Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3910 del 11/02/2019

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2019, (ud. 11/12/2018, dep. 11/02/2019), n.3910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17110-2013 proposto da:

U.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO

n. 6, presso lo studio degli avvocati GAETANO LEPORE e MARIA CLAUDIA

LEPORE, che lo rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE”, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA SICILIA n. 50, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

NAPOLITANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GHERARDO MARONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2601/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/06/2013 R.G.N. 7311/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/12/2018 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano che ha concluso per accoglimento quinto motivo,

rigetto degli altri motivi;

udito l’Avvocato CARLO LEPORE per delega verbale Avvocato MARIA

CLAUDIA LEPORE;

udito l’Avvocato LUIGI NAPOLITANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Napoli ha accolto l’appello proposto dall’Università degli Studi L’Orientale avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato il diritto di U.A., lettore di lingua straniera, a svolgere dal 1 gennaio 2008 n. 250 ore annue lavorative con una retribuzione corrispondente a quella del ricercatore confermato a tempo definito, maggiorata di classi e scatti secondo la progressione economica prevista dal D.P.R. n. 382 del 1980, art. 38 ed aveva condannato per il periodo pregresso l’Università al risarcimento del danno, rapportato alla differenza fra il trattamento retributivo dovuto in relazione al maggiore orario e la retribuzione effettivamente percepita.

2. La Corte territoriale ha evidenziato in punto di fatto che l’appellato, assunto come lettore con reiterati contratti stipulati ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 aveva ottenuto la conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato con sentenza del Pretore di Napoli n. 4388/1998, passata in giudicato e non aveva sottoscritto il nuovo contratto di lavoro in qualità di collaboratore esperto linguistico, disciplinato dalla L. n. 236 del 1995, art. 4 perchè sarebbe stata azzerata l’anzianità di servizio maturata.

3. Il giudice d’appello ha evidenziato che il rapporto intercorrente fra l’Università e l’appellato non era mai stato disciplinato dalla nuova normativa e si fondava ancora sulla sentenza pretorile e, quindi, sul regolamento negoziale contenuto nei contratti sottoscritti sino all’anno accademico 1994/1995. Ha conseguentemente ritenuto priva di fondamento la pretesa di svolgere un orario superiore a quello originariamente pattuito ed ha rilevato che le parti collettive con i CCNL succedutisi nel tempo avevano disciplinato il rapporto di lavoro dei collaboratori esperti linguistici, al quale non era assimilabile quello intercorrente fra le parti del giudizio, che trovava la sua regolamentazione nei contenuti fissati dal giudicato.

Ha aggiunto che U.A. non poteva invocare l’applicazione dell’art. 51 del CCNL per il comparto università in quanto, considerata la natura privatistica del rapporto D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28 doveva essere escluso l’effetto applicativo erga omnes, tipico del solo impiego pubblico contrattualizzato.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso U.A. sulla base di cinque motivi, ai quali l’Università degli studi di Napoli L’Orientale ha resistito con tempestivo controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia la “violazione della L. n. 240 del 2010, art. 26 e dell’art. 310 c.p.c., comma 2” e deduce che la Corte territoriale, in applicazione della norma richiamata in rubrica, avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del giudizio di appello, con salvezza di quanto statuito in primo grado dal Tribunale. Precisa che la materia del contendere attiene all’applicazione del D.L. n. 2 del 2004, sicchè non rileva la mancata sottoscrizione del contratto in qualità di collaboratore esperto linguistico.

2. La seconda censura, ricondotta al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denuncia la nullità del procedimento per violazione dell’art. 295 c.p.c.. Sostiene il ricorrente che alla Corte territoriale era stato chiesto di sospendere il giudizio in quanto pregiudicato dall’esito del ricorso per cassazione proposto dall’Università avverso la sentenza n. 4377/2011 della Corte di appello di Napoli, con la quale era stato dichiarato il diritto dell’ U. a percepire il trattamento economico del professore associato. In quel giudizio l’Università aveva formulato domanda riconvenzionale di accertamento della qualifica di CEL, in relazione alla quale aveva denunciato, con il ricorso, il vizio di omessa pronuncia. La Corte territoriale, pertanto, avrebbe dovuto accogliere la richiesta di sospensione in quanto pendeva fra le parti altro giudizio avente ad oggetto una questione pregiudiziale, di natura tale da condizionare l’esito della causa da sospendere.

3. Con la terza critica il ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti in quanto la Corte d’Appello aveva omesso l’esame dell’istanza di sospensione, decisiva ai fini di causa.

4. Il quarto motivo addebita alla sentenza impugnata, della quale eccepisce la nullità, il vizio di omessa pronuncia, perchè con l’originario atto introduttivo il ricorrente non si era limitato a domandare la nullità della clausola relativa al monte ore annuo e l’accertamento del diritto a svolgere l’orario previsto dalla contrattazione collettiva ma aveva anche chiesto che si individuasse nella retribuzione riconosciuta al ricercatore confermato a tempo definito la misura del trattamento economico spettante. Su quest’ultima domanda la Corte territoriale aveva omesso ogni statuizione.

5. Infine con il quinto motivo rubricato “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” il ricorrente rileva che la Corte territoriale avrebbe dovuto prendere in esame le ragioni per le quali era stato opposto il rifiuto alla sottoscrizione di un nuovo contratto ed avrebbe dovuto considerare che l’ultimo rapporto a termine intercorso fra le parti prima della conversione risultava disciplinato dal d.l. 697/1994, che aveva istituito la figura del collaboratore esperto linguistico. Aggiunge che dopo l’entrata in vigore del primo C.C.N.L. per il comparto Università la disciplina del contratto individuale è stata sostituita di diritto da quella dettata dall’art. 51 che, appunto, prevede un impegno minimo annuale di 250 ore. In sintesi sostiene il ricorrente che “il rapporto come lettore a tempo indeterminato e disciplinato da una normazione “statica”(art. 28), fatta propria dalla sentenza che ha convertito in rapporto a tempo indeterminato e da una normazione “dinamica” per l’orario di lavoro costituito dall’art. 51 del C.C.N.L. 1996, invocabile per effetto del contratto stipulato nell’anno accademico 1994-1995″. Sostiene, infine, che doveva essere in ogni caso riconosciuto il diritto al trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito in applicazione di quanto previsto dal D.L. n. 2 del 2004.

6. Il Collegio intende dare continuità all’orientamento già espresso con la sentenza n. 15019/2018, pronunciata in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa.

Il primo motivo di ricorso è infondato perchè non poteva operare la sola estinzione del giudizio di appello, invocata dall’ U. L. n. 240 del 2010, ex art. 26, comma 3.

Le Sezioni Unite di questa Corte con la recente sentenza 2 agosto 2017 n. 19164, in continuità con l’orientamento già espresso da Cass. nn. 10452 e 19190 del 2016, hanno evidenziato che la previsione processuale si pone in stretta correlazione con la disciplina delle pretese sostanziali, sicchè non devono essere dichiarati estinti tutti i processi intentati dagli ex lettori nei confronti delle università, ma solo quelli nei quali rilevi il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia, senza che ne derivi una vanificazione dei diritti azionati.

E’, quindi, imprescindibile che la pretesa fatta valere in giudizio sia esattamente coincidente con quanto stabilito dalla norma di interpretazione autentica in merito alla quantificazione del trattamento economico spettante agli ex lettori.

L’esegesi della disposizione, infatti, deve essere orientata alla salvaguardia del diritto di azione, costituzionalmente garantito, sicchè l’estinzione può operare solo “in ragione, del pieno riconoscimento a favore degli ex lettori di madrelingua straniera del bene della vita al quale i medesimi aspirano con la proposizione del contenzioso” (Corte Cost. n. 38/2012).

Nel caso di specie, al contrario, non si ravvisa detta integrale coincidenza, perchè vi è contrasto fra le parti, oltre che sul parametro retributivo da adottare, sull’applicabilità del CCNL 21.5.1996 e sul monte ore annuo della prestazione che il ricorrente aveva diritto di espletare, ossia su questioni che esulano dalla previsione della legge di interpretazione autentica.

7. La seconda censura è infondata perchè l’art. 295 c.p.c., nel prevedere la sospensione necessaria del giudizio civile quando la decisione dipenda dalla definizione di altra causa, allude ad un vincolo di stretta ed effettiva consequenzialità tecnico-giuridica fra due emanande statuizioni e non ad un mero collegamento logico.

Affinchè una questione possa essere ritenuta pregiudiziale in senso tecnico è necessario “non solo che sia investito un punto costituente un antecedente logico indispensabile di fatto o di diritto, rispetto alla decisione principale e del quale il giudice non può conoscere incidenter tantum e neppure giudicare sul merito essendone imposto dalla legge l’accertamento con efficacia di giudicato, ma anche che tale punto assuma rilievo autonomo, in quanto destinato a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre che sul rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione, appunto, della cosa giudicata, a tutela di un interesse che trascende quello inerente alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione è stata sollevata.” (Cass. 2.8.2007 n. 16995).

Pertanto non è sufficiente che nei due giudizi venga in rilievo la medesima questione giuridica, poichè in tal caso il giudice, essendo investito della questione stessa, ha il potere di decidere, a meno che non ricorra, con l’altra controversia, un’ipotesi di riunione, di litispendenza o di continenza (Cass. 19.6.2004 n. 11463; Cass. 8.9.2006 n. 19291).

Sulla base di detti principi, ai quali il Collegio intende dare continuità, si deve escludere che sussista vincolo di pregiudizialità tecnico-giuridica fra il giudizio avente ad oggetto la determinazione del trattamento economico spettante all’ U. e la presente causa, nella quale si discute del monte ore annuo che il ricorrente aveva diritto di espletare, non essendo sufficiente a giustificare l’invocata sospensione la sola circostanza che in entrambe le controversie la decisione discenda dalla soluzione della medesima questione giuridica relativa all’applicabilità o meno al rapporto dedotto in giudizio della normativa legale e contrattuale dettata per i collaboratori esperti linguistici.

8. Il terzo motivo è inammissibile perchè il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si riferisce all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, non già all’omessa valutazione di istanze o deduzioni difensive (Cass. n. 26305/2018).

9. Parimenti inammissibile è la quarta censura, formulata senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

Va premesso che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato o a quello del tantum devolutum quantum appellatum, trattandosi in tal caso della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (Cass. 10.10.2014 n. 21421).

Peraltro questa Corte ha precisato che condizione imprescindibile per l’esercizio di detto potere-dovere è l’ammissibilità della censura ex art. 366 c.p.c., sicchè la parte non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, provvedendo, inoltre, alla allegazione degli stessi o quantomeno a indicare, ai fini di un controllo mirato, i luoghi del processo ove è possibile rinvenirli (fra le più recenti Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. S.U. 22.5.2012 n. 8077; Cass. 10.11.2011 n. 23420).

Affinchè il vizio di omessa pronuncia possa essere validamente denunciato è, quindi, necessario che le istanze formulate nei gradi del giudizio di merito siano riportate nel ricorso per cassazione puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, con l’indicazione specifica dell’atto difensivo nel quale erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed in secondo luogo la decisività delle questioni prospettate. Non è, invece, consentito il rinvio per relationem agli atti della fase di merito perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010).

In assenza di dette necessarie specificazioni la censura non può essere scrutinata.

10. L’esame del quinto motivo deve essere preceduto dalla ricostruzione, nei suoi passaggi essenziali, dell’evoluzione del quadro normativo, resa necessaria da plurime pronunce della Corte di Giustizia, intervenuta a sanzionare lo Stato Italiano per violazione del Trattato che, nel testo all’epoca vigente, all’art. 48 (poi trasfuso nell’art. 39 e successivamente riprodotto nell’art. 45 della versione consolidata pubblicata in G.U.U.E. 26.10.2012) faceva divieto di trattamenti discriminatori, fondati sulla nazionalità, fra lavoratori degli Stati membri.

10.1. Come è noto l’annosa vicenda dei lettori di lingua straniera ha inizio con l’entrata in vigore del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 che, sottraendo il rapporto di lettorato dal regime di diritto pubblico, prevedeva che i rettori potessero assumere, con contratto di diritto privato di durata non superiore all’anno accademico, lettori di madrelingua straniera “in relazione ad effettive esigenze di esercitazione degli studenti che frequentano i corsi di lingue” e stabiliva che le prestazioni ed i corrispettivi dovessero essere determinati dal consiglio di amministrazione dell’università, al quale era imposto solo un limite massimo, individuato nel livello retributivo iniziale del professore associato a tempo definito.

10.2. Con sentenze del 30 maggio 1989 (in causa C- 33/88 Alluè) e del 2 agosto 1993 (in causa C – 259/91 Alluè) la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ritenne detta normativa contraria all’art. 48 del Trattato, nella parte in cui stabiliva che i contratti tra università e lettori di lingua straniera non potessero protrarsi oltre l’anno, sicchè il legislatore è intervenuto a disciplinare nuovamente la materia, inizialmente con una serie di decreti legge non convertiti e reiterati (a partire dal D.L. 21 dicembre 1993, n. 530), e poi con il D.L. 21 aprile 1995, n. 120, convertito con modificazioni nella L. 21 giugno 1995, n. 236 che ha fatto anche salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti legge non convertiti.

Con questa disciplina, tuttora vigente, si è stabilito che le Università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, “con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato, ovvero, per esigenze temporanee, con contratto a tempo determinato” “collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere”.

E’ stato, poi, previsto che l’entità della retribuzione, il regime di impegno e gli eventuali obblighi di esclusività dovessero essere fissati, “fino alla stipulazione del primo contratto collettivo”, dai consigli di amministrazione delle università in sede di contrattazione decentrata.

Infine il legislatore, dopo avere affermato il principio della necessità della selezione pubblica finalizzata all’assunzione, per ottemperare al giudicato della Corte di Giustizia, ha stabilito che dovessero essere assunti prioritariamente “i titolari dei contratti di cui al D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 in servizio nell’anno accademico 1993-1994, nonchè quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell’incarico salvo che la mancata rinnovazione sia dipesa da inidoneità o da soppressione del posto”, precisando che “il personale predetto… conserva i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti”.

10.3. Con la sentenza 26 giugno 2001, in causa c – 212/99, la Corte di Giustizia ha nuovamente censurato lo Stato italiano per non “aver assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali”. La Corte, adita dalla Commissione delle Comunità ai sensi dell’art. 226 del Trattato, ha osservato che, pur a fronte di una legislazione nazionale volta a garantire la conservazione dei diritti quesiti, l’esame delle prassi amministrative e contrattuali in essere presso sei università italiane aveva fatto emergere situazioni discriminatorie (punti da 31 a 34), non giustificabili con il richiamo all’autonomia degli enti pubblici interessati. Ha, poi, aggiunto che il principio della necessaria conservazione dei diritti quesiti maturati dagli ex lettori nei rapporti precedenti, diritti garantiti dalla L. n. 230 del 1962 in caso di conversione del contratto a termine, non poteva essere eluso facendo leva sulla non comparabilità delle situazioni a confronto, derivante per gli ex lettori dalla necessità della selezione pubblica. Ciò perchè entrambe le discipline prevedono “allo scopo di tenere in considerazione l’esperienza professionale dei lavoratori, la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato, garantendo la conservazione dei diritti quesiti maturati nell’ambito dei rapporti di lavoro precedenti” (punti 28 e 29).

10.4. Si è avuto successivamente un nuovo intervento del legislatore nazionale che, al fine di dare esecuzione alla sentenza – e con riferimento alle Università italiane ivi considerate con il D.L. 14 gennaio 2004, n. 2, art. 1, convertito con modificazioni nella L. 5 marzo 2004, n. 63, ha previsto che “ai collaboratori linguistici, ex lettori di madrelingua straniera delle Università degli Studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, di Roma “La Sapienza” e “l’Orientale” di Napoli, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, abrogato dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236, è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli; tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, dì qualsiasi funzione docente”.

10.5. Nei confronti della Repubblica Italiana è stata avviata, con ricorso del 4 marzo 2004, una procedura finalizzata all’irrogazione di sanzioni per l’inosservanza di obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea, avendo la Commissione delle Comunità Europee ritenuto che l’Italia non avesse dato piena esecuzione alla citata decisione del 26 giugno 2001.

Con sentenza 18 luglio 2006, in causa C-119/04, la Corte di Giustizia CE ha accertato l’inadempimento dei suddetti obblighi, limitatamente alla situazione esistente prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 2 del 2004, escludendone, invece, la permanenza all’esito del nuovo intervento normativo del legislatore nazionale.

Ha ritenuto, infatti, che gli elementi offerti dalla Commissione non consentissero di esprimere un giudizio di inadeguatezza dei parametri utilizzati per la ricostruzione della carriera degli ex lettori, tanto più che il legislatore nazionale aveva fatto salvi i trattamenti più favorevoli (punti da 35 a 39).

10.6. Con la L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, il legislatore ha interpretato il citato D.L. n. 2 del 2004, precisando che “in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 26 giugno 2001, nella causa C – 212/99, ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma del DF.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4 convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236. A decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato D.L. n. 2 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 63 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del D.L. 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236.”.

10.7. Anche la norma di interpretazione autentica richiama, al pari del D.L. n. 120 del 1995, art. 4 la contrattazione collettiva di comparto che già con l’art. 51 del CCNL 21.5.1996, richiamata la decretazione di urgenza, aveva compiutamente disciplinato il rapporto intercorrente con i collaboratori esperti linguistici, stabilendone le mansioni, l’orario di lavoro, il trattamento retributivo fondamentale, quantificato in Lire 22.000.000 annui lordi (per 500 ore effettive annue) ed in Lire 44.000 orarie. L’art. 22 del CCNL 13 maggio 2003 aveva, poi, previsto che in sede di contrattazione integrativa di Ateneo sarebbe stata data “applicazione alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26.1.2001 nella causa C – 212/99, relativa agli ex lettori di lingua straniera rientranti in tale sentenza, attraverso la definizione di una struttura retributiva per la categoria dei CEL che riconosca l’esperienza acquisita” ed aveva precisato che a tal fine sarebbe stata considerata “come decorrenza iniziale dell’anzianità la data di stipula del primo contratto di lavoro D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28 e/o come CEL L. n. 236 del 195, ex art. 4 (o precedenti normative)…”.

10.8. Il quadro normativo e contrattuale, sopra delineato nei suoi tratti essenziali, è rimasto immutato con l’entrata in vigore della L. 20 novembre 2017, n. 167 che, all’art. 11, in relazione alla procedura EU Pilot 2079/11/EMPL, avviata dalla Commissione Europea il 22.12.2014, ha previsto uno stanziamento straordinario di fondi, da utilizzare, previa adozione con decreto ministeriale di uno schema tipo di contratto, in sede di contrattazione collettiva integrativa di ateneo, finalizzata “al superamento del contenzioso in atto e a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle università statali italiane da parte degli ex lettori di lingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28”.

11. In nessuno degli interventi legislativi di cui si è dato conto al punto che precede, succedutisi nel tempo dopo le prime pronunce della Corte di Giustizia, risulta affrontata la questione dell’incidenza, rispetto all’individuazione della normativa applicabile, delle sentenze passate in giudicato che, in epoca antecedente o anche successiva all’abrogazione del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 hanno disposto, sulla base dei principi affermati dalla Corte di Lussemburgo, la conversione dei rapporti di lettorato da tempo determinato a tempo indeterminato (cfr. fra le tante Cass. 21.3.1994 n. 2659; Cass. 24.11.1994 n. 10022; Cass. 6.9.1997 n. 8634 e numerose altre successive conformi).

La disciplina dettata ha sempre presupposto che al rapporto di lettorato, in quanto nato come esclusivamente a termine, abbia fatto seguito, in virtù del diritto di precedenza assoluta previsto dalla decretazione d’urgenza, la stipula del contratto di collaborazione a tempo indeterminato di cui al D.L. n. 120 del 1995, ex art. 4.

Si è posta, quindi, la questione dell’applicabilità della normativa sopravvenuta nei casi in cui, come nella fattispecie oggetto di causa, detto ultimo contratto non sia stato stipulato ed il rapporto sia proseguito in forza del precedente giudicato intervenuto fra le parti.

Il contrasto sorto nella giurisprudenza di questa Corte sulla possibilità di configurare una sorta di ruolo ad esaurimento per i lettori che avevano ottenuto la conversione in sede giudiziale e sulla conseguente impossibilità di applicare agli stessi la normativa dettata per i collaboratori esperti linguistici, è stato recentemente risolto dalle Sezioni Unite le quali, con più pronunce contestualmente rese (Cass. S.U. n. 19164/2017 e Cass. S.U. n. 24963/2017), hanno affermato che la continuità tra la posizione soppressa degli ex lettori di lingua straniera e quella di nuova istituzione dei collaboratori linguistici comporta che, se l’ex lettore abbia ottenuto l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato per la nullità della clausola di durata con sentenza passata in giudicato, che non abbia statuito sugli aspetti economici e normativi del rapporto, va, comunque, applicata la relativa disciplina di fonte legale dettata dal D.L. n. 2 del 2004, come interpretato autenticamente dalla L. n. 240 del 2010, art. 26 nella specie intervenuta in pendenza del giudizio di appello.

La sentenza n. 24963/2017 ha osservato al riguardo, richiamando la motivazione della sentenza della Corte di Giustizia del 26.6.2001 che “la trasformazione ope legis (e quindi anche per sentenza definitiva) del rapporto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato deve essere equiparata alla conclusione di un nuovo contratto, seppure stipulato all’esito di procedure selettive, in quanto in entrambi i casi l’interesse perseguito è comunque quello di realizzare, dal punto di vista contenutistico e non formale, la medesima finalità di stabilizzazione del rapporto”.

11.1. Il principio di diritto, condiviso dal Collegio, sebbene affermato in relazione alla questione dell’applicabilità del D.L. n. 2 del 2004 e della successiva norma di interpretazione autentica, orienta anche nella soluzione del caso che qui viene in rilievo, innanzitutto perchè sussiste un imprescindibile legame fra le disposizioni normative e quelle contrattuali, alle quali rinviano siano il D.L. n. 120 del 1995, sia la legge di interpretazione autentica, ed inoltre perchè, una volta esclusa la possibilità di configurare un ruolo ad esaurimento di ex lettori ed affermata la “continuità normativa e l’analogia tra la posizione degli ex lettori di lingua straniera e quella dei collaboratori linguistici” (Cass. S.U. n. 19164/2017), non è corretto operare una commistione delle discipline, che, tra l’altro, finirebbe per creare un’ingiustificata disparità di trattamento fra gli ex lettori divenuti CEL a seguito del superamento della procedura selettiva e del diritto di precedenza riconosciuto dal D.L. n. 120 del 1995 e quelli stabilizzati in forza di pronuncia giudiziale.

A quest’ultimi, quindi, si deve applicare la nuova normativa, di fonte legale e contrattuale, nella sua interezza, senza che possa essere a ciò ostativo il precedente giudicato, sia perchè nella fattispecie non risulta che lo stesso abbia riguardato anche la disciplina del rapporto, sia perchè, fermi i limiti posti dalle sentenze pronunciate dalla Corte di Giustizia e recepiti dal legislatore con la previsione del necessario riconoscimento di “eventuali trattamenti più favorevoli” (d.l. n. 2/2004), “in un rapporto di durata come quello di lavoro si può parlare di diritti quesiti solo in relazione a prestazioni già rese o di una fase del rapporto già esaurita” (Cass. S.U. n. 19164/2017 che ha escluso che la pronuncia di conversione del rapporto di lettorato avesse cristallizzato il monte ore annuo previsto dal contratto a tempo determinato, impedendone la rideterminazione).

11.2. Ciò premesso in linea generale va detto che quanto all’orario di lavoro il CCNL 21.5.1996, all’art. 51, prevede che “il trattamento fondamentale è definito in Lire 22.000.000 complessivi annui lordi per 500 ore effettive annue, pari a Lire 44.000 orarie. L’assunzione può avvenire anche per un monte ore annuo effettivo superiore o inferiore alle 500 ore, comunque non inferiore alle 250 ore annue, fermo il valore della quota oraria.”.

Emerge evidente dal testo della disposizione contrattuale la stretta correlazione fra trattamento retributivo e predeterminazione di un monte ore annuo minimo, evidentemente finalizzato a garantire al collaboratore una remunerazione di entità tale da giustificare i limiti posti dal successivo comma 8 allo svolgimento di altre prestazioni di lavoro, consentite solo se non incompatibili con le attività istituzionali dell’amministrazione e con le esigenze di servizio.

Lo stesso art. 51 aggiunge, poi, che eventuali trattamenti di miglior favore in godimento alla data di stipulazione del presente contratto, vengono conservati a titolo di trattamento integrativo, non riassorbibile in occasione del rinnovo del contratto collettivo nazionale.

Si tratta, quindi, di una disciplina contrattuale che deve essere applicata nel suo complesso, perchè tutte le previsioni concorrono a determinare il trattamento retributivo dovuto al collaboratore, trattamento che assume rilievo ai sensi della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3.

11.3. Con detta disposizione, infatti, il legislatore, nel dettare l’interpretazione autentica del D.L. n. 2 del 2004, che ha riconosciuto agli ex lettori, con effetto dalla data di prima assunzione e proporzionalmente all’impegno orario svolto, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore a tempo definito, ha precisato che a decorrere dalla stipula del contratto D.L. n. 120 del 1995, ex art. 4 (alla quale, per quanto sopra detto, va equiparata la pronuncia giudiziale di conversione del rapporto di lettorato), a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori hanno diritto a mantenere l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di lingua straniera, calcolata sulla base dei criteri indicati dal D.L. n. 2 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva.

11.4. Dalle considerazioni che precedono discende che se, da un lato, non poteva essere negato il diritto del ricorrente a svolgere un monte ore annuo non inferiore a quello stabilito dalle parti collettive, dall’altro, quanto agli aspetti economici, il diritto, secondo la normativa contrattuale vigente alla data dell’offerta della prestazione lavorativa, dava titolo al trattamento retributivo stabilito dal CCNL, eventualmente maggiorato nei limiti previsti dallo stesso contratto, trattamento che rileva anche ai fini del D.L. n. 2 del 2004, come autenticamente interpretato dalla L. n. 240 del 2010, art. 26.

11.5. Infine osserva il Collegio che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo affermato (cfr. Cass. S.U. nn. 2334/1991, 508/1999, 14381/2002), in linea con i principi generali dei contratti sinallagmatici, che l’obbligazione retributiva, salve le specifiche eccezioni previste dalla legge o dal contratto, costituisce il corrispettivo della prestazione di lavoro, sicchè, quando quest’ultima non sia stata resa, il lavoratore non può avanzare pretese retributive, potendo domandare solo il risarcimento del danno, ove l’impossibilità della prestazione sia derivata dal rifiuto ingiustificato del datore, concretante inadempimento contrattuale ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 c.c. e ss.

Valgono, pertanto, i principi generali in tema di responsabilità del debitore, sul quale grava l’onere di provare o l’impossibilità dell’adempimento per causa a lui non imputabile o anche la mancanza dell’elemento soggettivo che deve sorreggere l’inadempimento, posto che la presunzione di cui all’art. 1218 c.c. non è assoluta ma può essere superata, anche in relazione al comportamento delle parti nello svolgimento del rapporto.

12. Il quinto motivo va, pertanto, accolto nei limiti sopra indicati e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità, attenendosi ai principi di diritto di seguito enunciati:

a) al rapporto intercorrente fra l’Università e l’ex lettore che abbia ottenuto l’accertamento in via giudiziale della sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato si applicano il D.L. n. 2 del 2004, art. 1 come autenticamente interpretato dalla L. n. 240 del 2010, art. 26 (nella specie intervenuta in pendenza del giudizio di appello) e la disciplina contrattuale dettata dal CCNL 21.5.1996 comparto Università per i collaboratori esperti linguistici, a prescindere dalla sottoscrizione del contratto D.L. n. 120 del 1995, ex art. 4 al quale, ove mancante, va equiparata, ai fini dell’applicazione del richiamato D.L. n. 2 del 2004, art. 1 e della norma di interpretazione autentica, la sentenza di conversione del rapporto;

b) conseguentemente l’ex lettore ha diritto a svolgere il monte ore annuo minimo previsto dalla contrattazione collettiva, alle condizioni stabilite dallo stesso CCNL 21.5.1996;

c) il rifiuto da parte del datore di lavoro della prestazione lavorativa offerta obbliga al risarcimento del danno, salvo che il datore, sul quale grava il relativo onere della prova, dimostri l’assenza di colpa o l’impossibilità di ricevere la prestazione per causa a lui non imputabile.

Non sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2019

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