Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3908 del 11/02/2019

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2019, (ud. 27/11/2018, dep. 11/02/2019), n.3908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22899/2014 proposto da:

T.I.V. TERMINAL INTERMODALE VENEZIA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

GUADAGNO, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO MARINO;

– ricorrente –

contro

B.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

37, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GRAZIANI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARTINA MENEGHELLO;

– controricorrente –

e contro

NUOVA COMPAGNIA LAVORATORI PORTUALI VENEZIA SOCIETA’ COOPERATIVA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo studio

dell’avvocato BIAGIO BERTOLONE, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 107/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/07/2014 R.G.N. 328/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/11/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIANLUIGI MALANDRINO per delega Avvocato VINCENZO

MARINO;

udito l’Avvocato ALESSANDRO GRAZIANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza nr. 107 del 2014, investita del gravame proposto in via principale da TIV Terminal Intermodale spa (di seguito per brevità TIV) ed in via incidentale da B.R., condannava la prima, in favore del secondo, al pagamento di Euro 5.920,00, a titolo di risarcimento del danno, patrimoniale e non, ai sensi dell’art. 2087 c.c., per l’infortunio sul lavoro occorso il (OMISSIS).

Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale osservava come nel ricorso introduttivo di primo grado il lavoratore avesse riferito la responsabilità di TIV e della Nuova Compagnia lavoratori Portuali di Venezia soc.cop. (nei cui confronti anche era stata in origine proposta la domanda) alla violazione sia dell’art. 2087 che dell’art. 2051 c.c. e che, comunque, la qualificazione giuridica dei fatti storici addotti a fondamento della richiesta risarcitoria spettasse in ogni caso al giudice.

Ciò posto, secondo i giudici di merito, l’infortunio si era verificato per aver il lavoratore utilizzato, durante una manovra di imbracatura di travi, un cavo metallico attorcigliato, fornito dalla TIV, nonostante fosse stata a quest’ultima segnalata la necessità di cambiare i cavi perchè non maneggevoli.

La responsabilità dell’infortunio era, dunque, riconducibile esclusivamente a TIV, quale impresa tenuta all’esecuzione delle operazioni portuali, ai sensi e per gli effetti della L. n. 84 del 1994, cui faceva capo l’organizzazione del lavoro, compresa la fornitura e la manutenzione delle attrezzature utilizzate per l’attività lavorativa (nello specifico, appunto, i cavi utilizzati per l’operazione di imbracatura).

Avverso la predetta decisione, ha proposto ricorso TIV affidato a tre motivi ed illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Hanno resistito con controricorso B.R. e la Nuova Compagnia lavoratori Portuali di Venezia soc.cop.; il lavoratore ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cit..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c..

T.I.V. censura la sentenza assumendo la violazione del principio della domanda poichè la richiesta del lavoratore era stata fondata sull’art. 2087 c.c., solo in relazione alla Nuova Compagnia lavoratori Portuali di Venezia soc.cop. mentre, nei confronti della T.I.V., la pretesa era stata fondata esclusivamente sull’art. 2051 c.c..

Il motivo è da respingere.

Come chiarito nello storico di lite, la pronuncia impugnata ha specificato che, nel ricorso introduttivo di primo grado, il lavoratore aveva riferito la responsabilità, ad entrambe le società, sia ai sensi dell’art. 2087 c.c., che ai sensi dell’art. 2051 c.c..

Per idoneamente censurare detta statuizione, la parte ricorrente, nel rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., n. 4, avrebbe dovuto trascrivere, nei suoi esatti termini, il ricorso introduttivo di primo grado, onde consentire alla Corte di verificare i fatti costitutivi della domanda risarcitoria proposta dal lavoratore e valutare la decisività del rilievo.

La sentenza è, comunque, sorretta da un’ulteriore ratio decidendi: la possibilità per il giudice, immutati i fatti storici posti a fondamento della domanda risarcitoria, di determinarne la qualificazione sul piano del diritto sostanziale.

Trattasi di statuizione conforme al principio generale di questa Corte, secondo cui “il vizio di “ultra” ed “extra” petizione ricorre solo quando il giudice, interferendo indebitamente nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi di identificazione dell’azione o dell’eccezione, pervenendo ad una pronunzia non richiesta o eccedente i limiti della richiesta o eccezione, dovendosi, invece, escludere la violazione dell’art. 112 c.p.c., tutte le volte in cui la pronunzia vi corrisponda nel suo risultato finale, sebbene fondata su argomentazioni giuridiche diverse da quelle prospettate” (cfr. Cass. nr. 14552 del 2005); detto principio è stato specificato con riferimento alla materia risarcitoria, affermandosi che il giudice non è vincolato nel potere di qualificazione giuridica dei fatti costitutivi della pretesa azionata, ben potendo sussumerli in diversa fattispecie, ove la condotta prospettata sia, con essa, astrattamente compatibile (ex plurimis, in argomento, Cass. nr. 11805 del 2016; Cass. nr. 15223 del 2014).

La censura che involge anche detta argomentazione incontra i medesimi limiti di cui sopra: la carente trascrizione dell’atto introduttivo del giudizio impedisce alla Corte di verificare il contenuto delle originarie allegazioni e, di conseguenza, la fondatezza delle critiche complessivamente mosse alla decisione (id est: modifica, da parte dei giudici di merito, del titolo giuridico e dei fatti costitutivi azionati nel ricorso introduttivo).

Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2087 c.c., nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa motivazione su un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Il motivo, promiscuamente riferito al vizio di violazione di legge ed al vizio di omesso esame di fatto decisivo, prospetta, nel suo complesso, censure di merito, attinenti all’apprezzamento delle risultanze istruttorie da parte della Corte territoriale, e va pertanto rigettato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che, nel giudizio di cassazione, non è consentito censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione proposta dalla parte, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito; tanto più, nella fattispecie, dove trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54,comma 3) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012 sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Nello specifico, la sentenza ha accertato che il lavoratore ha subito “un trauma discorsivo – distruttivo dell’emicingolo scapolare destro, con lesione del capolungo del muscolo bicipide brachiale” riconducibile al movimento di tensione e torsione impresso dal cavo metallico attorcigliato utilizzato per l’imbracatura delle travi.

I rilievi della parte ricorrente investono l’affermato rapporto di causalità tra il difetto dello strumento (id est: il suo attorcigliamento) e l’evento lesivo, senza però indicare fatti realmente decisivi, nel senso richiesto da questa Corte, ovvero tali che se valutati avrebbero condotto con certezza e non con prognosi di mera probabilità o possibilità ad un esito diverso della lite (tra le altre: Cass. nr. 18368 del 2013 e Cass. nr. 3668 del 2013).

Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 84 del 1994, art. 17.

E’ censurata la statuizione della Corte di Appello nella parte in cui ha ritenuto unica responsabile dell’obbligo di sicurezza la società TIV e non anche la Nuova Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia.

Il motivo è infondato.

La sentenza gravata, come già osservato, ha ricondotto l’evento interamente alla cattiva organizzazione della società T.I.V., tenuta alla manutenzione delle attrezzature adoperate per l’attività lavorativa (cioè i cavi per l’imbracatura delle travi) ed al controllo di effettiva idoneità delle stesse; rispetto a tale e decisivo accertamento di fatto, resta inconferente il prospettato vizio di sussunzione.

In ogni caso, la sentenza impugnata si è uniformata a precedenti arresti di questa Corte (nr. 24217 del 2017; nn. 17092 e 17334 del 2012) che, in relazione a fattispecie in parte anche ricadenti sotto la vigenza della L. n. 84 del 1994, ha ritenuto le compagnie portuali costituite in forma di cooperativa fossero esenti da responsabilità per gli infortuni occorsi ai lavoratori, in quanto mere fornitrici di manodopera qualificata alle imprese titolari dell’esecuzione di operazioni e servizi portuali.

In definitiva, la sentenza va esente dalle censure mosse ed il ricorso, di conseguenza, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2019

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