Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3899 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/02/2017, (ud. 10/01/2017, dep.14/02/2017),  n. 3899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

E.P., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Luigi Messa, con domicilio

eletto in Roma, nello studio dell’Avv. Raffaella Sturdà, via

Flaminia, n. 344;

– ricorrente –

contro

S.G., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Lucio Caprioli, con

domicilio eletto in Roma, nello studio dell’Avv. Andrea Lazzaretti,

largo di Torre Argentina, n. 11;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce depositata l’11

aprile 2012.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10

gennaio 2017 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza in data 16 aprile 2009, il Tribunale di Lecce, in accoglimento della domanda ex art. 938 c.c., proposta con atto di citazione notificato il 5 dicembre 2001 da S.G., proprietario del suolo, nei confronti di E.P., costruttore, condannava quest’ultimo al pagamento del doppio del valore del terreno di proprietà del S., occupato con la costruzione di un edificio, per un importo di Euro 29.280, oltre rivalutazione monetaria dal deposito della c.t.u. e interessi legali dalla domanda sino al soddisfo, ponendo a carico del convenuto le spese di lite.

2. – La Corte d’appello di Lecce, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria l’11 aprile 2012, ha respinto il gravame dell’ E..

2.1. – Esaminando la censura con cui l’appellante si doleva che il Tribunale avesse omesso di considerare che dai verbali di causa e dai consequenziali provvedimenti istruttori risultava che tra le parti era intervenuto un accordo, con conseguente cessazione della materia del contendere, la Corte d’appello ha rilevato che, all’udienza del 14 ottobre 2004, pur avendo i procuratori dichiarato che tra i loro assistiti era intervenuto accordo e che quindi era cessata la materia del contendere, l’Avv. Giuseppe Pallara, difensore del S., aveva chiesto comunque emettersi ordinanza di pagamento per la differenza tra le somme ricevute e quelle pretese dal legale a titolo di competenze professionali.

Tanto premesso, la Corte territoriale ha osservato che tale circostanza – non essendo stato raggiunto un accordo sul punto – è di per sè ostativa ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere, la quale presuppone il venir meno dell’interesse di entrambe le parti alla naturale conclusione del giudizio, tenuto conto che anche il regolamento delle spese legali afferisce alla materia del contendere e deve, quindi, costituire oggetto di transazione.

La Corte di Lecce ha inoltre considerato che “nel corso del giudizio di primo grado non è stato prodotto il documento attestante l’accordo raggiunto tra le parti”, documento ritenuto indispensabile ai fini della decisione (ordinanza della Corte del 30 marzo 2010), posto che il prospettato accordo, che involge il trasferimento del suolo occupato, deve risultare da atto scritto a pena di nullità; e che “dall’esame di tale documento (atto per notar R. del (OMISSIS), con il quale S.G. ebbe a vendere alla E. Costruzioni s.r.l. il terreno in questione) non è dato ravvisare alcun riferimento ad un accordo transattivo tra le parti in causa”, tanto più che il rogito concerne un soggetto (la società E. Costruzioni) estraneo al presente giudizio.

La Corte distrettuale ha poi disatteso l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’appellante, rilevando che, all’epoca della intervenuta occupazione del suolo per cui è causa, l’ E. era il proprietario del terreno attiguo sul quale fu costruito l’edificio invadendo la proprietà S., mentre solo successivamente detto terreno era stato trasferito alla società E. Costruzioni.

Infine, la Corte di Lecce ha escluso che il primo giudice avesse sovrastimato il valore del terreno occupato.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’ E. ha proposto ricorso, con atto notificato il 12 aprile 2013, sulla base di due motivi, illustrati con memoria.

Il S. ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 938 c.c.) il ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia considerato che la domanda diretta a far valere le obbligazioni indennitaria e risarcitoria non poteva essere accolta in difetto del suo fattore genetico, rappresentato dalla attribuzione al costruttore della proprietà dell’edificio e della superficie occupata. Per effetto della sentenza impugnata il S., oltre ad essersi incassato il prezzo di vendita del terreno oggetto di occupazione da parte dell’ E., e ciò in conseguenza dell’atto R. del (OMISSIS), e dunque il corrispettivo che egli ha ritenuto giusto a fronte dell’alienazione dello stesso, si sarebbe altresì arricchito, del tutto indebitamente, dell’indennità stabilita dall’art. 938 c.c., prevista dalla norma, a fronte della perdita della proprietà del terreno in favore del costruttore. La stessa alienazione del bene occupato, da parte del proprietario, avvenuta in epoca successiva alla formulazione della domanda di condanna dell’occupante al pagamento del doppio del valore del suolo ed al risarcimento dei danni, avrebbe determinato, di fatto, il venir meno della volontà di dismettere il bene, e dunque del presupposto che legittimava l’azione.

1.1. – Il motivo è scrutinabile nel merito, dovendo essere disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa del controricorrente.

Infatti, la censura è formulata nel rispetto delle prescrizioni formali dettate dall’art. 366 c.p.c. e pone una questione di diritto basata sia sul mancato acquisto coattivo in favore del vicino costruttore, sia su un accertamento di fatto (l’intervenuto trasferimento del terreno su cui è sorta la costruzione da parte dell’attore S.G. ad un terzo, la società E. Costruzioni, in forza dell’atto R. del 2002) già compiuto dal giudice del merito e risultante dalla sentenza impugnata.

1.2. – Il motivo è, nei termini di seguito precisati, fondato.

L’art. 938 c.c. – secondo cui, se nella costruzione di un edificio è occupata in buona fede una porzione del fondo attiguo ed il proprietario di questo non fa opposizione, l’autorità giudiziaria, in base alle circostanze, può attribuire la proprietà dell’edificio e del suolo occupato al costruttore, il quale è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata ed a risarcirgli i danni – disciplina, sotto la rubrica “Occupazione di porzione di fondo attiguo”, la fattispecie tradizionalmente designata come accessione invertita, nel senso che viene capovolta la direzione in cui opera l’acquisto per accessione, attribuendosi al costruttore, al ricorrere delle previste condizioni ed ad una valutazione di opportunità del giudice, la proprietà del suolo occupato parzialmente con il proprio edificio.

Questa Corte ha già chiarito (Sez. 2, 26 ottobre 1981, n. 5593) che il citato art. 938, configura la nascita e l’imputazione di rapporti (l’attribuzione della proprietà dell’edificio e del suolo occupato al costruttore; il pagamento al proprietario del suolo del doppio del valore della superficie occupata) vicendevolmente dipendenti: siffatta reciprocità causale degli effetti normativi non è scindibile nell’attuazione per via giurisdizionale, perchè, essendo immanente in ogni elemento del loro insieme, costituisce essenziale requisito di legittimità della pronunzia del giudice, che, conseguentemente, non può accogliere la domanda diretta a far valere l’obbligazione indennitaria in difetto dell’attribuzione al costruttore della proprietà dell’edificio e della superficie occupata.

Si è anche precisato (Cass., Sez. 2, 19 ottobre 1959, n. 2970) che in tanto è dovuto al proprietario della porzione del suolo, occupata dalla porzione altrui, l’indennizzo previsto dall’art. 938 c.c., nel doppio del valore della superficie occupata, in quanto si verifichi il presupposto dell’attribuzione al costruttore dell’edificio della proprietà del suolo occupato.

Solo in questa prospettiva, del resto, rinviene una giustificazione causale l’obbligo di pagamento di una indennità pari al doppio del valore della superficie occupata in capo al costruttore, essendo questo previsto come diretto a compensare il dominus soli per il sacrificio coattivo della sua proprietà, attribuita al costruttore per effetto della sentenza emessa ai sensi dell’art. 938 c.c.. In altri termini, l’indennità è dovuta dal vicino costruttore in quanto questi sia in grado di ottenere, reciprocamente, l’acquisto coattivo della proprietà del suolo altrui occupato con il proprio edificio; dove la pronuncia del giudice ha natura costitutivo-traslativa, ed è destinata ad attuare un trasferimento coattivo della proprietà cui va riconosciuto carattere derivativo (Cass., Sez. 2, 28 aprile 1976, n. 1516; Cass., Sez. 2, 31 marzo 1987, n. 3103).

Tanto premesso, occorre rilevare che nella specie l’azione nascente dall’art. 938 c.c., è stata esperita – non dal vicino costruttore, secondo il modello tipico prefigurato dalla previsione normativa – ma dallo stesso proprietario del suolo occupato per ottenere il pagamento dell’indennità.

Ora, in proposito vale la pena ricordare che – superando un orientamento contrario (espresso da Cass., Sez. 2, 5 agosto 1960, n. 2318, da Cass., Sez. 1, 27 gennaio 1968, n. 277, e da Cass., Sez. 2, 14 febbraio 1968, n. 523), che riconosceva la legittimazione ad agire ex art. 938 c.c., al solo costruttore – questa Corte, con la sentenza della 2^ Sezione 16 marzo 1974, n. 763, ha affermato che la regolamentazione sancita dal citato art. 938, essendo diretta a disciplinare, su basi obiettive, i contrapposti interessi del costruttore di buona fede e del proprietario del suolo, può essere utilmente invocata, anche nell’inerzia del costruttore, dallo stesso proprietario del suolo, in tal caso restando ovviamente salva per il costruttore, che non intenda beneficiare della cosiddetta accessione invertita, la possibilità di procedere egli stesso o di impegnarsi, comunque, alla demolizione della costruzione, facendo in tale modo venir meno, nelle more del giudizio, una delle condizioni dell’azione. In altri termini, se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo attiguo, il proprietario del fondo che non abbia fatto tempestiva opposizione, può, in caso di inerzia del costruttore, chiamarlo in giudizio chiedendo la condanna al pagamento del doppio del valore della superficie occupata (e al risarcimento del danno), nonchè la pronuncia costitutiva circa la c.d. accessione invertita in favore del costruttore convenuto, salva appunto per quest’ultimo, ove non intenda beneficiarne, la possibilità di demolire l’opera sconfinata sul suolo altrui.

Da tanto deriva che, promossa in giudizio, da parte del proprietario del suolo una porzione del quale sia stato occupato dal vicino nella costruzione di un edificio, l’azione diretta a far valere l’obbligazione indennitaria di cui all’art. 938 c.c., in tanto tale domanda può essere accolta, in quanto il dominus soli abbia contemporaneamente domandato l’acquisto coattivo della proprietà del suolo in favore del costruttore convenuto (ferma l’opzione per la demolizione da parte di quest’ultimo).

Ha pertanto errato la Corte d’appello a confermare la condanna dell’ E. (il vicino costruttore) al pagamento del doppio del valore del terreno di proprietà dell’attore senza contemporaneamente trasferire al medesimo convenuto la proprietà della porzione di suolo occupata.

La condanna del pagamento al doppio del valore del terreno, infatti, in tanto si giustifica in quanto si verifichi il presupposto dell’attribuzione al costruttore dell’edificio, attraverso la sentenza costitutiva, della proprietà della porzione di suolo occupata, rappresentando detta attribuzione costitutiva aspetto di una vicenda unitaria in reciprocità causale caratterizzata dall’interdipendenza degli effetti previsti dalla disposizione del citato art. 938 c.c..

E tale acquisto coattivo in favore del convenuto neppure poteva essere disposto, posto che l’attore S., proponendo la domanda giudiziale con l’atto di citazione notificato il 5 dicembre 2001, si è limitato a chiedere la pronuncia di condanna del convenuto al pagamento del valore, da accertare in corso di causa, del terreno occupato del quale si era di fatto appropriato, senza domandare che un acquisto della proprietà del suolo venisse disposto dal giudice.

Coglie pertanto nel segno la censura sollevata dal ricorrente con il motivo, con cui viene correttamente lamentato l’esito in violazione dell’art. 938 c.c., della sentenza di merito, con cui è stata accolta la domanda diretta a far valere l’obbligazione indennitaria in difetto dell’attribuzione al costruttore della proprietà dell’edificio e della superficie occupata, e quindi senza realizzare quella vicendevole dipendenza fra gli effetti reali e gli effetti obbligatori da tale disposizione previsti.

A ciò aggiungasi che dagli stessi accertamenti compiuti dalla Corte territoriale, come emergenti dalla sentenza, risulta che, nel corso del giudizio di primo grado, l’attore S., con atto per notar R. del (OMISSIS), aveva alienato a terzi (la società a r.l. E. Costruzioni) la proprietà del suolo occupato dalla costruzione.

2. – Per effetto dell’accoglimento del primo motivo, r. assorbito l’esame del secondo (violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., con riferimento all’art. 938 c.c.), con cui il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia ritenuto che il mancato accordo sulle spese giudiziali fosse ostativo ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere, sostenendo che – diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata – l’atto con il quale il S. ha disposto della porzione di terreno oggetto dell’occupazione da parte dell’ E., alienandola dietro il pagamento di un corrispettivo ad un terzo, rappresenta quel fatto sopravvenuto idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere, avendo fatto venir meno l’interesse ad agire dell’attore.

3. – La sentenza impugnata è cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda proposta da S.G..

4. – La peculiarità della fattispecie e la complessità della questione trattata giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da S.G., compensando tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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