Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3904 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/02/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 17/02/2020), n.3904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6894-2018 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ERNESTO MARIA CIRILLO,

FRANCESCO CIRILLO;

– ricorrente principale –

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ENZO

MORRICO, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI, che la rappresentano

e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

L.C.;

– intimatio –

avverso la sentenza n. 2238/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/12/2017 R.G.N. 1235/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato ALFREDO CIRILLO per delega verbale Avvocati ERNESTO

MARIA CIRILLO e FRANCESCO CIRILLO;

udito l’Avvocato CAMILLA NANNETTI per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, quale giudice del reclamo ex lege n. 92 del 2012, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato risolto, per effetto dell’intimato licenziamento, il rapporto di lavoro tra Telecom Italia s.p.a. e L.C. e condannato la società datrice al pagamento in favore del dipendente di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

1.1. La statuizione di illegittimità del licenziamento è stata fondata sulla tardività della contestazione disciplinare formulata dalla parte datrice solo dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio del L. (avvenuta il 24.3.2016) per il reato di furto aggravato continuato; risultava, infatti, per tabulas che Telecom era venuta a conoscenza degli atti del procedimento penale a carico del dipendente già nel settembre del 2014, allorquando ne aveva estratto copia a seguito dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari; tali documenti contenevano tutti gli elementi necessari e sufficienti per configurare la lesione del vincolo fiduciario in relazione alle condotte oggetto di addebito rappresentate dal reiterato e sistematico utilizzo del telefono aziendale per finalità extralavorative – tra le quali quelle connesse al profilo di autoricarica di alcune delle utenze chiamate dal detto telefono aziendale- in orario di ufficio, con pregiudizio economico per l’azienda; il fatto ascritto era, quindi, accertato nella sua materialità e connotato da oggettiva gravità. La tardività della contestazione, configurandosi nello specifico come violazione procedurale e non sostanziale, in quanto in concreto non risultava pregiudicato il diritto di difesa del lavoratore nè la tutela dell’affidamento dello stesso (sospeso in via cautelare dalla società) sulla irrilevanza disciplinare della condotta, determinava l’applicazione della tutela indennitaria.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso L.C. sulla base di tre motivi; Telecom Italia s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso e contestuale ricorso incidentale affidato a un unico motivo; L.C. ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale:

1. Con il primo motivo parte ricorrente principale, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 48 c.c.n.l. applicabile, degli artt. 2119 e 2106 c.c., della L. n. 183 del 2010, art. 30 nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 18, censura la sentenza impugnata per avere escluso la riconducibilità del fatto addebitato alle ipotesi punite dal contratto collettivo con sanzione conservativa. Sostiene, in particolare, che il motivo personale addotto alla base delle condotte contestate, e cioè la necessità di comunicare con il figlio che viveva una situazione conflittuale con la madre, consentiva di ricondurre la concreta fattispecie nell’ambito della previsione dell’art. 47 c.c.n.l., lett. f), sanzionata con misura conservativa e che tanto determinava l’applicabilità della tutela reintegratoria. In questa prospettiva assume la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 30 in merito al rispetto delle tipizzazioni previste dai contratti collettivi e contesta l’affermazione della sentenza gravata che aveva escluso l’elemento soggettivo della colpa per negligenza per avere la società contestato un delitto.

2. Con il secondo motivo, deducendo omesso esame di fatti decisivi per la controversia oggetto di discussione fra le parti, si duole della mancata ammissione e valutazione dei mezzi istruttori richiesti; sostiene che ove fosse stata data la possibilità di provare i motivi personali a base delle condotte ascritte sarebbe emersa la insussistenza della finalità di autoricarica delle utenze chiamate ed il conseguente ridimensionamento della gravità del fatto. Lamenta la mancata valorizzazione, anche in via presuntiva, di elementi che avrebbero consentito di escludere la finalità speculativa della condotta quali l’irrisorietà dei consumi e il mancato integrale utilizzo di 300 scatti a mezzo della carta sim aziendale della quale era titolare.

3. Con il terzo motivo, deducendo omesso esame di fatti decisivi per la controversia oggetto di discussione fra le parti nonchè mancata considerazione di parametri di valutazione nel giudizio di proporzionalità e carenza di motivazione, censura la sentenza impugnata sul rilievo, in sintesi, che il mancato accoglimento del secondo motivo di reclamo (in tema di istanze istruttorie) aveva comportato l’omessa considerazione di importanti parametri valutativi essenziali per potere fare riferimento a tutte le circostanze del caso concreto; in particolare, si duole della mancata considerazione dei motivi e delle circostanze soggettive alla base della condotta ascritta, del fatto che l’utilizzo del telefono aziendale non aveva determinato alcuna interruzione del servizio e che le telefonate erano avvenute senza sotterfugi; si duole, inoltre, della mancata considerazione dell’assenza di precedenti disciplinari.

Ricorso incidentale:

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale Telecom Italia s.p.a., deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2, dell’art. 415 bis c.p.p., dell’art. 45, comma 17, c.c.n.l. imprese esercenti servizi di telecomunicazioni, censura la valutazione di tardività della contestazione. Sostiene, in particolare, che all’epoca del rinvio a giudizio la eventuale illiceità delle condotte non poteva ancora ritenersi cristallizzata. Insiste sulla facoltà della quale si era avvalsa Telecom in via cautelativa, ai sensi dell’art. 45, comma 17, c.c.n.l., di disporre l’allontanamento temporaneo dal servizio del lavoratore.

Esame dei motivi di ricorso principale:

5. I motivi di ricorso principale, trattati congiuntamente per connessione, sono da respingere.

5.1. Ragioni di ordine logico impongono di esaminare per prima la censura formulata con il secondo motivo di ricorso principale intesa, in sintesi, a incrinare l’accertamento di fatto alla base della decisione mediante la denunzia di mancata ammissione della prova orale.

Tale censura è inammissibile in quanto parte ricorrente non trascrive le circostanze capitolate, al fine di evidenziarne la decisività, ma si limita ad un generico rinvio alle stesse che identifica attraverso la sola numerazione del relativo capitolo di prova. La condivisibile giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, chiarito che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’ istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 10/08/2017, n. 19985; Cass. 30/07/2010, n. 915; Cass. 12/06/2006, n. 13556).

Al di là di tale dirimente rilievo può ulteriormente evidenziarsi che dalla illustrazione del motivo si evince che le circostanze capitolate attenevano, in linea generale, alle ragioni familiari alla base delle telefonate, alla pretesa irrisorietà dei consumi realizzati mediante le telefonate e al fatto che alcune di tali telefonate non erano dirette ad utenze con profilo di autoricarica; tali elementi sono stati presi, comunque, in considerazione dalla Corte di merito che ad essi ha fatto specifico riferimento, per escluderne la idoneità a connotare in termini di minore gravità il fatto ascritto (sentenza, pag. 13, secondo capoverso) o addirittura a scriminarlo nel senso di determinarne il venir meno del carattere di illiceità in ragione dei motivi personali alla base delle condotte (sentenza, pag. 12, ultimo capoverso).

5.2. L’esame del terzo motivo di ricorso risulta in parte assorbito dall’inammissibilità del secondo motivo; le residue censure sono parimenti inammissibili in quanto non denunziano la errata individuazione del parametro destinato ad integrare la clausola generale della giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. ma investono direttamente la valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva il cui apprezzamento costituisce attività riservata al giudice di merito g~ ed incensurabile in sede di legittimità, se, come nel caso di specie, congruamente motivata (Cass. 25/05/2012, n. 8293; Cass. 19/10/2007, n. 21965).

5.3. Il primo motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha affermato che nella specie la tutela reintegratoria risultava preclusa dalla “sussistenza del fatto materiale”, avente rilevanza disciplinare, la cui commissione era stata riconosciuta dallo stesso lavoratore il quale non aveva negato di avere consapevolmente compiuto le telefonate oggetto di contestazione e di avere conseguito i connessi benefici economici; tanto escludeva la riconducibilità del fatto a condotte punibili con sanzione conservativa secondo il c.c.n.l.; con la lettera di contestazione, infatti, era stata addebitata al lavoratore non una semplice negligenza nell’esecuzione della prestazione ma la commissione di un delitto (nello specifico furto di traffico telefonico), fattispecie espressamente contemplata dall’art. 48 c.c.n.l., lett. B, come giustificativa del licenziamento senza preavviso; i motivi di carattere personale addotti a giustificazione delle telefonate risultavano ininfluenti al fine di escludere la sussistenza del fatto, non configurandosi come cause scriminanti.

L’accertamento alla base del decisum, relativo alla sussistenza sia della condotta materiale sia dell’elemento soggettivo corrispondenti alla fattispecie contestata, non risulta validamente censurato dal ricorrente (v. secondo e terzo motivo di ricorso principale) il quale non indica alcuno specifico fatto storico, nel senso chiarito da Cass. Sez. Un. 8053 del 2014, il cui omesso esame avrebbe determinato una diversa ricostruzione fattuale della condotta alla base del recesso della società, tale da giustificarne la riconducibilità all’ipotesi sanzionata dal contratto collettivo con misura conservativa. Tanto è sufficiente ad escludere il denunziato vizio di sussunzione della sentenza impugnata nel quale, in sintesi, si sostanzia la censura formulata con il motivo in esame.

La Corte d’appello ha ritenuto che il L., il quale, invece, di utilizzare gli strumenti aziendali per adempiere le prestazioni lavorative li utilizzava reiteratamente e sistematicamente per altri fini, aveva posto in essere una condotta penalmente rilevante (v sentenza, pag. 13, secondo capoverso), di talchè correttamente la fattispecie ascritta è stata ricondotta alla ipotesi sanzionata dalla norma collettiva con il recesso per giusta causa a mente dell’art. 48, lett. B) c.c.n.l., secondo il quale in tale provvedimento incorre il lavoratore il quale, tra l’altro, compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termine di legge, tra le quali, a titolo indicativo, la sottrazione, la manomissione o la distruzione intenzionali di tutto quanto forma oggetto del patrimonio materiale e/o immateriale dell’azienda (lett. d).

Esame del motivo di ricorso incidentale.

6. Il motivo di ricorso incidentale è fondato.

Il giudice del reclamo ha collegato la illegittimità del licenziamento al difetto di immediatezza della contestazione la cui verifica è stata ancorata al dato, per così dire oggettivo, rappresentato dalla circostanza che la società già all’epoca in cui aveva estratto copia degli atti del fascicolo delle indagini preliminari era in possesso di elementi che le consentivano di ricostruire, “in termini di ragionevole certezza”, la responsabilità disciplinare del lavoratore; il differimento della contestazione al momento della emissione del decreto di citazione a giudizio, il quale di per sè non aveva aggiunto alcun ulteriore elemento rispetto a quelli già in possesso di Telecom, risultava, pertanto, illegittimo. Secondo il giudice del reclamo, in assenza di pregiudizio al diritto di difesa del lavoratore, escluso, per le concrete modalità con le quali Telecom aveva differito la contestazione, l’affidamento di questi sulla eventuale irrilevanza disciplinare del comportamento, la violazione del criterio dell’immediatezza della contestazione si configurava quale vizio di natura procedimentale che giustificava la tutela indennitaria; diversamente, ove vi fosse stato pregiudizio della difesa del lavoratore o dell’affidamento da questi riposto, il carattere “sostanziale” della violazione avrebbe implicato l’applicabilità della tutela reale.

6.1. Il ragionamento della Corte di merito è viziato da errore di diritto laddove connette giuridica rilevanza, al fine della verifica della legittimità del licenziamento, al mero ritardo nella effettuazione della contestazione, pur nella accertata insussistenza di lesioni al diritto di difesa del lavoratore ed al suo affidamento circa la irrilevanza disciplinare della condotta contestata.

Il disvalore della violazione, deve essere, infatti, apprezzato in relazione alle funzioni che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, sono riconosciute al principio di immediatezza della contestazione nonchè alle finalità al cui perseguimento il principio in questione è preordinato; garanzia del diritto di difesa del lavoratore e tutela del suo affidamento.

Sotto il primo profilo l’immediatezza della contestazione viene in rilievo quale strumento che, in un’ottica di effettività del diritto di difesa, è finalizzato a consentire al lavoratore di poter esercitare compiutamente le sue difese, reperendo, ad esempio, in tempo utile, prima che possa andare disperso, il materiale probatorio idoneo a contrastare gli elementi accusatori in possesso del datore di lavoro. Esigenza, questa, che verrebbe inevitabilmente pregiudicata qualora il datore procrastinasse oltre misura il momento della contestazione, giacchè, come appare intuitivo, lo scorrere del tempo non giova all’approntamento dei mezzi difensivi da parte del prestatore.

Sotto il secondo profilo la necessità di una contestazione tempestiva muove dalla riconosciuta esigenza del lavoratore di veder definita in tempi ragionevoli la vicenda disciplinare che lo riguarda; in questa prospettiva una contestazione tardiva potrebbe concretare violazione della regola della buona fede in quanto capace di far sorgere un legittimo affidamento del lavoratore sulla valenza non disciplinare della condotta, oppure sulla rinunzia da parte del datore di lavoro all’esercizio del potere disciplinare oppure, ancora, sulla valutazione datoriale di compatibilità della persistenza del rapporto, con conseguente inconfigurabilità della irrimediabile lesione del vincolo fiduciario ai sensi dell’art. 2119 c.c.. In quest’ultimo caso, tuttavia, l’inerzia della parte datoriale, oltre a rilevare sul piano della contrarietà a buona fede in funzione di tutela dell’affidamento del lavoratore, potrebbe assumere autonoma valenza quale elemento in astratto idoneo ad escludere i necessari caratteri di gravità dell’inadempimento destinati a sorreggere il recesso senza preavviso.

6.2. Le richiamate esigenze, connesse alla funzione acceleratoria del procedimento assegnata al requisito della tempestività, sono state ripetutamente evidenziate da questa Corte, rappresentando espressione di un orientamento minoritario e risalente nel tempo quelle pronunce che connettono al difetto di tempestività della contestazione una ricaduta destinata ad operare esclusivamente sul piano della verifica della conformità della condotta datoriale a correttezza e buon fede venendo in rilievo il decorso del tempo non quale violazione procedimentale ma come indice di un non corretto uso del potere disciplinare (Cass. 14/6/1999, n. 5891).

La giurisprudenza di legittimità si è consolidata, infatti nel senso di ritenere che “In tema di esercizio del potere disciplinare, regolato dalla L. n. 300 del 1970, art. 7 e fondato sull’obbligo del datore di lavoro di comportarsi secondo buona fede, la contestazione deve essere caratterizzata da immediatezza, per consentire al lavoratore incolpato l’effettivo esercizio del diritto di difesa mediante l’allestimento del materiale difensivo, dovendosi anche considerare il “giusto affidamento ” del prestatore, nel caso di ritardo nella contestazione, che il fatto incriminabile possa non avere rivestito una connotazione disciplinare, dato che l’esercizio del potere disciplinare non è un obbligo per il datore di lavoro, bensì una facoltà. L’applicazione in cd “senso relativo” del principio dell’immediatezza della contestazione comporta, pertanto, che tra l’interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini senza uno specifico motivo obiettivamente valido (da accertarsi e valutarsi rigorosamente) e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, deve prevalere la posizione (ex lege tutelata) del lavoratore.” (Cass. 07/11/2003, n. 16754) con affermazioni riprese da pronunzie successive secondo le quali “… il principio dell’immediatezza della contestazione, che trova fondamento nella L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, commi 3 e 4, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all’esercizio del relativo potere e l’invalidità della sanzione irrogata. Nè può ritenersi che l’applicazione in senso relativo del principio di immediatezza possa svuotare di efficacia il principio medesimo, dovendosi reputare che, tra l’interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obbiettiva ragione e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest’ultimo, tutelata “ex lege”, senza che abbia valore giustificativo, a tale fine, la complessità dell’organizzazione aziendale.” (Cass. 08/06/2009, n. 13167 e, in termini, tra le altre, Cass. 11/08/2015, n. 16683, Cass. 27/02/2014, n. 4724, Cass. 20/07/2004, n. 13482).

6.3. In stretta consequenzialità con la riconosciuta finalità del requisito della immediatezza della contestazione L. n. 300 del 1970, ex art. 7 si pongono, poi, quelle pronunzie secondo le quali “il ritardo nella contestazione può costituire un vizio del procedimento disciplinare solo ove sia tale da determinare un ostacolo alla difesa effettiva del lavoratore, tenendo anche conto che il prudente indugio del datore di lavoro, ossia la ponderata e responsabile valutazione dei fatti, può e deve precedere la contestazione anche nell’interesse del prestatore di lavoro, che sarebbe palesemente colpito da incolpazioni avventate o comunque non sorrette da una sufficiente certezza da parte del datore di lavoro” (Cass. 03/05 2017, n. 10688; v. anche Cass. 18/01/2007 n. 1101; Cass. 241 del 11/01/2006, n. 241).

6.4. L’applicazione dei principi richiamati al caso in esame comporta che, nell’accertata assenza di pregiudizio del lavoratore, la scelta di Telecom di differire la contestazione disciplinare al momento dell’emissione del decreto di rinvio a giudizio per le medesime condotte oggetto di addebito disciplinare costituisce espressione di una scelta discrezionale della società datrice del tutto legittima e, peraltro, non pretestuosa, di attendere possibili eventuali sviluppi della vicenda in sede penale connessi alla chiusura delle indagini preliminari e di avere certezza dell’effettivo esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero con il rinvio a giudizio dell’indagato, prima di procedere in via disciplinare.

7. Alle considerazioni che precedono segue l’accoglimento del ricorso incidentale e la cassazione in parte qua della sentenza impugnata; non essendo necessari, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con integrale rigetto della domanda del L..

8. Gli esiti alterni della vicenda giustificano la compensazione delle spese di lite del giudizio di merito. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo soccombenza.

9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione del licenziamento. Compensa le spese dei gradi di merito. Condanna L.C. alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15/% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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