Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3897 del 16/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3897 Anno 2018
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: LUCIOTTI LUCIO

ORDINANZA
sul ricorso 2405-2017 proposto da:
PELLONE ANTONIO, elettivamente domiciliato in RONR, VIA DI
SANTA COSTANZA 13, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA
CAVALLARO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO
POLIZZY;

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. 06363391001), in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in RONLk, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente avverso la sentenza n. 5469/29/2016 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata il 13/06/2016;

C.

Data pubblicazione: 16/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/01/2018 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI.

Ric. 2017 n. 02405 sez. MT – ud. 11-01-2018
-2-

RILEVATO
– che con la sentenza in epigrafe la Commissione tributaria regionale
della Campania rigettava l’appello proposto da Antonio Pellone avverso la
sentenza di primo grado che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto

38 cl.P.R. n. 600 del 1973, di maggiori redditi ai fini IRPEF con riferimento
all’anno di imposta 2007;
– che i giudici di appello sostenevano che il contribuente non aveva
fornito prova di una disponibilità finanziaria idonea a giustificare il tenore
di vita accertato;
– che avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per
cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del vigente art. 380

bis cod. proc. civ. risulta regolatniente costituito il contraddittorio;
– che il Collegio ha deliberato la redazione dell’ordinanza con
motivazione semplificata;

CONSIDERATO
— che con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi
dell’art. 360 (erroneamente indicato nella rubrica del motivo come «360
bis»), primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il vizio di «omessa e/o
insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo della
controversia», consistente nell’omesso esame da parte dei giudici d’appello
del documento (estratto conto della Generali s.p.a.) attestante l’incasso in
data 10/11/2006 di una polizza assicurativa per un importo (pari ad Euro
68.273,17) sufficiente a giustificare l’acquisto nel corso dell’anno 2007 delle
autovetture che l’amministrazione finanziaria aveva considerato ai fini
dell’accertamento sintetico del maggior reddito;

dal predetto contribuente avverso l’avviso di accertamento sintetico, ex art.

- che diversi sono i profili di inammissibilità del mezzo di cassazione in
esame, il primo da ravvisarsi nell’applicabilità alla sentenza impugnata,
pubblicata in data 13 giugno 2016, della regola della pronuncia c.d. «doppia
conforme» di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ. e della nuova foimulazione
dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.; disposizioni introdotte

n. 134 del 2012, applicabili alle sentenze pubblicate — come nel caso di
specie — dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della
legge di conversione del decreto (id est, alle sentenze pubblicate dal giorno
11 settembre 2012);
— che, in particolare, il motivo è inammissibile in quanto contravviene al
principio, condiviso dal Collegio, secondo cui nell’ipotesi, come quella che
ci occupa, di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter
cod. proc. civ., applicabile anche nel giudizio di legittimità in materia
tributaria, ovvero al ricorso avverso la sentenza della Commissione
tributaria regionale (cfr. Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014), «il ricorrente in
cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360
cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione
di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello,
dimostrando che esse sono tra loro diverse» (Cass. 5528 del 2014; conf. n.
26674 del 2016); adempimento che il ricorrente nel caso di specie non ha
svolto, emergendo comunque dal contenuto del ricorso che identica è la
quaestio facti esaminata dalle due commissioni tributarie e risolte nel
medesimo senso;
— che ulteriore profilo di inammissibilità è ravvisabile nella circostanza
che il mezzo in esame è elusivo della reale ratio decidendi della statuizione
impugnata, posto che i giudici di appello non si sono limitati a rilevare la
sussistenza del maggior reddito accertato dall’amministrazione finanziaria
sulla base del solo acquisto delle autovetture, che il ricorrente sostiene di
2

dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge

aver effettuato con le somme incassate nell’anno 2006 dal riscatto di una
polizza assicurativa, ma essenzialmente dal fatto che, nonostante il
contribuente avesse dichiarato un reddito per l’anno di imposta in verifica
di 12.615,00 Euro, «dal libretto di risparmio risultavano versamenti per curo
14.456,76» e «dalla documentazione bancaria emergevano giroconti per

— che il secondo motivo di ricorso è inammissibile sia perché è
prospettata soltanto in via ipotetica la violazione e falsa applicazione
dell’art. 58 d.lgs. n. 546 del 1992, sul presupposto che dal tenore della
sentenza impugnata «si potrebbe pensare che la commissione, ancorché
non vi faccia alcun riferimento, abbia ritenuto valide le censure mosse
dall’Agenzia delle entrate appellata la quale nel costituirsi eccepiva
l’inammissibilità dell’appello perché basata su documentazione non
prodotta in primo grado e, dunque, a loro dire, inammissibile» (ricorso, pag.
6), sia perché anche in questo caso la censura non coglie la ratio decidendi
della statuizione impugnata che nulla afferma al riguardo, limitandosi a
sostenere il mancato adempimento da parte del contribuente dell’onere
probatorio sul medesimo incombente;
— che, conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;

P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento,
in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese
prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, dà atto della
3

euro 102.300,00»;

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto

per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

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