Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3911 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 17/02/2020), n.3911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29894/2015 proposto da:

D.M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

SANTIAGO DEL CILE, 8, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE

VERGHINI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.E.E.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI

1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5705/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/09/2015 R.G.N. 1874/2013.

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado la quale, in parziale accoglimento della domanda proposta da A.E.I.E.A., aveva condannato D.M.F. al pagamento in favore del suddetto della somma lorda di Euro 83.691,91 a titolo di differenze retributive e di Euro 15.561,92 a titolo di tfr, oltre accessori;

1.1. che il giudice di appello, esclusi i presupposti per la rimessione in termini della D.M., tardivamente costituitasi in prime cure, ha ritenuto che le emergenze in atti confermassero l’orario di lavoro dedotto dal ricorrente; in merito agli assegni prodotti dalla datrice di lavoro ha osservato che per ragioni di ordine logico temporale gli stessi non potevano essere imputati al tfr, esigibile e quantificabile solo alla cessazione del rapporto di lavoro, ma a mensilità non pagate nel corso del rapporto;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso D.M.G.; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, denunziando contraddittorietà di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 153 c.p.c., comma 2,, ed all’abrogato art. 184 bis c.p.c., censura la statuizione di conferma del rigetto della istanza di rimessione in termini;

2. che con il secondo motivo, deducendo violazione di norme di diritto in relazione all’art. 437 c.p.c., censura la sentenza impugnata per non avere dato ingresso, in applicazione del principio della ricerca della verità materiale, alle istanze istruttorie articolate con la memoria tardivamente depositata in primo grado e reiterate in seconde cure;

3. che con il terzo motivo, deducendo “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’assolvimento dell’onere probatorio da parte del lavoratore – deposizioni che contrastanti con un fatto notorio ex art. 115/2 c.p.c.”, censura la sentenza impugnata per avere fondato la ricostruzione fattuale delle modalità di svolgimento del rapporto sulla base delle sole deposizioni dei testi di parte attrice, deposizioni delle quali denunzia sotto vari profili l’inattendibilità e inidoneità a fondare l’accertamento alla base della decisione; evidenzia, in particolare, che gli orari serali osservati dal lavoratore si ponevano in totale contrasto con gli orari dei bus notturni dallo stesso utilizzati per rientrare presso la propria abitazione;

4. che con il quarto motivo, deducendo contraddittorietà ed illogicità della motivazione, censura la sentenza impugnata per avere escluso che le somme portate dagli assegni in atti fossero imputabili al pagamento del tfr, e affermato che essi concernevano mensilità non pagate in corso di rapporto;

5. che il primo motivo di ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata ha escluso i presupposti per la rimessione in termini in quanto la D.M. non aveva provato che la tardiva costituzione in primo grado era stata determinata da causa non imputabile, rappresentata da fattore estraneo alla sua volontà, ulteriormente puntualizzando che la notifica del ricorso di primo grado era avvenuta a mani della stessa D.M. presso il ristorante di questa “a dimostrazione dell’autonomia della stessa”;

5.1. che l’accertamento della Corte di merito circa l’insussistenza di una causa di non imputabilità con riferimento alla tardiva costituzione della D.M. nel giudizio di primo grado non è validamente censurato. Invero, a prescindere dalla impropria deduzione del vizio di motivazione contraddittoria, non contemplato dall’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, che ammette la denunzia di vizio motivazionale solo per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, si rileva che a documentazione medica a sostegno dell’assunto della non imputabilità alla D.M. della tardiva costituzione in giudizio, non risulta evocata nel rispetto degli oneri di indicazione e trascrizione prescritti, a pena di ammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. n. 29093 del 2018, Cass. n. 16900 del 2015, Cass. n. 195 del 2016, Cass. n. 26174 del 2014); la illustrazione della censura, inoltre, non dà contezza della decisività, nel senso chiarito da Cass. Sez. Un. 8053/2014, delle circostanze evocate al fine di giustificare il ritardo nella costituzione in giudizio; infine, inammissibile, in quanto priva di riscontro nella motivazione della sentenza di appello, è la deduzione che la Corte di merito sarebbe partita dall’errato presupposto del primo giudice circa la avvenuta notifica del ricorso di primo grado nell’agosto 2009 anzichè nell’ottobre 2009;

6. che il secondo motivo è da respingere. La giurisprudenza di questa Corte ha definito presupposti e limiti del principio di ricerca della verità materiale, quale temperamento al rigoroso sistema di preclusioni e decadenze processuali relative all’ammissione dei mezzi di prova, chiarendo che l’esercizio dei poteri istruttori di ufficio parte del giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., comma 2, è condizionato alla verifica di indispensabilità degli stessi da effettuarsi in relazione a un quadro probatorio insufficiente e sempre che emerga la sussistenza di significative “piste probatorie”, con riguardo al materiale già ritualmente acquisito (Cass. n. 11845 del 2018,Cass. n. 20055 del 2016, Cass. n. 19305 del 2016); è stato inoltre precisato che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’ istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. n. 19985 del 2017, Cass. n. 17915 del 2010);

6.1. che parte ricorrente non ha assolto a tale onere in quanto ha omesso di trascrivere i contenuti della prova richiesta al fine di consentire la verifica della decisività delle circostanze capitolate; tanto assorbe l’ulteriore profilo di infondatezza del motivo per la riscontrata assenza di una situazione di insufficienza probatoria, necessitante di approfondimenti, avendo la sentenza impugnata, con specifico riferimento agli orari osservati dal lavoratore, richiamato le “univoche deposizioni testimoniali” assunte ed, in merito all’orario domenicale, quanto dichiarato dalla D.M. in sede di interrogatorio formale;

7. che il terzo motivo di ricorso è inammissibile sia in quanto inteso a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. n. 24679 del 2013, Cass. n. 2197 del 2011, Cass. n. 20455 del 2006, Cass. n. 7846 del 2006, Cass. n. 2357 del 2004), sia perchè, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non risulta riprodotto il contenuto delle deposizioni testimoniali delle quali si deduce la errata valutazione; è inoltre, da respingere, in quanto genericamente articolata, la censura con la quale si critica la sentenza impugnata per avere escluso il carattere notorio degli orari di servizio dei mezzi pubblici. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, Il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda (Cass. n. 13715 del 2019, Cass. n. 11643 del 2007, Cass. n. 18446 del 2005);

8. che il quarto motivo è inammissibile sia in quanto non sorretto, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, dalla esposizione sommaria dei fatti di causa, indispensabile a consentire al giudice di legittimità la verifica di fondatezza delle censure articolate sulla base del solo esame del ricorso per cassazione (Cass. n. 1306 del 2006, Cass. n. 4840 del 2006, Cass., n. 16360 del 2004, Cass. Sez. Un. 2602 del 2003, Cass. n. 4743 del 2001), sia in quanto la denunzia di vizio motivazionale risulta preclusa ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, per il principio della cd “doppia conforme”; parte ricorrente non ha, infatti, dimostrato, come suo onere (Cass. n. 5528 del 2018, Cass. n. 26774 del 2016), che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado erano diverse da quelle alla base della sentenza di rigetto dell’appello;

9. che in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto;

10. che le spese di lite sono regolate secondo soccombenza;

11. che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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