Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3905 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3905 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

equa riparazione

sul ricorso proposto da:
BALDI Anna (BLD NNA 51M64 D849P), BALDI Filippa (BLD FPP
50A64 D849N), BATTIATO Matteo (BTT MTT 44S14 D849E), BISIGNANO Rosaria (BSG RSR 45R43 D849D), CASTELLO Domenica
(CST DNC 51T52 D849R), CASTELLO Francesca (CST FNC 53C53
D8490), CIPRIA Rosa (CPR RSO 50D42 L448N), COCUZZA Angela
(CCZ NGL 48T69 D849S), COCUZZA Catalda (CCZ CLD 51L62
D849L), COCUZZA Nunziata (CCZ NZT 50S52 D849L), DI CATALDO
Rosa Filippa (DCT RFL 53T48 D849I), DI GESU Nunziata Maria
(DGS NZT 48T66 D849X), DI FINI Lucia (DFN LCU 53H65
D849L), FERRIGNO Francesco (FRR FNC 58A02 C351C), FIORENZA
Cataldo (FRN CLD 52L28 D849Q), GLORIA Nunziata (GLR NZT
53R45 D849V), LA FERRERA Filippa (LFR FPP 52H67 D849M), LA

Data pubblicazione: 19/02/2014

VENIA Teresa (LVN TRS 49L55 H2210), LATTEO Antonina (LTT

NNN 53S68 D849A), LOMBARDO Caterina (LMB CRN 48M42 D849A),
MANDRINO Anna (MOND NNA 47B62 D849P), MUSCARELLO Cataldo
(MCS CLD 45M03 D849G), PALMISANO Giuseppa (PLM GPP 52C71

la (PRT NGL 45S61 D849W), ROTELLA Nunziata (RTL NZT 53D60
D849H), ROTELLA Vita (RTL VTI 46B62 D849R), SALINARO Angela (SLN NGL 52P44 L448A), SCIALFA Rosaria (SCL RSR 49R56
D849B), SILENZIO Catalda (SLN CLD 46A70 D849T), STANCANELLI Rosa (STN RSO 49H68 D849T), SURIANO Catalda (SRN CLD
49S50 D849L), TODARO Giuseppa (TDR GPP 47A65 D849C), VALGUARNERA Carmela (VLG CMIL 46H48 D849N), VARSALONA Vincenza
(VRS VCN 63R53 A478V), VARVERI Giuseppe

(~

GPP 51A09

D8490), VICINO Concetta (.11214 CCT 47P53 D849G), VITALE Angela

orna

NGL 46L64 D849X), VITALE Carmela

D8490), VITALE Filippa

(Vna

orna

CNL 48M60

FPP 49T42 D8490), ZAPPULLA An-

tonina (ZPP NNN 51E54 D849P), tutti rappresentati e difesi, per procure speciali in calce al ricorso,
dall’Avvocato Giovanni Avila, elettivamente domiciliati in
Roma, via Costabellan. 23, presso lo studio dell’Avvocato
Irene Giuseppa Bellavia;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

rappresentato

e

difeso,

per

pro

legge,

D849A), POMPILIO Angela (PMP NGL 47C58 D849T), PROTO Ange-

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici
di questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– resistente avverso il decreto della Corte d’appello di Catania, depo-

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Giovanni Avila.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 17 febbraio 2012 presso la
Corte d’appello di Catania, BALDI Anna, BALDI Filippa,
BATTIATO Matteo, BISIGNANO Rosaria, CASTELLO Domenica, CASTELLO Francesca, CIPRIA Rosa, COCUZZA Angela, COCUZZA Catalda, COCUZZA Nunziata, DI CATALDO Rosa Filippa, DI GESU
Nunziata Maria, DI FINI Lucia, FERRIGNO Francesco, FIORENZA Cataldo, GLORIA Nunziata, LA FERRERA Filippa, LA VENIA
Teresa, LATTEO Antonina, LOMBARDO Caterina, MANDRINO Anna,
MUSCARELLO Cataldo, PALMISANO Giuseppa, POMPILIO Angela,
PROTO Angela, ROTELLA Nunziata, ROTELLA Vita, SALINARO Angela, SCIALFA Rosaria, SILENZIO Catalda, STANCANELLI Rosa,
SURIANO. Catalda, TODARO Giuseppa, VALGUARNERA Carmela,
VARSALONA Vincenza, VARVERI Giuseppe, VICINO Concetta, VITALE Angela, VITALE Carmela, VITALE Filippa, ZAPPULLA Antonina chiedevano la condanna del Ministero della giusti-

sitato in data 10 luglio 2012.

zia al pagamento dell’equa riparazione, ai sensi della
legge n. 89 del 2001, in relazione ai danni non patrimoniali subiti a causa della irragionevole durata di una
procedura fallimentare, iniziata con dichiarazione di fal-

momento della domanda.
L’adita Corte d’appello, con decreto depositato il 10
luglio 2012, rigettava la domanda sul rilievo che, pur dovendosi ritenere che la procedura fallimentare avesse avuto una durata irragionevole di oltre dieci anni, i ricorrenti non avevano neanche allegato che la detta irragionevole durata fosse ascrivibile alla condotta degli organi
della procedura.
I ricorrenti in epigrafe indicati hanno proposto ricorso per la cassazione di questo decreto affidato a tre
motivi.
L’intimato Ministero non ha resistito con controricorso, ma ha depositato memoria ai fini della partecipazione
ala discussione orale.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.

Il Collegio rileva preliminarmente che non è di

ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza,
alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.

limento in data 17 novembre 1998 e non ancora definita al

Invero, l’art. 70, comma secondo, cod. proc. civ.,
quale risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 75
del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede

davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla
legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n.
12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge
n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero
presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in
tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi
alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di
cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile». L’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374,
assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69
del 2013, quale risultante dalla legge di conversione n.
98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e

che il pubblico ministero «deve intervenire nelle cause

la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e
390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della
partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si

comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni
di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio
sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento
contenuto sia nell’art. 76, comma primo, lett. b), del
r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81 del decreto-legge n. 69 del 2013), sia nell’art. 75, comma 2,
citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ.), consenta di ritenere non solo che la detta
sezione è abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali
anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si
tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico mi-

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tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo

nistero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
cod. proc. civ., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione
dell’udienza odierna è stato emesso in data 25 settembre

può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del
ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse
pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai
sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. civ.
2. Nel merito, con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli
artt. 2697 cod. civ., 115 e 163 cod. proc. civ., 2 della
legge n. 89 del 2001, 738 cod. proc. civ. e dell’art. 6
della CEDU, dolendosi che la Corte d’appello abbia ritenuto che non fosse stato assolto l’onere di allegazione,
mentre nel ricorso introduttivo erano state puntualmente
indicate le carenze riferibili agli organi della procedura.
Con il secondo motivo i ricorrenti sostengono che il
provvedimento impugnato sia viziato perché la Corte
d’appello non ha esercitato i propri poteri di acquisizione sollecitati ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge
n. 89 del 2001, incorrendo in tal modo nel vizio di viola-

2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica ben

zione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., 2 e 3
della legge n. 89 del 2001, 738 cod. proc. civ. e
dell’art. 6 della CEDU.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione

lendosi ancora una volta del mancato esercizio, da parte
della Corte d’appello, dei poteri officiosi di assunzione
di informazioni e di acquisizione di atti utili alla definizione del giudizio di equa riparazione.
3. Il ricorso, i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, è fondato.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che «in tema
di equa riparazione da durata irragionevole di una procedura fallimentare, non spetta al creditore concorrente che
lamenti tale irragionevolezza allegare e dimostrare il ritardo nella predisposizione del piano di riparto o nella
liquidazione dei cespiti fallimentari, ma, trattandosi di
valutare, ai fini del giudizio di complessità della procedura, ai sensi dell’art. 2, comma secondo, della legge n.
89 del 2001, attività cui sono tenuti gli organi del fallimento, spetta all’amministrazione convenuta dimostrare
che il ritardo nella definizione della procedura non va
ascritto ai predetti organi, essendo, invece, giustificato
da documentate ragioni, quali il sollecito esperimento di
azioni revocatorie fallimentari, la opposizione dello

e/o falsa applicazione dell’art. 738 cod. proc. civ., do-

stesso creditore allo stato passivo, obiettive difficoltà
incontrate nella liquidazione delle attività fallimentari
od altro» (Cass. n. 7664 del 2005).
È noto, altresì, che «la durata delle procedure falli-

della Corte europea dei diritti dell’uomo, è di cinque anni nel caso di media complessità e, in ogni caso, per
quelle notevolmente complesse – a causa del numero dei
creditori, la particolare natura o situazione giuridica
dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.), la proliferazione di giudizi connessi o la
pluralità di procedure concorsuali interdipendenti – non
può superare la durata complessiva di sette anni» (Cass.
n. 8468 del 2012; Cass. n. 9254 del 2012).
La Corte d’appello di Catania si è discostata dagli
indicati principi allorquando ha ritenuto sussistente in
capo ai ricorrenti un onere di allegazione avente ad oggetto aspetti della procedura fallimentare dei quali essi,
quali creditori ammessi al passivo, ben potevano non essere a conoscenza.
Il ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e con rinvio alla Corte
d’appello di Catania, la quale, in diversa composizione,
procederà a nuovo esame della domanda, facendo applicazio-

mentari, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce

ne dei richiamati principi di diritto, nonché alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso,

anche per le spese del giudizio di legit-

timità, alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il
9 gennaio 2014.

gnato e rinvia,

cassa il decreto impu-

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