Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3911 del 16/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 3911 Anno 2018
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

Data pubblicazione: 16/02/2018

sul ricorso 6436/2014 proposto da:
Passino Graziano Giovanni Maria, elettivamente domiciliato in Roma,
Via G.P. da Palestrina n. 19, presso lo studio dell’avvocato Pagliari
Massimo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Roli
Francesco, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
Italfondiario S.p.a., nella qualita’ di mandataria di Castello Finance
S.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore,

eettlynrrienté einmiciliata in Roma, Via Bressanone n. 3, presso lo
studio dell’svvneAto Casotti Cantatore Maria Luisa, rappresentta e

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difesa dagli avvocati Frau Luigi, Frau Marco, Frau Piergiorgio, giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrente avverso la sentenza n. 47/2013 della CORTE D’APPELLO di
CAGLIARI, depositata il 25/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/10/2017 dal cons. NAZZICONE LOREDANA;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale CAPASSO LUCIO che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 25 gennaio 2013, la Corte d’appello di Cagliari,
in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha
compensato per tre quarti le spese di primo grado, ponendole per il
residuo a carico della Italfondiario s.p.a., per il resto confermando la
sentenza di primo grado che, revocato decreto ingiuntivo, aveva
condannato il Passino a pagare alla banca la minor somma di C
30.711,66, rispetto all’originaria pretesa monitoria di C 35.941,58, la
quale non teneva conto di alcuni versamenti effettuati dal soggetto
finanziato.
La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che:
a) è tardiva e generica, in quanto proposta in termini del tutto
ipotetici, l’allegazione, operata solo nel giudizio d’appello, di
violazione delle norme sulla trasparenza, variazione in peius delle
condizioni dei prestiti e misura dei tassi, senza previa comunicazione
al cliente; b) correttamente il tribunale ha ritenuto che la legge n.
108 del 1996 resta inapplicabile nel caso di specie, essendo stati
stipulati i tre contratti di finanziamento prima della sua entrata in

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vigore;

c)

il mutuatario ha dedotto, nell’atto di citazione in

opposizione, unicamente la violazione della legge 7 marzo 1996, n.
108 sul tasso usurario, non avendo invece mai operato un
riferimento alla cd. usura finanziaria soggettiva, su cui verte, invece,
l’atto di appello; d) non sussiste prova dell’assunto, secondo cui la

al fine della sussistenza del delitto di usura, anzi esistendo elementi
probatori in contrario.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Passino, sulla base di quattro motivi. Resiste l’istituto con
controricorso.
Il ricorrente ha depositato la memoria di cui all’art. 378 cod.
proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. — Il ricorso propone quattro motivi, che possono essere come
di seguito riassunti:
1) violazione degli artt. 342 e 345 cod. proc. civ., avendo la
corte territoriale operato un’erronea dichiarazione di tardività e
genericità della domanda in appello, quanto alle norme sulla
trasparenza e la misura dei tassi, invece già contestati in primo
grado;
2) violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e vizio di omesso
esame, in relazione alla dichiarata novità della domanda di
accertamento dell’usurarietà della misura dei tassi degli interessi
corrispettivi;
3) violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., nonché violazione degli
artt. 644, comma 3, cod. pen., 1421 e 1815, comma 2, cod. civ.,
legge n. 108 del 1996, 101 comma 2, cod. proc. civ., per avere
ritenuto dedotta solo in appello la cd. usura soggettiva e confermato
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banca si sarebbe approfittata della situazione di bisogno del cliente,

l’inapplicabilità della legge antiusura, mentre gli ultimi due contratti
erano ancora in corso di esecuzione al momento della sua entrata in
vigore; inoltre, l’art. 644, comma 3, cod. pen. non richiede più
l’elemento dell’approfittamento ed era rilevabile d’ufficio la nullità dei
tassi per usura soggettiva, di cui a tale disposizione;

cod. civ., 101 comma 2, cod. proc. civ. e della legge n. 108 del
1996, per avere erroneamente ritenuto insussistente lo stato di
difficoltà del cliente.
2. – I primi due motivi e parzialmente il terzo, da trattare
congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono infondati.
Essi, invero, non colgono nel segno, laddove ingiustificatamente
lamentano che la sentenza impugnata abbia ritenuto la domanda di
accertamento della violazione delle norme sulla trasparenza bancaria
nuova, oltre che carente del requisito della specificità, nonché la
novità della domanda di accertamento della cd. usura soggettiva,
avendo l’opponente in primo grado chiesto unicamente l’applicazione
della legge n. 108 del 1996.
Inoltre, neppure la censura relativa alla genericità della
contestazione in appello coglie nel segno: posto che, in tema di
giudizio d’appello – che non è un iudicium novum, ma una revisio

prioris instantiae – il requisito della specificità dei motivi dettato
dall’art. 342 cod. proc. civ. (nel testo, applicabile ratione temporis,
anteriore alle modifiche apportategli dall’art. 54, 1 0 comma, lett. a,
di. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012), esige
che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano
contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinarne il fondamento
logico giuridico, ciò risolvendosi in una valutazione del fatto
processuale che impone una verifica in concreto, ispirata ad un
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4) violazione degli artt. 112, 113 cod. proc. civ., 1815, comma 2,

principio di simmetria e condotta alla luce del raffronto tra la
motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto
di gravame (Cass. 23 febbraio 2017, n. 4695, fra le tante).
Il ricorrente, invero, non censurò il punto della decisione di primo
grado, laddove si affermava l’inapplicabilità della legge n. 108 del

comma 3, cod. pen.
Dal suo canto, la censura di “omesso esame di fatto decisivo” è
inammissibile, non rientrando quella proposta nella fattispecie
dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
3. – In relazione al terzo motivo, la deduzione di violazione di
legge, per avere la corte del merito condiviso il convincimento del
giudice di primo grado circa l’inapplicabilità della legge antiusura ai
contratti pregressi – mentre, in sede di legittimità, il ricorrente
sostiene che gli ultimi due contratti erano ancora in corso di
esecuzione al momento dell’entrata in vigore della legge n. 108 del
1996 – è inammissibile.
Sull’inapplicabilità della legge predetta quanto alla cd. usura
oggettiva, per l’applicazione di interessi asseritamente eccedenti il
tasso soglia rilevati a mente dell’art. 2 della legge n. 108 del 1996,
invero, si è formato il giudicato interno, una volta che, nel giudizio
d’appello, l’appellante ha fatto valere l’usura soggettiva, non
contestando egli la statuizione del primo giudice in punto di
inapplicabilità ratione temporis della legge predetta.
Infatti, proprio l’avere l’appellante eccepito detta forma
particolare di usura, la quale presuppone la liceità degli interessi,
riconducendo la fattispecie al reato di usura soggettiva (o in
concreto), che prescinde dalla comparazione fra il TEG applicato

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1996, assumendo in maniera apodittica la violazione dell’art. 644,

dall’intermediario e il tasso soglia come sopra rilevato, palesa la
formazione del giudicato interno sul punto.
4. – Il quarto motivo è inammissibile, involgendo un giudizio sul
fatto, dal momento che, pur deducendo violazione di legge, sotto
l’egida di tale vizio il ricorso intende riproporre una riconsiderazione

giudice del merito.
5. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese di lite, liquidate in complessivi C 3.200,00, ivi compresi C
200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli
accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del
versamento del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1
quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 ottobre
2017.

della vicenda concreta, rimessa all’insindacabile discrezionalità del

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