Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3898 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/02/2017, (ud. 10/01/2017, dep.14/02/2017),  n. 3898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.V., V.M., V.S.,

V.C., eredi di V.G., nonchè B.C., in

proprio e quale erede di V.G., rappresentati e difesi,

in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.

Giovanni Maria Pastega, Rossanna Basile e Gabriele Pafundi, con

domicilio eletto nello studio di quest’ultimo in Roma, viale Giulio

Cesare, n. 14;

– ricorrenti –

contro

G.A. e A.C., eredi di G.C.,

rappresentate e difese, in forza di procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avv. Leopoldo Modè e Giuseppe Ciliberti, con

domicilio eletto nello studio di quest’ultimo in Roma, piazza

Martiri di Belfiore, n. 2;

– controricorrenti –

e contro

S.S. e S.G., rappresentati e difesi, in forza

di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv. Carlo Straulino

e Luigi Albisinni, con domicilio eletto nello studio di quest’ultimo

in Roma, via Zanardelli, n. 20;

– controricorrenti –

e contro

D.I., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia depositata il 16

maggio 2012.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10

gennaio 2017 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Gabriele Pafundi e Giuseppe Ciliberti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – I coniugi V.G. e B.C. proponevano opposizione di terzo alla sentenza n. 1146 del 2002 con la quale il Tribunale di Venezia aveva dichiarato che G.C. era divenuta proprietaria esclusiva per usucapione delle porzioni immobiliari site in (OMISSIS), individuate al NCT Comune Venezia, sezione (OMISSIS), partita (OMISSIS) foglio (OMISSIS), mappali (OMISSIS), orto delle superficie complessiva di mq. 4590 ha 0,4590.

Rilevavano gli attori che la causa era stata proposta da Colomba Ghezzo nei confronti degli intestatari catastali dell’immobile, molti dei quali deceduti, ma che il terreno era ininterrottamente e senza contestazione altrui da essi goduto sin dal 1958 e fino all’anno 1999, quando la stessa G.C., a mezzo della sua tutrice G.L., instaurò un procedimento possessorio, lamentando uno spoglio che venne rigettato dal Pretore di Chioggia.

Chiedevano pertanto che fosse accertata e dichiarata l’intervenuta usucapione nei loro confronti del mappale (OMISSIS) oggetto di usucapione da parte della G..

Si costituiva la G., a mezzo della tutrice G.L., chiedendo il rigetto della domanda.

Intervenivano volontariamente in giudizio S.S. e S.G., i quali avevano acquistato dalla G. il mappale in contestazione.

2. – Con sentenza n. 1818 del 2006 il Tribunale di Venezia rigettava la domanda di opposizione di terzo proposta da V.G. e B.C..

3. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 16 maggio 2012, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame del V. e della B..

3.1. – Ha rilevato la Corte d’appello che l’animus possidendi si sostanzia nell’intento di tenere la cosa come propria, e che tale requisito difetta nella condotta dei coniugi V., dato che gli stessi apertis verbis avevano riconosciuto che proprietaria era la G., chiedendone il permesso di occupare tale terreno ed avendo poi proceduto ad una offerta di acquisto.

Nè – ha precisato la Corte di Venezia – vale ad inficiare tale argomentazione la circostanza che dette dichiarazioni (richiesta del permesso di occupazione e offerta di acquisto) provengano dal solo V. e non dalla di lui moglie B.C., e ciò in quanto la B. ha avanzato le stesse considerazioni in ordine al possesso del terreno da parte di entrambi in fatto ed in diritto senza far valere in via autonoma e distinta un diverso possesso da parte sua basato su fatti diversi rispetto a quelli allegati dal marito, con il quale svolgeva congiuntamente la stessa attività di coltivazione.

Attesa l’accertata natura confessoria di tali richieste avanzate alla G., secondo la Corte d’appello correttamente è stata rigettata la richiesta prova testimoniale in quanto tendente a provare fatti in contrasto con la confessione documentale.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello V.V., M., S. e C., eredi di V.G., e B.C., in proprio e quale erede di V.G., hanno proposto ricorso, con atto notificato il 5 aprile 2013 e il 25 giugno 2013, sulla base di tre motivi.

Hanno resistito, con controricorso, G.A. e A.C., nella dichiarata qualità di eredi aventi causa di G.C. e S.S. e S.G..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

I controricorrenti G. – A. e S. hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – In accoglimento dell’eccezione sollevata dalla difesa di parte ricorrente nell’udienza di discussione, va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del controricorso di G.A. e A.C., in quanto proposto da soggetti che non sono stati parti nel giudizio di merito e che hanno dichiarato di essere eredi aventi causa di G.C., senza tuttavia dare dimostrazione documentale di tale loro allegata qualità.

2. – Deve essere invece respinta l’eccezione, sollevata dai controricorrenti S., di inammissibilità, per difetto di interesse processuale, del rimedio dell’opposizione di terzo azionato dagli odierni ricorrenti.

Va infatti data continuità al principio secondo, cui con riguardo alla sentenza, passata in giudicato, che abbia dichiarato l’usucapione della proprietà di bene immobile, la legittimazione a proporre opposizione, ai sensi dell’art. 404 c.p.c., deve essere riconosciuta al terzo, che faccia valere l’effettiva titolarità del diritto dominicale per acquisto a titolo originario anteriore a quello riconosciuto in favore di altri dalla predetta decisione (Cass., Sez. 2, 29 giugno 1985, n. 3885).

3. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dgeli artt. 1140, 1158, 1165 e 2944 c.c.) i ricorrenti censurano che la Corte d’appello abbia escluso l’animus possidendi alla stregua di una circostanza invece ininfluente, quale la ritenuta consapevolezza da parte dei coniugi V. dell’altrui appartenenza del terreno, manifestata con la richiesta di acquistare tale terreno. D’altra parte, la richiesta di acquistare il terreno neppure potrebbe ritenersi di per sè munita di alcuna efficacia interruttiva del termine per l’usucapione, non implicando, in quanto tale, nè l’interruzione del possesso, nè impedimento al suo materiale esercizio e risultando per contro compatibile con ipotesi alternativa logicamente plausibile, ossia la volontà di risolvere una situazione conflittuale e giuridicamente instabile.

3.1. – Il motivo è infondato.

E’ certamente esatto che per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l’animus possidendi non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà (Cass., Sez. 2, 28 novembre 2013, n. 26641).

Sennonchè, la Corte d’appello non ha affatto ravvisato nella convinzione di essere proprietario il requisito indispensabile ai fini dell’animus possidendi e dell’usucapione.

Piuttosto, la Corte territoriale ha considerato che le lettere inviate dal V. alla G., dove questi tra l’altro chiedeva il permesso di occupare il terreno negli stessi termini in cui tale tolleranza era stata precedentemente autorizzata, dimostravano che il rapporto con il bene era iniziato a titolo di detenzione. Infatti, è lo stesso V., nella missiva del 1983 indirizzata alla G., a dare atto di avere richiesto, circa venticinque anni prima, il permesso di occupare una parte del terreno abbandonato per mettervi le attrezzature da pesca.

E poichè non risulta che vi sia stato alcun atto di interversione della detenzione in possesso, correttamente la Corte d’appello ha escluso l’animus possidendi, necessario affinchè si abbia possesso ad usucapionem, atteso che nella specie la relazione di fatto con il bene è iniziata come detenzione.

Invero, affinchè si abbia possesso ad usucapionem è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo e non interrotto che dimostri inequivocabilmente l’intenzione di esercitare il potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno ius in re aliena, e, quindi, una signoria sulla cosa che permanga per tutto il tempo indispensabile per usucapire, senza interruzione, sia per quanto riguarda l’animus che il corpus, e che non sia dovuta a mera tolleranza, la quale è da ravvisarsi tutte le volte che il godimento della cosa, lungi dal rivelare l’intenzione del soggetto di svolgere un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, tragga origine da spirito di condiscendenza (Cass., Sez. 2, 3 aprile 1992, n. 1092).

D’altra parte, ai fini del mutamento della detenzione in possesso, chi abbia iniziato il godimento del bene a titolo di detenzione non può acquistarne il possesso finchè il titolo non venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta nei confronti del possessore (Cass., Sez. 2, 10 ottobre 2007, n. 21252).

Nè coglie la ratio decidendi la denuncia di violazione e falsa applicazione delle norme sulla interruzione del corso della prescrizione acquisitiva per effetto di riconoscimento, giacchè nel caso di specie non ricorre l’ipotesi del possesso utile per l’usucapione.

4. – Con il secondo motivo (violazione degli artt. 1140, 1158, 1470 c.c. e decisivo per il giudizio) ci si duole che la Corte d’appello abbia confermato il valore ricognitivo delle due missive, malgrado inviate, la prima, il 4 novembre 1983, alla G., anteriormente alla sua usucapione con sentenza del 2002, e la seconda, il 25 marzo 1997, ad un terzo, ossia all’Avv. Leopoldo Modè. Il riconoscimento del diritto, agli effetti del combinato disposto degli artt. 1165 e 2944 c.c., avrebbe dovuto essere in ipotesi rivolto agli originari intestatari catastali del terreno in questione. Non soltanto ogni permesso e richiesta concernenti il terreno in questione non avrebbero potuto essere validamente indirizzate a G.C., ma quest’ultima non avrebbe potuto neppure validamente consentire e/o disporre alcunchè al riguardo, non essendo titolare, all’epoca delle rese dichiarazioni, di alcun diritto sulla porzione immobiliare in questione. Se la G. risultava legittimata a ricevere le richieste di acquisto, come comproprietaria del terreno in questione, tali richieste, in quanto appunto finalizzate alla compravendita, non potevano che riguardare la quota immobiliare di 1/31 di cui la stessa all’epoca risultava già proprietaria e di cui la stessa poteva validamente disporre e non invece la quota immobiliare di 30/31, di cui è causa, acquistata per usucapione soltanto dieci anni dopo e rispetto alla quale la G. non avrebbe potuto anteriormente compiere alcun atto dispositivo.

4.1. – Il motivo è infondato, per l’assorbente e decisiva ragione che la Corte di Venezia ha dato correttamente rilievo alla missiva del 1983 non già per lo status della G., destinataria della dichiarazione (che in ogni caso, quale comproprietaria del bene, era legittimata a concedere il permesso di occupare il terreno), quanto per trarne la dimostrazione dell’atteggiamento psicologico dell’emittente nel suo rapporto di mera detenzione con il terreno sin da quando, venticinque anni prima, aveva chiesto di potervi collocare attrezzature da pesca.

5. – Con il terzo mezzo (violazione degli artt. 2722, 2730, 2733 e 2735 c.c. e art. 116 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento e omessa e insufficiente motivazione) i ricorrenti censurano che la sentenza abbia respinto la prova testimoniale, impedendo al V. e alla B. di comprovare per testi il possesso ultraventennale continuo ed ininterrotto, erroneamente applicando l’istituto della confessione ed estendendone gli effetti anche alla moglie del sottoscrittore.

5.1. – Il motivo è infondato.

Avendo la sentenza – con valutazione che resiste alle censure sollevate con il ricorso – ritenuto che, per stessa dichiarazione del V., l’occupazione del terreno è stata esercitata in funzione dello spirito di condiscendenza della G., alla quale era stato chiesto il relativo permesso, ed avendo per ciò escluso l’animus possidendi, diventa irrilevante l’accertamento di come si sia in concreto atteggiato il corpus della relazione di fatto con il terreno. Le prove per testi richieste dai ricorrenti, vertendo sulle modalità materiali del potere di fatto, sono prive di decisività.

E poichè la missiva del V. ha valenza di confessione stragiudiziale (attestando la verità di una fatto – l’aver instaurato la relazione con il bene in virtù di un atto di permesso della G. a sè sfavorevole e vantaggioso per

l’altra parte), appartiene poi all’apprezzamento di merito della Corte d’appello – qui non ulteriormente sindacabile – la valutazione che la missiva confessoria del V. valesse a far luce anche sull’animus della moglie B., non avendo costei allegato a fondamento della relazione di fatto con il bene fatti diversi rispetto a quelli dedotti dal marito.

6. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza in favore dei soli controricorrenti S..

7.- Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, art. 1, comma 17 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti S., che liquida in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 2.500 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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