Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 391 del 10/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 391 Anno 2014
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 19071-2012 proposto da:
PALESE

MICHELE

PLSMHL52D03G942B,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CIPRO 63 PRESSO FAMIGLIA
FERRI-PACIOTTI, presso lo studio dell’avvocato FERRI
MARIANO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2013
1119

MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende;

Data pubblicazione: 10/01/2014

– controricorrente
avverso il deQreto

della

CORTE D’APPELLO di

FATANZARn,1ùiitatil 2G104/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/04/2013 dal Consigliere Dott. MARIA

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

ROSARIA SAN GIORGIO;

Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Catanzaro, con decreto depositato il 26
aprile 2012, in accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso
depositato in cancelleria il 4 luglio 2011 da Michele Palese, ha
condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al

da irragionevole durata del processo, della somma complessiva di
euro 3300,00 in favore del ricorrente, oltre agli interessi legali
dalla domanda.
La Corte di merito ha rilevato che il giudizio presupposto
era iniziato con atto notificato il 26 febbraio 1999 innanzi al
T.A.R. della Basilicata, quindi interrotto il 29 novembre 2001 e
riassunto con ricorso del 9 maggio 2002, e, alla data della
domanda ex legge n. 89 del 2001, non era ancora stato definito, né
era ancora stata nemmeno fissata l’udienza.
Tenuto conto che il processo avrebbe dovuto avere la durata di
tre anni, la Corte di merito rilevò una esorbitanza dal periodo di
durata ragionevole, allo stato, di circa dieci anni. Il ricorrente
aveva presentato istanza di prelievo 1’11 dicembre 2010. Secondo
la Corte di merito, andava accolta la domanda del ricorrente in
riferimento al danno non patrimoniale. Quanto alla relativa
liquidazione, la Corte ritenne equo, avuto riguardo alla mancata
presentazione dell’istanza di prelievo fino al 2010, riconoscere
al ricorrente un indennizzo pari ad euro 200,00 per ciascun anno
di ritardo.

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pagamento, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale

Per la cassazione di tale decreto ricorre il Palese sulla base
di un unico motivo. Resiste il Ministero dell’Economia e delle
Finanze con controricorso.
Motivi della decisione
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione

Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione di legge
e/o errata applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e
degli artt. 6, paragrafo l, e 13 della CEDU per avere la Corte
calcolato l’indennizzo dovuto discostandosi in modo ingiustificato
ed eccessivo dai parametri indicati dalla Corte EDU. Il giudice di
merito avrebbe liquidato un indennizzo meramente simbolico i
favore del ricorrente, senza considerare che l’art. 54 del d.l. n.
112 del 2008 si limita a prevedere che la domanda di equa
riparazione non è proponibile se nel giudizio amministrativo non
sia stata presentata istanza di prelievo, ma non prevede nulla i
ordine agli effetti delle modalità e dei tempi di presentazione
della stessa.
La doglianza è infondata.
Questa Corte ha statuito che la mancata presentazione
dell’istanza di prelievo – la quale ha da tempo assunto la
funzione di segnalare al giudice il permanente interesse della
parte alla definizione del giudizio, sovente venuto meno per
circostanze sopravvenute alla sua instaurazione (quali atti di
autotutela o sanatoria) o per l’acquiescenza al provvedimento di
concessione o di diniego della richiesta tutela cautelare – rende

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semplificata nella redazione della sentenza.

improponibile la domanda di equa riparazione nella parte
concernente la durata del giudizio presupposto successiva alla
data (del 25 giugno 2008) di entrata in vigore del D.L. n. 112 del
2008, art. 54 il quale ha configurato la suddetta istanza di
prelievo come “presupposto processuale” della domanda di equa

maggio 2012, n. 8266).
Si è altresì chiarito che l’omessa presentazione dell’istanza
di prelievo non determina la vanificazione del diritto all’equa
riparazione per l’irragionevole durata del processo con
riferimento al periodo precedente al 25 giugno 2008 (Sez. 6-1, 4
marzo 2011, n. 5317).
Peraltro, a tale conclusione questa Corte è pervenuta, in
mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni
contrarie, in applicazione del principio tempus regít actum, e
sulla base del rilievo che, altrimenti opinando, l’introduzione
del suddetto presupposto processuale si risolverebbe in un mero
espediente legislativo per cancellare la responsabilità dello
Stato per l’irragionevole durata del processo ed il corrispondente
diritto all’equa riparazione del cittadino, riconosciuto e
garantito dall’art. 6, par. l, della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla L. n. 89
del 2001, art. 2.
Il richiamato principio riguarda l’interpretazione del testo
originario del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito,
con modificazioni, dalla legge di conversione n. 133 del 2008

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riparazione (Sez. 6- l, 13 aprile 2012, n. 5914; Sez. 6-1, 24

(applicabile,

ratione temporis,

nei giudizi che hanno dato luogo

alle citate pronunce di questa Corte), avente il seguente tenore:
La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio
dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi
verificata la violazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art.

agosto 1907, n. 642, art. 51, coma 2>. Tuttavia, successivamente
il quadro normativo di riferimento è mutato, giacché l’art. 3,
comma 23, dell’Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104
(Attuazione della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 44 recante delega
al Governo per il riordino del processo amministrativo) – in
vigore dal 16 settembre 2010 -, ha modificato l’art. 54, comma 2,
condizionando la proponibilità della istanza di equa riparazione
per processi amministrativi pendenti alla data del 16 settembre
2010 alla presentazione, nell’ambito del giudizio presupposto,
dell’istanza di prelievo anche con riguardo al periodo anteriore
alla presentazione stessa (v. sul punto Cass., sent. n. 3740 del
2013). In sostanza – per effetto del nuovo testo del D.L. n. 112
del 2008, art. 54, coma 2, conseguente alle modifiche apportate
dal decreto legislativo recante l’approvazione del codice del
processo amministrativo, in vigore dal 16 settembre 2010 – per i
processi pendenti, a quella data, davanti al giudice
amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione
del diritto alla ragionevole durata, la domanda di

equa

riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, non è proponibile
se, nel giudizio presupposto, non sia stata presentata l’istanza

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2, comma 1, non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 27

di prelievo, senza che sia possibile operare una distinzione tra
porzioni di durata dell’unico processo amministrativo in ragione
del momento di entrata in vigore del testo originario del citato
art. 54 o delle sue modifiche.
Nella specie, la istanza di prelievo è stata depositata nel

condizione di proponibilità della domanda ex legge Pinto.
Tuttavia, la ritardata presentazione dell’istanza può
incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione
dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 cod.
civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr.,

ex

plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni
unite, 24901 e 28428 del 2008, 14753 del 2010, 5914 del 2012,
nonché l’ordinanza n. 5317 del 2011).
Nella specie, la Corte di merito ha ritenuto equo, avuto
riguardo alla mancata presentazione dell’istanza di prelievo fino
al 2010, riconoscere al ricorrente un indennizzo pari ad euro
200,00 per ciascun anno di ritardo.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono il principio della
soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi
euro 510,00, oltre alle spese prenotate a debito.

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dicembre 2010, in tal modo essendosi provveduto a realizzare la

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda

Sezione civile, il 18 aprile 2013.

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