Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3913 del 11/02/2019

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2019, (ud. 08/01/2019, dep. 11/02/2019), n.3913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19675-2013 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO MIRANDA;

– ricorrente –

contro

INARCASSA CASSA NAZIONALE PREVIDENZA ASSISTENZA INGEGNERI E

ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

LUNGOTEVERE RAFFAELLO SANZIO 9, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO LUCIANI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 789/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/08/2012, R.G.N. 396/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/01/2019 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MAURIZIO MIRANDA;

udito l’Avvocato MASSIMO LUCIANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato il ricorso proposto da M.V., lavoratore dipendente, come tale iscritto ad apposita forma di previdenza obbligatoria, esercente part-time la professione di ingegnere, al fine di ottenere l’accertamento del suo diritto all’iscrizione alla Cassa di previdenza degli ingegneri e architetti libero professionisti, od in subordine la restituzione dei contributi integrativi versati alla Cassa.

2. Per la cassazione della sentenza l’ing. M. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui INARCASSA ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 179 del 1958, art. 3, comma 2, della L. n. 6 del 1981, art. 21, comma 5, della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26 e della L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12. Sostiene che il suo diritto all’iscrizione alla Cassa deriverebbe dalla normativa richiamata, in considerazione del principio di comprensività fondato sulla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 25 in base al quale se la categoria professionale è unica, unica dev’ essere anche la forma di tutela previdenziale per essa prevista. Sostiene che lo Statuto di INARCASSA sarebbe cedevole a fronte del richiamato dato normativo e che lo stesso è anteriore al decreto delegato del 1996 ed alla norma interpretativa di cui alla L. n. 98 del 2011, art. 18.

4. Come secondo motivo deduce la violazione della medesima normativa sopra richiamata e sostiene che all’inesistenza del diritto all’iscrizione dovrebbe conseguire automaticamente il diritto alla ripetizione del contributo integrativo già versato, che costituirebbe altrimenti finanziamento pubblico vietato dal D.Lgs. n. 509 del 1994, emanato in attuazione della Legge Delega n. 537 del 1993.

5. Come terzo motivo ripropone le questioni di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 38 Cost. della normativa come interpretata dal giudice di merito, che non sarebbero state adeguatamente affrontate dalla Corte d’appello, perchè non potendosi egli iscrivere alla gestione separata Inps, resterebbe privo della specifica tutela previdenziale per l’attività libero professionale. Inoltre, sussisterebbe violazione del D.Lgs. n. 103 del 1996 e della Legge Delega n. 335 del 1995, art. 25, e dunque dell’art. 76 Cost., là dove, pur nell’esistenza di una Cassa di categoria, vi sarebbe preclusa l’iscrizione ai professionisti già iscritti ad altre forma di previdenza obbligatoria. Ancora, la Legge Delega, art. 2, comma 25 e lo stesso D.Lgs. delegato sarebbero in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. in quanto vi sarebbero lavoratori autonomi liberi professionisti che, in relazione alla loro attività professionale, sarebbero privi di una specifica tutela previdenziale obbligatoria, con conseguente ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri della medesima categoria e violazione del principio di ragionevolezza. Se fosse poi possibile l’iscrizione alla gestione separata, sarebbe incostituzionale l’imposizione di un regime differenziato rispetto a coloro che svolgono la medesima attività. Infine, la L. n. 6 del 1981, art. 10 violerebbe gli artt. 3 e 38 Cost., ponendosi agli iscritti all’Inps e non alla Cassa un obbligo di contribuzione oggettiva del tutto privo di un corrispettivo in termini di prestazioni previdenziali e/o assistenziali.

6. Il ricorso non è fondato.

In relazione ai tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, si rileva che questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 33313 del 21/12/2018 ed altre pronunciate in esito alla stessa udienza del 21.12.2018, che richiamano i propri precedenti in materia, tra cui Cass. 18/12/2017, n. 30345, ha ribadito che l’iscrizione all’INARCASSA è preclusa agli ingegneri e agli architetti che siano iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata. L’esclusione deriva dalla L. n. 179 del 1958, art. 3,comma 2 così come modificato dalla L. n. 1046 del 1971, art. 3 ed è stata conservata con formula identica dalla L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, comma 5 e, da ultimo, dall’art. 7, comma 5, dello Statuto INARCASSA, approvato giusta le disposizioni del D.Lgs. n. 509 del 1994.

7. Nè tale normativa può ritenersi abrogata con l’entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, che al contrario con la creazione della nuova gestione separata ha inteso estendere la copertura assicurativa, nell’ambito della cd. “politica di universalizzazione delle tutele”, non solo a coloro che ne erano completamente privi, ma anche a coloro che ne fruivano solo in parte, a coloro cioè che svolgevano due diversi tipi di attività e che erano “coperti” dal punto di vista previdenziale solo per una delle due, facendo quindi in modo che a ciascuna corrispondesse una forma di assicurazione (v. Cass. S.U. n. 3240 del 12/02/2010). La regola generale conseguente all’istituzione della gestione separata è dunque che all’espletamento di una duplice attività lavorativa, quando per entrambe è prevista una tutela assicurativa, debba corrispondere una duplicità di iscrizione alle diverse gestioni.

8. Non contrasta con tale soluzione la citata L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26 poichè la L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12 ne ha chiarito l’interpretazione nel senso – fatto proprio da questa Corte in tutti gli arresti sopra richiamati – che l’unica forma di contribuzione obbligatoriamente versata che può inibire la forza espansiva della norma di chiusura contenuta nella L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, come chiarita dal D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, è quella correlata ad un obbligo di iscrizione ad una gestione di categoria, in applicazione del divieto di duplicazione delle coperture assicurative incidenti sulla medesima attività professionale. Per tale ragione la contribuzione integrativa, che non attribuisce al lavoratore una copertura assicurativa per gli eventi della vecchiaia, dell’invalidità e della morte in favore dei superstiti, non osta all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l’I.N.P.S..

9. La Corte Costituzionale si è già espressa sulla normativa qui esaminata con la sentenza n. 108 del 16 marzo 1989, ed ha affermato che il principio di solidarietà di cui all’art. 38 Cost., che richiede che venga assicurata una tutela previdenziale adeguata per l’invalidità e la vecchiaia, non impedisce che vengano posti dei limiti al cumulo delle posizioni assicurative. Ha aggiunto che “fino a quando il legislatore non provvederà al riordinamento, con criteri unitari, dei trattamenti di previdenza delle categorie dei liberi professionisti (secondo la direttiva enunciata nella L. n. 127 del 1980, art. 1) i vari sistemi previdenziali, nell’ambito delle libere professioni, conservano una propria autonoma individualità e sono, pertanto, inconfrontabili ai sensi dell’art. 3 Cost.

10. Per l’attività libero professionale coloro che siano iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie non sono dunque tenuti al versamento del contributo soggettivo ad INARCASSA, bensì unicamente al versamento del contributo integrativo, dovuto da tutti gli iscritti agli albi di ingegnere e architetto, nella forma di una maggiorazione percentuale che dev’essere applicata dal professionista su tutti i compensi rientranti nel volume di affari e versata alla Cassa indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore, salva ripetizione nei confronti di quest’ultimo (L. n. 6 del 1981, art. 10 riprodotto negli stessi termini dall’art. 5 del Regolamento di previdenza INARCASSA). Nè ciò comporta alcuna duplicazione di contribuzione a carico del professionista, giacchè il contributo integrativo è in realtà posto a carico di terzi estranei alla categoria professionale cui appartiene il professionista e di cui INARCASSA è ente esponenziale (v. in tal senso Corte cost. n. 132 del 1984).

11. La compatibilità costituzionale in relazione agli artt. 2 e 3 Cost. di tale imposizione è stata già affermata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 108 del 1989, che ha chiarito che l’obbligo del contributo, nella misura minima predetta, trae idonea giustificazione dalla sola circostanza dell’iscrizione all’albo, la quale è libera e fonte, di per sè, di utilità almeno potenziali. Esso costituisce inoltre espressione del principio solidaristico che permea il sistema previdenziale, considerato che la sua istituzione si giustifica in relazione alla necessità di INARCASSA di disporre di un’ulteriore fonte di entrate con cui sopperire alle prestazioni cui è tenuta.

12. Il ricorso deve dunque essere rigettato.

13. Le spese seguono la soccombenza.

14. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2019

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