischi verosimilmente specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica ovvero nocumenti rilevanti e concreti alla propria incolumità”. Ha poi evidenziato che “i riferimenti alla situazione attuale contenuti nel ricorso sono del tutto generici, in quanto relativi anche a regioni geograficamente molto distanti da quella di provenienza del ricorrente”; con riguardo al requisito soggettivo, poi, ha affermato non essere emersi “fattori di individualizzazione del rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona”.

Ora, l’affermazione per cui la situazione del paese di provenienza sarebbe rilevante, ai fini della protezione invocata, solo se correlata alla specifica posizione del richiedente non può essere riferita alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): e infatti il principio è stato enunciato da questa Corte con riguardo alla diversa ipotesi avente ad oggetto lo status di rifugiato (cfr. infatti Cass. 10 maggio 2011, n. 10177 e, più di recente, Cass. 21 novembre 2018, n. 30105, ove si sottolinea come ai fini del riconoscimento del detto stalla, la situazione socio-politica o normativa del Paese di provenienza è rilevante solo se sia possibile raccordarla al fondato timore del richiedente di una persecuzione personale e diretta, per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita, e quindi alla sua personale esposizione al rischio di specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica).

Per la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) vanno svolte diverse considerazioni. Come ha avuto modo di precisare la Corte di giustizia,

nell’interpretare l’art. 15, lett. della direttiva del Consiglio n. 2004/83/CE (di cui la richiamata norma nazionale costituisce recepimento), l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. Ciò implica che la protezione sussidiaria, nel caso in esame, vada accordata per il sol fatto che il richiedente provenga da territorio interessato dalla menzionata situazione di violenza indiscriminata: situazione in cui il livello del conflitto armato in corso è tale che l’interessato, rientrando in quel paese o in quella regione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte giust. 17 febbraio 2009, C-465/07, E/gild’ii, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, C-285/12, Diakitè; per la giurisprudenza nazionale cfr. pure, di recente: Cass. 2 aprile 2019, n. 9090; Cass. 13 maggio 2018, n. 13858; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130).

Ciò non basta, tuttavia, a dar ragione della richiesta cassazione del decreto impugnato. Infatti, il Tribunale) nell’occuparsi del tema della situazione attuale della regione di provenienza del ricorrente, ha evidenziato, come in precedenza accennato, che le deduzioni svolte al riguardo erano del tutto generiche e riferite anche ad aree geografiche molto lontane da quella da cui lo stesso proveniva. In conseguenza, e per quanto qui rileva, la domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) è stata ritenuta carente,’ in punto di allegazione. Il rilievo è senz’altro corretto in diritto, giacchè la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336): più in particolare, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda (Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016). Ciò posto, quanto rilevato dal Tribunale non è stato efficacemente censurato. Difatti il ricorrente si è limitato a dedurre che il giudice del merito avrebbe “erroneamente valutato la situazione generale del paese di origine del richiedente asilo”, ma non ha in alcun modo contrastato l’affermazione del giudice di prime cure relativa alla richiamata genericità di allegazione.

2. – Col secondo mezzo è denunciata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Viene dedotto che il decreto impugnato avrebbe trascurato di considerare alcune circostanze, come la minore età del richiedente asilo al tempo dell’espatrio e al momento della proposizione dell’istanZa di protezione internazionale, la condizione di povertà nel paese di origine e in quello di transito, le precarie condizioni di salute dello stesso istante e la partecipazione di questo ad attività formative volte al suo inserimento in Italia.

Anche tale motivo è inammissibile.

Vsso si risolve, infatti, non già nella denuncia della rubricata violazione o falsa applicazione di legge, quanto, piuttosto, in una censura incidente sull’accertamento di fatto quanto alla ritenuta insussistenza delle condizioni di vulnerabilità dell’istante: censura che in questa sede non può avere ovviamente ingresso. Nè potrebbe farsi questione di un vizio motivazionale. All’affermazione, contenuta nel mezzo di censura, per cui il giudizio formulato dal Tribunale sarebbe “affetto da motivazione sommaria o parziale” va replicato, infatti, che il provvedimento impugnato non prospetta alcuna delle radicali anomalie motivazionali oggi ancora deducibili col ricorso per cassazione (“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”: non è difatti più rilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione stessa) (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

3. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

4. – Nulla è da statuire in punto di spese processuali.

P.Q.M.

La Corte

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 17 febbraio 2020

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