Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3906 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3906 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

equa riparazione

sul ricorso proposto da:
SENESE Antonio

(SNS NTN 63H07 G039E), MOSCATO Marina

(MSC

MRN 62P44 G0391), GRIECO Antonio (GRC NTN 62A18 G039Q),
CERRONE Vito (CRR VTI 57T04 B492K), IMBRENDA Giuseppe Tommaso (ffiBR GPP 59C17 G039X), PEZZUTO Domenico (PZZ DNC
65M17 G039H), PROSAPIO Giuseppe (PRS GPP 55A10 G039E),
PROSAPIO Dorino (PRS DRN 62H04 G039A), ANTONIELLO Michele
(TER MHL 65B27 G039N), SENESE Davide (SNS DVD 63H30
L682B), D’ELIA Rosa (DLE RSO 62H68 C235W), VECE Lina (VCE
LNI 65M53), DE VITA Bruno (DVT BRN 60A09 G039C), GIZZI Anna (GZZ NNA 60062 E498M), VECE Antonio (VCE NTN 59T17
G039Q), VECE Antonio (VCE NTN 59E22 G039A), NIGRO Caterina
(NGR

CRN

66C67 G039H), SENESE Erminio

(SNS

RMN 63L25

Data pubblicazione: 19/02/2014

G039X), SARRO Giuseppe
seo

(SRR GPP 66D19 G039M), SENESE Eli-

(SNS LSE 63P22 G0391), COGLIANESE Francesco (CGL FNC

60C27 G0391), MONACO Paolo (MNC PILA 60D06 G039T), FERRAZZUOLO Virginia (FRR VGN 69R56 G0390), TAGLIERI Gerardo

68L58 G039S), DELL’ORTO Concettina (DLL CCT 68H44 G039C),
DELL’ORTO Rosetta (DLL RTT 57R64 G039Q), MOSCATO Rosa (MSC
RSO 67A42 1606Y), GENTILE Carmela (GNT CML 65P70 G292Z),
GRANITO Cosimo (GRN CSM 66P21 B492Y), PERCIABOSCO Marta
(PRC MRT 60A64 G039W), PROSAPIO Consiglia (PRS CSG 64C44
G039Q), ADESSO Nicola (DSS NCL 54E07 B351S), RIO Antonietta (RIO NNT 64H53 G039C), FORLENZA Vito Antonio (FRL VNT
59P29 G039R), FASANO Gianfrancesco (FSN GFR 58A09 E498P),
PECORARO Giovannino (PCR GNN 67P10 G039G), CALZARETTA Antonio (CLZ NTN 63D27 G039Y), NIGRO Antonio (NGR NTN 67T28
G039G), DENTE Rosina (DNT RSN 60R42 H943R), LULLO Macario
(LLL MCR 63S16 G039A), tutti rappresentati e difesi, per
procure speciali in calce al ricorso, dall’Avvocato Gianfranco Schiavo, elettivamente domiciliati in Roma, Piazzale Clodio n. 61, presso lo studio dell’Avvocato Caterina
Maffey;
– ricorrenti –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

rappresentato

e

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difeso,

per

pro

legge,

(TGL GRD 61R17 G039K), COGLIANESE Mariantonietta (CGL MNT

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici
di questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente e sul ricorso proposto da:

tonio (BNV VNT 53C15 C974B), CAFARO Pasqualino (CFR PQL
61B16 A495J), CONTE Antonio (CNT TNT 65A22 C974J), DE LAUSO Antonio (DLS NTN 54D16 G476R), DEL MONTE Giuseppe (DLM
GPP 62R29 H943R), DI MURO Immacolato OMR MCL 47D06
G292V), DI NOBILE Anna (DNB NNA 66E56 G039E), FALCONE Antonino (FLC NNN 58R08 B492R), FORLENZA Maria Rosaria (FRL
MRS 62H47 G974K), LATRONICO Anna Maria (LTR NMR 59B58
G039A), MAGLIANO Carmine (MGL CMN 63S05 D390U), PUCCIARIELLO Francesco (PCC FNC 50H12 B242K), RICCA Salvatore
(RCC SVT 53A10 C947Q), RUGGIA Orlando (RGG RND 51P15
B492U), ROMANO Giuseppe (RMN GPP 66A24 Z112Y), SGROIA Rocco (SGR RCC 63D11 D3905), STABILE Enrico (STB NRC 59M31
B492R), TORLUCCIO Antonio (TRL NTN 48CO2 E498N), VIGLIONE
Liberato (VGL LRT 58H11 H703Y), tutti elettivamente domiciliati in Roma, via Lavinio n. 18, presso lo studio
dell’Avvocato Giuseppe D’Ambrosio, dal quale sono rappresentati e difesi per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

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ABBATE Antonino (WT NNN 58T10 B492S), BENEVENGA Vito An-

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore,

rappresentato e difeso, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici
di questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli n.
3295/11, depositato il 28 giugno 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con due ricorsi depositati nel 2011 presso la Corte
d’appello di Napoli, Falcone Antonino e altri e Senese Antonio e altri chiedevano la condanna del Ministero della
giustizia al pagamento dell’equa riparazione, ai sensi
della legge n. 89 del 2001, in relazione ai danni non patrimoniali subiti a causa della irragionevole durata di
una procedura fallimentare, iniziata con dichiarazione di
fallimento nel 1993 e non ancora definita al momento della
domanda.
L’adita Corte d’appello, con decreto depositato il 28
giugno 2012, riuniti i giudizi, riteneva che la procedura
fallimentare, nella quale i ricorrenti erano stati ammessi
al passivo in quanto dipendenti della società fallita,
protrattasi per quindici anni e dieci mesi alla data della

– controricorrente –

decisione, avesse avuto una durata irragionevole di otto
anni e dieci mesi, detratta quella ragionevole stimata in
sette anni in considerazione della molteplicità dei creditori e della complessità delle attività di liquidazione

Tenuto quindi conto della sostanziale incapienza
dell’attivo fallimentare e dell’esiguità del valore della
posta in gioco, liquidava in favore di ciascuno dei ricorrenti la somma di euro 1.325,00 oltre interessi legali
dalla domanda al saldo, e compensava le spese del procedimento.
Per la cassazione di questo decreto il primo gruppo di
ricorrenti in epigrafe indicati ha proposto ricorso, sulla
base di un articolato motivo; il secondo gruppo di ricorrenti ha proposto ricorso affidandolo a quattro motivi.
L’intimato Ministero ha resistito con distinti controricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.

Il Collegio rileva preliminarmente che non è di

ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza,
alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, cod. proc. civ.,
quale risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 75
del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con

dell’attivo.

modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede
che il pubblico ministero «deve intervenire nelle cause
davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla
legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n.

n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero
presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in
tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi
alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di
cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile». L’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374,
assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69
del 2013, quale risultante dalla legge di conversione n.
98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e
la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e
390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della

12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge

partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni
di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinan-

zione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio
sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento
contenuto sia nell’art. 76, comma primo, lett. b), del
r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81 del decreto-legge n. 69 del 2013), sia nell’art. 75, comma 2,
citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ.), consenta di ritenere non solo che la detta
sezione è abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali
anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si
tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
cod. proc. civ., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione
dell’udienza odierna è stato emesso in data 25 settembre

zi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissa-

2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica ben
può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del

pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai
sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. civ.
2. Nel merito, con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti del primo gruppo denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e
dell’art. 6 della CEDU, nonché vizio di motivazione, rilevando, in primo luogo, che la Corte d’appello è incorsa in
un errore di calcolo nella determinazione della durata
complessiva del procedimento presupposto, atteso che lo
stesso, iniziato con dichiarazione di fallimento del 1993,
aveva avuto una durata di diciotto anni e otto mesi sicché
la domanda di equa riparazione avrebbe dovuto essere accolta con riferimento ad una durata irragionevole di undici anni e otto mesi, laddove la minor durata riconosciuta
dalla Corte d’appello era dovuta all’erronea assunzione
quale dies a quo della data di verifica dello stato passiV O.

In secondo luogo, i ricorrenti si dolgono della esiguità dell’indennizzo liquidato, anche perché i criteri
adottati dalla Corte d’appello al riguardo appaiono inido-

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ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse

nei a giustificare un così significativo scostamento dagli
ordinari standard di liquidazione.
2.1. I ricorrenti del secondo gruppo con il primo motivo denunciano violazione e falsa applicazione dell’art.

lendosi della errata determinazione dell’irragionevole durata del processo presupposto con riferimento alle posizioni di Abbate Antonino, Benevenga Vito Antonio, Cafaro
Pasqualino Francesco, Conte Antonio, Latronico Anna Maria,
Pucciarello Francesco, Ruggia Orlando, Sgroia Rocco. In
particolare, deducono che la Corte d’appello avrebbe dovuto assumere come data iniziale del procedimento presupposto la data della domanda di ammissione al passivo e non
quella della dichiarazione di esecutività dello stato passivo.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ancora
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001 e dell’art. 6 della CEDU e censurano il decreto impugnato per la esiguità dell’indennizzo riconosciuto.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono vizio di motivazione sempre in ordine alla esiguità dell’indennizzo
liquidato.
Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano violazione
dell’art. 92 cod. proc. civ. e vizio di motivazione in or-

2 della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della CEDU, do-

dine alla integrale compensazione delle spese del giudiz io.
3. Entrambi i ricorsi sono fondati sia con riferimento
alla determinazione della durata irragionevole, sia con

Sotto il primo profilo, occorre rilevare che, ai fini
della determinazione del

dies a quo utile ai fini della

determinazione della durata della procedura fallimentare
in relazione alle istanze dei creditori di ammissione al
passivo, occorre avere riguardo alla data della domanda di
ammissione al passivo e non, come ritenuto dalla Corte
d’appello, al momento dell’approvazione dello stato passivo, né, come preteso dai ricorrenti, alla data di dichiarazione di fallimento.
Anche il secondo profilo è fondato in quanto, se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio,
uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla
Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data
l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo,
in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il

riguardo alla liquidazione dell’indennizzo.

potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora,
avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie,
ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti
criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass.

Nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo scostamento dagli ordinari i criteri di determinazione
dell’indennizzo facendo riferimento alla esiguità della
posta in gioco. Tuttavia lo scostamento operato dalla Corte territoriale appare non ragionevole, essendo la stessa
pervenuta al riconoscimento di un indennizzo meramente
simbolico.
In proposito, occorre rilevare che, con riferimento ai
giudizi amministrativi di durata irragionevole, questa
Corte, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo (decisioni
c. Italia,

Volta et autres

del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia,

del 6 aprile 2010; Cass., 18 giugno 2010, n. 14753; Cass.,
10 febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13 aprile 2012, n.
5914), è solita liquidare un indennizzo che corrisponde a
circa 500,00 euro per anno di irragionevole durata.
Si deve solo aggiungere, quanto al secondo ricorso,
che l’accoglimento dei motivi di ricorso concernenti la
determinazione della durata e la liquidazione

18617 del 2010; Cass. 17922 del 2010).

dell’indennizzo comporta l’assorbimento del quarto motivo
concernente le spese di lite.
In accoglimento dei ricorsi, il decreto impugnato deve
quindi essere cassato, con rinvio alla Corte d’appello di

esame della domanda adeguandosi ai principi prima individuati.
Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie i ricorsi;

cassa il decreto impugna-

to e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il
9 gennaio 2014.

Napoli perché, in diversa composizione, proceda a nuovo

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