Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3899 del 18/02/2010

Cassazione civile sez. III, 18/02/2010, (ud. 14/12/2009, dep. 18/02/2010), n.3899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11661/2005 proposto da:

D.M.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SANT’AGATONE PAPA 50, presso lo studio

dell’avvocato MELE CATERINA, rappresentato e difeso dall’avvocato DE

ROSA Giuseppe giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.D., C.F. (OMISSIS), considerato domiciliato “ex

lege” in Roma, ROMA, VIA presso Cancelleria Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato SARTORI Torquato giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2003 del TRIBUNALE di CAMERINO, emessa il

21/01/2003, depositata il 12/02/2003/ R.G.N. 96/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/12/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 10 ottobre 2002 al Tribunale di Camerino, D.M. D. chiedeva la condanna di M.D. al pagamento della somma di L. 12.000.000 (pari ad Euro 6.197,48) per canoni di affitto scaduti e non pagati relativi ad alcuni terreni agricoli in località (OMISSIS), dei quali egli era comproprietario unitamente ai germani E. ed O..

Il convenuto, costituendosi in giudizio, eccepiva in primo luogo il difetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente, osservando che egli non era erede dei fratelli premorti e, per di più, che il ricorrente aveva donato a terzi la sua quota di comproprietà.

Deduceva, inoltre, che il contratto di affitto era simulato, in relazione alla estensione dei terreni ed all’ammontare del canone:

infatti, le parti, avevano fatto figurare una estensione di terreno superiore (di 19 ettari) a quella di 7 ettari che in realtà era stata concessa per la coltivazione ad esso resistente. Ciò, allo scopo di consentire ai concedenti di cancellarsi dall’elenco dei coltivatori diretti e di non pagare i contributi allo SCAU. Il canone, realmente voluto dalle parti, era quello di L. 1.250.000 ed era stato regolarmente pagato nelle mani di D.M. O. che amministrava i fondi anche a nome degli altri fratelli.

In via riconvenzionale, il convenuto chiedeva che fosse accertata la simulazione del contratto di affitto e determinato l’equo canone in relazione alla superficie effettivamente coltivata, secondo le norme della L. n. 203 del 1982.

Con sentenza 21 gennaio-12 febbraio 2003, la Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Camerino, rigettate le istanze istruttorie di entrambe le parti, accoglieva integralmente la domanda del ricorrente.

Contro la decisione del Tribunale M.D. ha proposto appello, affidato a due motivi.

D.M.D. si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame.

Con istanza depositata personalmente alla udienza del 19 novembre 2003, l’appellante deferiva all’originario attore giuramento decisorio, che – ammesso dalla Corte di appello con ordinanza in pari data – era prestato da D.M.D. in data 2 dicembre 2003.

Con sentenza 19 gennaio – 5 febbraio 2005, la Corte di Appello di Ancona accoglieva in parte l’appello ed, in parziale riforma della decisione di primo grado, rideterminava il credito in favore di D. M.D. in complessivi Euro 1.291,14, oltre interessi.

Avverso tale decisione D.M. ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da tre motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso M.D..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce omesso esame della documentazione che avrebbe portato ad escludere la ammissibilità del giuramento decisorio per incapacità soggettiva del delato (art. 75 c.p.c., artt. 2731 e 428 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Alla udienza del 19 novembre 2003 l’appellante M.D. aveva depositato la istanza con la quale deferiva il giuramento decisorio a D.M.D.. Il difensore dell’appellato aveva dichiarato di opporsi all’interrogatorio (così nel ricorso), depositando un certificato medico.

La produzione di certificazione medica era reiterata alla udienza successiva del 31 gennaio 2004. Dalla documentazione prodotta risultava chiaramente che l’appellato non era in condizioni di rispondere con piena consapevolezza al mezzo istruttorio; infatti, il D.M. era stato giudicato affetto da stato depressivo e con difficoltà alla comunicazione con grave ipoacusia.

I giudici di appello, pertanto, avrebbe dovuto – anche d’ufficio – valutare se sussistevano le condizioni soggettive necessarie per poter prestare il giuramento deferitogli. Invece, nella ordinanza del 19 novembre 2003, la Corte territoriale non aveva motivato sul punto.

Era di tutta evidenza che se il giuramento non fosse stato ammesso, la causa sarebbe stata decisa allo stato degli atti, sul materiale probatorio raccolto e dunque l’esito della lite sarebbe stato ben diverso.

Il motivo è inammissibile ancor prima che infondato, mancando del necessario requisito della autosufficienza.

Il ricorrente non deduce di avere sollevato la questione della sua incapacità naturale nel giudizio di appello.

Sotto altro profilo, la parte resistente ha osservato che la produzione della certificazione medica era finalizzata esclusivamente al differimento della udienza, per giustificare la mancata presenza dell’appellato nella udienza in cui la Corte territoriale aveva fissato l’assunzione del giuramento, sottolineando che il difensore dell’appellato nulla aveva dedotto a verbale in merito alle condizioni del proprio assistito.

Pertanto, non si vede in quale modo i giudici di appello avrebbero – di ufficio – dovuto indagare in ordine alla capacità naturale dell’appellato all’epoca del prestato giuramento.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce erronea ammissione del giuramento su un fatto nuovo non dedotto precedentemente nel giudizio (in relazione agli artt. 183 e 416 c.p.c.).

In primo grado, il convenuto M. aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva del ricorrente per non essere lo stesso erede degli altri fratelli premorti e per avere comunque donato a terzi la sua quota ereditaria.

Solo in grado di appello, per la prima volta, il M. aveva dedotto che una parte del fondo oggetto del contratto era stato già in precedenza alienato (anzichè donato)- dal ricorrente – con rogito notarile del (OMISSIS) – a F.R..

Si trattava di circostanza del tutto nuova, sulla quale non avrebbe potuto svolgersi alcuna istruttoria. Pertanto, non avrebbe potuto essere deferito giuramento su questa circostanza (richiamata nei capitoli 3 e 4), nè prodotto il contratto di compravendita, acquisito agli atti alla udienza del 19 novembre 2003.

Nel caso di specie non poteva venire in rilievo la discrezionalità del giudice del merito.

Il motivo è inammissibile.

Le questioni concernenti la ammissibilità del giuramento non sono deducibili per la prima volta in cassazione.

I giudici di appello hanno osservato che la questione,’ della minore estensione del terreno dato in affitto era stata tempestivamente dedotta con il primo atto difensivo dal convenuto. Tra l’altro, la circostanza che parte del terreno fosse stata ceduta a terzi prima ancora del contratto di affitto risultava chiaramente dal contratto di vendita del (OMISSIS), ritualmente acquisito in sede di appello.

Tale atto costituiva principio di prova della simulazione relativa, tempestivamente dedotta dal convenuto M..

Del tutto infondata, pertanto, è stata ritenuta la eccezione secondo la quale la cessione di parte del terreno a terzi costituisse circostanza nuova, come tale preclusa in appello, ai sensi dell’art. 437 c.p.c..

Sfugge, pertanto, a qualsiasi censura di violazione di norma di legge e di vizi motivazionali, la conclusione cui sono pervenuti i giudici di appello, secondo i quali “la prestazione del giuramento da parte del delato (in ordine alle circostanze di cui ai capitoli 3 e 4), equivale a mancata prestazione del giuramento medesimo, con conseguente soccombenza del delato sui punti di fatto interessati da quelle domande” (pag. 7 sentenza impugnata).

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2739 c.c..

Il capitolo n. 5 del giuramento deferito non avrebbe, potuto essere ammesso, in quanto in contrasto con le risultanze di un documento scritto (il contratto di affitto agrario nel quale era fissata la misura del canone annuo di affitto) che in precedenza non era stato disconosciuto dalla controparte.

Il principio di generale ammissibilità del giuramento decisorio – sottolinea il ricorrente – non opera quando i fatti siano già accertati ovvero esclusi in forza di documenti non disconosciuti (il cui contenuto, peraltro, può essere contrastato solo attraverso la presentazione di una querela di falso).

Anche questo motivo è privo di fondamento.

L’art. 2739 cod. civ., vieta la prova per giuramento sull’esistenza di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “ad substantiam”, perchè nessuna prova potrebbe supplire al documento mancante, mentre il giuramento decisorio può essere deferito nel caso in cui l’atto scritto è sussistente e la prova tende a dimostrare non l’esistenza dello contratto, ma soltanto il suo carattere simulatorio (Cass. 15160 del 2002).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha, innanzi tutto, precisato che la questione relativa alla misura del canone annuo di affitto era già contenuta nelle prime difese svolte nel giudizio di primo grado, nelle quali il convenuto aveva dedotto una minore estensione del terreno preso in affitto e la pattuizione di un canone annuo inferiore a quello consacrato nel contratto prodotto.

Richiamando, poi, le circostanze capitolate ai nn. 3 e 4 della formula del giuramento, e le dichiarazioni rese dal ricorrente, la stessa Corte ha sottolineato che doveva considerarsi accertata giudizialmente la tesi prospettata sin dall’inizio dal convenuto, della simulazione parziale del contratto di affitto, e cioè che “egli prese in affitto soltanto sette dei quasi diciannove ettari indicati in contratto al canone annuo, non di lire 3.500.000, bensì di L. 1.250.000”.

Ed è appena il caso di ricordarlo, in questa sede, che il convincimento del giudice di merito sulla sussistenza o meno della simulazione costituisce un giudizio di fatto incensurabile in cassazione ove esso sia fondato sulle risultanze processuali e si presenti come il risultato di una coerente attività logica (Cass. 15160 del 2002).

In pratica, i giudici di appello hanno ritenuto che il D. M. avesse modificato sostanzialmente la formula contenuta nell’ultimo capitolo del giuramento ed hanno equiparato tale modifica al rifiuto di prestazione del giuramento, concludendo che il M. doveva considerarsi debitore delle sole due ultime annualità di canone per le annate agrarie 2000/2001 e 2001/2002 (per complessive L. 2.500.000).

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il giuramento decisorio con formula “de veritate” può vertere non solo su fatti propri del giurante, ma anche su fatti altrui che siano comunque caduti sotto la diretta percezione di questi, a condizione che ciò risulti dalla formula del giuramento (Cass. n. 476 del 2009); ipotesi, questa ultima, puntualmente verificatasi nel caso di specie, nel quale il pagamento a mani del fratello Ottavio era dedotto come avvenuto alla presenza dell’attuale ricorrente.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Sussistono giusti motivi, in considerazione delle contrastanti decisioni di merito, per disporre la compensazione integrale delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 dicembre e il 2009.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2010

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