Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3917 del 11/02/2019

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2019, (ud. 15/01/2019, dep. 11/02/2019), n.3917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19312/2014 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GUIDO

ALFANI 29, presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO PANETTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO FAUGNO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 798/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/07/2013 R.G.N. 107/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di L’Aquila di cui in epigrafe, in sede di rinvio, ha rigettato la domanda di M.G., dipendente ATA presso la Provincia di Pescara trasferito con decorrenza 1/01/2000 nei ruoli del personale statale ai sensi della L. n. 124 del 1994, art. 8; la domanda era rivolta a sentir accertare il suo diritto a vedersi riconoscere l’intera anzianità di servizio maturata nell’Ente locale di provenienza, con condanna del Miur al pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito e quanto allo stesso sarebbe spettato qualora fosse stata riconosciuta l’intera anzianità maturata;

il M. aveva dedotto che in conseguenza del passaggio e dell’immediato subentro della disciplina contrattuale del comparto scolastico egli aveva ricevuto un inquadramento retributivo meno favorevole di quello che avrebbe rivestito presso l’Ente di provenienza;

il comportamento dell’amministrazione scolastica aveva disatteso non solo i principi di cui alla Direttiva 77/187 CEE (art. 3), ma anche l’interpretazione che di essi ha dato la Corte Europea di Giustizia (Grande Chambre) nella pronuncia 6/9/2011 C- 108/2010, Scattolon c. Miur, in sede di rinvio pregiudiziale; in tale pronuncia si pongono alcuni principi, finalizzati a scongiurare l’eventualità che il lavoratore trasferito possa subire un peggioramento retributivo sostanziale rispetto a quello percepito presso l’ente cessionario, per il mancato riconoscimento dell’anzianità maturata presso il cedente, da considerarsi equivalente a quella maturata dagli altri lavoratori alle dipendenze dell’ente di destinazione; la Corte Europea di Giustizia ha statuito che è compito del Giudice nazionale esaminare se, all’atto del trasferimento di cui si controverte nella causa principale, un siffatto peggioramento retributivo abbia avuto luogo;

questa Corte, in seguito alla pronuncia della Corte Europea di Giustizia C- 108 Scattolon c. Miur, accogliendo il ricorso del lavoratore, aveva cassato la pronuncia d’Appello e rinviato alla stessa Corte territoriale in diversa composizione affinchè procedesse alla verifica, in concreto, dell’eventuale sussistenza del peggioramento retributivo sostanziale subito all’atto del trasferimento (Cass. n. 25143 del 2011);

la Corte d’Appello di L’Aquila in sede di rinvio, ha accertato che nessun peggioramento retributivo sostanziale a carico di M.G. si era prodotto, non avendone il dipendente fornito la prova in giudizio e che, neanche col ricorso in riassunzione, lo stesso aveva indicato altre forme o ragioni di danneggiamento retributivo;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione M.G. con due censure, cui resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce ” Violazione dell’art. 384 c.p.c.”, ritenendo che il Giudice del merito, in sede rescissoria, sia fuoriuscito dai limiti del decisum fissati dalla sentenza rescindente, omettendo di provvedere all’accertamento richiestogli; nel rigettare la domanda la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la stessa era rivolta all’accertamento del mancato miglioramento delle condizioni retributive piuttosto che dell’avvenuto peggioramento delle condizioni patrimoniali del lavoratore, nel senso indicato dalla Direttiva 77/187/CEE e dalla sentenza della Corte Europea di Giustizia resa nel caso “Scattolon”;

la seconda doglianza, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5, lamenta violazione dei principi contenuti nella sentenza della CGE 6/9/2011 C-108/2010, Scattolon c. Miur; il Giudice del rinvio avrebbe ritenuto inapplicabile al caso in esame la pronuncia richiamata sul fondamento erroneo che il ricorrente, in luogo di lamentare un peggioramento retributivo, avesse chiesto il migliore inquadramento retributivo dovuto alla superiore anzianità di servizio, non attribuita dall’amministrazione di destinazione, sebbene già maturata presso l’ente di provenienza; l’identità della questione controversa con quella decisa in sede Europea, avrebbe dovuto indurre la Corte d’Appello ad affermare la sussistenza del denunciato peggioramento retributivo;

la censura contesta poi la statuizione della Corte d’Appello là dove questa, pur avendo riconosciuto un peggioramento retributivo sostanziale dovuto a un diverso calcolo degli elementi accessori della retribuzione, ne ha sostenuto l’irrilevanza perchè di lieve entità;

i motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione, non meritano accoglimento;

a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, l’enunciazione del principio di diritto vincola il Giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tener conto di eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l’esattezza del principio affermato dal Giudice di legittimità (cfr. fra le tante Cass. n. 11290/1999; Cass. n. 16518/2004; Cass. n. 23169/2006; Cass. n. 17353/2010; Cass. n. 1995/2015);

– dall’irretrattabilità del principio di diritto discende che la Corte di Cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal Giudice di merito, deve giudicare muovendo dalla regula iuris in precedenza enunciata, perchè l’efficacia vincolante, che si estende anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto di giudicato implicito interno (Cass. n. 17353/2010 e Cass. n 20981/2015), viene meno solo qualora la norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pronuncia rescindente, sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta inapplicabile per effetto di ius superveniens (cfr. fra le tante Cass. n. 20128/2013; Cass. n. 13873/2012; Cass. n. 17442/2006);

tali ultime condizioni non ricorrono nel caso in esame, atteso che il quadro normativo è rimasto immutato rispetto a quello apprezzato dalla sentenza rescindente, che ha con chiarezza indicato i limiti del giudizio di rinvio, subordinando l’accoglimento dell’originaria domanda all’esito dell’accertamento di fatto, effettuato dalla Corte territoriale in termini negativi per l’originario ricorrente;

quanto all’asserito peggioramento retributivo, la sentenza rescindente ha accolto l’impugnazione dell’attuale ricorrente, demandando al Giudice del rinvio di decidere la controversia nel merito verificando la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento;

la Corte territoriale, dopo aver richiamato e correttamente illustrato il principio di diritto oggetto della sentenza di questa Corte in sede di rinvio, si è attenuta al principio di diritto richiamato, non limitandosi ad evidenziare che la causa petendi su cui era fondata la domanda del lavoratore poggiava unicamente sul mancato riconoscimento dell’intera anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza, ma rilevando altresì che la posizione stipendiale attribuita al dipendente ATA proveniente dalla Provincia di Pescara, doveva considerarsi pari al trattamento annuo in godimento al 31/12/1999, costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità (escluse le indennità accessorie); che tale trattamento non determinava di per sè in capo all’appellante un peggioramento retributivo sostanziale; che il lavoratore non aveva dimostrato in giudizio che la retribuzione riconosciuta dall’amministrazione cessionaria all’atto del trasferimento gli avesse procurato un peggioramento rispetto al trattamento goduto presso la Provincia in ragione del mancato riconoscimento integrale dell’anzianità posseduta; che neanche la documentazione prodotta dalla difesa del ricorrente in sede di giudizio rescissorio aveva fatto emergere altre forme o ragioni del danneggiamento retributivo asseritamente subito; che anzi, detta produzione ulteriore si rivelava del tutto estranea alla problematica oggetto del giudizio di rinvio, atteso che la stessa aveva ad oggetto la composizione e l’entità dell’assegno ad personam, questione indifferente rispetto all’accertamento richiesto dalla sentenza di rinvio; aveva dunque escluso che per effetto del trasferimento si fosse determinato uno scostamento rilevante rispetto principio d’irriducibilità della retribuzione nel senso indicato dalle norme comunitarie e dalla sentenza rescindente di questa Corte;

va rilevato che le presenti censure non contestano specificamente la suddetta ratio decidendi (su cui si fonda la sentenza impugnata), ma attengono, piuttosto, all’accertamento di fatto compiuto dal Giudice del merito, il quale può essere posto in discussione in sede di legittimità soltanto nei ristretti limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla fattispecie catione temporis (la sentenza impugnata risulta depositata il 24 luglio 2013);

sotto il profilo del vizio di motivazione, poi, il ricorso si rivela inammissibile, atteso che la doglianza non fa riferimento all’omesso esame “di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)” (Cass. S.U. n. 8053/2014);

le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. S.U. n. 8053/2014);

la formulazione della relativa doglianza da parte del ricorrente finisce per denunciare non già l’omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale;

in via conclusiva, in continuità con l’orientamento già espresso da questa Corte in fattispecie analoghe (cfr. fra le più recenti Cass. n. 30916/2018, Cass. 30266/2018, Cass. 29938/2018, Cass. 29936/2018, Cass. 28033/2018), il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso nei confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3000 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2019

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