Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3897 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. II, 08/02/2022, (ud. 20/12/2021, dep. 08/02/2022), n.3897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CONFEDERAZIONE UNIONE SINDACALE DI BASE (USB), (C.F.: (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso,

dall’Avv. Laura Mattina, ed elettivamente domiciliata presso il suo

studio, in Roma, Viale delle Milizie, n. 9;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FROSINONE, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in

calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’Avv.

Marco Cianfrocca, ed elettivamente domiciliato presso il studio, in

Roma, v. Balduina, n. 18, (c/o Dott.ssa Stefania Cianfrocca);

– controricorrente –

e

ICA – Imposte comunali affini s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza del Tribunale di Frosinone n. 1388/2016

(pubblicata il 9 dicembre 2016);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20

dicembre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Confederazione Unione Sindacale di Base (in sigla USB) ha proposto, con atto notificato il 7 giugno 2017, ricorso per la cassazione della sentenza n. 1388/2016, depositata il 9 dicembre 2016, con la quale il Tribunale di Frosinone, riformando la sentenza n. 1293/2014 del Giudice di Pace della stessa città, ha rigettato l’opposizione della stessa USB avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 237/2013 con cui il Comune di Frosinone aveva irrogato nei suoi confronti la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 533,60 per violazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 24, comma 2 (recante Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 4, concernente il riordino della finanza territoriale) e del regolamento comunale sulla pubblicità.

2. – L’impugnata ordinanza-ingiunzione si fondava sulle risultanze di un verbale di accertamento emesso dalla società ICA – Imposte Comunali e Affini s.r.l., concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dei tributi comunali, con il quale si contestava all’opponente di aver esposto senza autorizzazione, su una struttura lungo la via pubblica, due locandine con la scritta “USB sciopero generale 11 marzo manifestazione nazionale (OMISSIS)…”.

2. – Il Giudice di pace, nell’accogliere l’opposizione, rilevava che non vi era prova che la violazione contestata fosse imputabile alla ricorrente in qualità di trasgressore o di responsabile in solido; sottolineava che il rapporto di solidarietà presuppone che alla base vi sia un mandato, ovvero un diverso titolo che giustifichi un legame tra l’autore materiale della violazione ed il soggetto responsabile in solido con il trasgressore; osservava che, nella fattispecie, non era stata fornita alcuna prova circa il rapporto intercorrente tra l’autore materiale della violazione e il responsabile in solido, non essendo d’altra parte stato chiarito il titolo per il quale la contestazione era stata mossa.

3. – A fondamento dell’adottata pronuncia, di accoglimento dell’appello del Comune e della società ICA e di riforma della sentenza di primo grado, il Tribunale di Frosinone ha rilevato che, ai fini della configurazione della responsabilità ascritta all’USB, doveva considerarsi ininfluente la mancata identificazione degli autori materiali della condotta concretante la contestata violazione al fine di estendere – ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689m, art. 6 – l’obbligo solidale a carico dell’appellata per la conseguente applicazione della correlata sanzione amministrativa, sussistendo un rapporto oggettivo e funzionale della condotta stessa tenuta con l’interesse ovvero gli scopi della medesima Unione sindacale di base.

In particolare, il giudice di appello ha posto in evidenza che le locandine affisse senza autorizzazione riportavano le indicazioni relative all’USB e che non poteva dubitarsi che l’invito allo sciopero generale fosse funzionale con gli interessi della stessa associazione sindacale, ragion per cui, poiché quest’ultima non aveva fornito alcuna prova per essersi attivata al fine di impedire l’abusiva affissione, né che la stessa fosse avvenuta contro la sua volontà, non poteva che affermarsi la sussistenza della sua responsabilità in relazione alla richiamata violazione, da cui derivava, quindi, la legittimità della sanzione irrogata a suo carico.

4. – Il ricorso per cassazione della USB si articola su due motivi, rispettivamente riferiti alla violazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 6, ed alla violazione dei principi in tema di onere probatorio e di prove presuntive (artt. 2697,2727 e 2729 c.c.).

Il Comune di Frosinone ha resistito con controricorso.

La società ICA non ha svolto attività difensiva in questa sede.

5. – Il ricorso è stato in un primo tempo avviato alla trattazione in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

In prossimità della Camera di consiglio, fissata per il 5 marzo 2021, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

6. – In esito alla Camera di consiglio la Corte ha rinviato il ricorso alla pubblica udienza.

7. – Fissato all’udienza pubblica del 20 dicembre 2021, il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, e del D.L. n. 105 del 2021, art. 7, convertito nella L. n. 126 del 2021, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso venga accolto per quanto di ragione.

Il Comune controricorrente ha depositato una comparsa di costituzione di nuovo difensore.

legittimazione passiva. La ricorrente si duole che il giudice di appello abbia applicato la L. n. 689 del 1981, art. 6, al di fuori dei presupposti previsti dalla norma stessa (la proprietà del mezzo, in relazione al primo i comma, o il rapporto di lavoro o di mandato, con riferimento al comma 3), tenuto, altresì, conto che, nella fattispecie in esame, non era stata provata, in alcun modo, nemmeno in termini di affidamento o avvalimento, la riconducibilità dei manifesti alla Confederazione.

Con il secondo mezzo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, delle norme e dei principi in tema di onere probatorio e di prove presuntive, secondo le previsioni di cui agli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., sul rilievo che, nel caso di specie, non avrebbe potuto essere applicata la disciplina sulle presunzioni per pervenire all’affermazione della responsabilità della USB. La comunicazione di una manifestazione generale in occasione di uno sciopero nazionale non si tradurrebbe in un interesse diretto e specifico del sindacato ricorrente.

2. – I motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione.

3. – Occorre premettere la descrizione del quadro normativo di riferimento.

Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24, prevede che alle violazioni delle disposizioni legislative e regolamentari riguardanti l’effettuazione della pubblicità conseguono sanzioni amministrative per la cui applicazione si osservano le norme contenute nelle sezioni I e II del capo I della L. n. 689 del 1981.

Per effetto dell’abrogazione – disposta dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 176 – del comma 5-ter (che era stato aggiunto della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 480), il citato art. 24, non contiene più la norma che, in materia di sanzioni amministrative, prevedeva che qualora il manifesto riguardasse l’attività, tra gli altri, di una organizzazione sindacale, soggetto responsabile fosse esclusivamente colui che materialmente era colto in flagranza nell’atto di affissione, con espressa esclusione della responsabilità solidale.

Il D.Lgs. n. 507 del 1993, contiene un’altra norma di interesse: l’art. 20.1, introdotto dalla L. n. 296 del 2006, il quale prevede che gli oneri derivanti dalla rimozione dei manifesti affissi in violazione delle disposizioni vigenti siano a carico, non dei bilanci comunali ma, dei soggetti per conto dei quali sono affissi, salvo propria contraria.

La responsabilità solidale è disciplinata dalla L. n. 689 del 1981, art. 6. Dopo aver contemplato, al comma 1, la responsabilità, in solido con l’autore della violazione, del proprietario della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione, a meno che questi provi che la cosa è stata utilizzata contro la sua volontà, dell’art. 6, comma 3, stabilisce che se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l’ente o l’imprenditore è obbligata in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta.

4. – Sulle questioni sollevate dal ricorso la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi con esiti non perfettamente sovrapponibili.

4.1. – Nella sentenza della I Sezione 24 febbraio 2004, n. 3630, si è affermato che il sindacato, a favore del quale si sia realizzata, ad opera di suoi aderenti rimasti ignoti, l’affissione di manifesti pubblicitari abusivi, è tenuto in solido, pur in mancanza di un proprio specifico intento trasgressivo, a pagare le sanzioni amministrative di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24, a meno che non provi che la condotta illegittima degli autori materiali della violazione si sia avuta in contrasto con particolari sue azioni positive, idonee a ostacolarla o impedirla.

Nella successiva sentenza, della II Sezione, 12 giugno 2009, n. 13770, si è affermato che in tema di sanzioni amministrative emesse, ai sensi dell’art. 24 del citato D.Lgs., per l’affissione di manifesti contenenti messaggi pubblicitari senza la prescritta autorizzazione, la responsabilità solidale della persona giuridica o dell’ente privo di personalità giuridica – nel caso di violazione commessa dal rappresentante o dal dipendente degli enti medesimi, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze – consente di includere nell’ambito applicativo della norma non soltanto i soggetti legati alla persona giuridica o all’ente da un formale rapporto organico, ovvero da un rapporto di lavoro subordinato, ma anche tutti i casi in cui i rapporti siano caratterizzati in termini di affidamento (inteso come materiale consegna all’autore della violazione del materiale pubblicitario) o di avvalimento (inteso come attività di cui il committente profitta); ciò tuttavia, a condizione che l’attività pubblicitaria sia comprovatamente riconducibile all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio pubblicitario o che sia documentato il rapporto tra autore della trasgressione ed ente o persona giuridica opponente, restando comunque escluso che il beneficiario del messaggio pubblicitario sia solidalmente responsabile della violazione per il solo fatto di averne potuto trarre giovamento.

I principi espressi in Cass., Sez. I, n. 3630 del 2004 sono stati ripresi da Cass., Sez. I, 28 giugno 2006, n. 15000, e da Cass., Sez. II, 25 gennaio 2012, n. 1040, le quali concernono violazioni amministrative non in materia di imposta di pubblicità, bensì in materia di disciplina della cartellonistica sulla sede stradale ex art. 23 C.d.S..

La sentenza n. 13770 del 2009 è stata ripresa da due recenti arresti della Sezione VI-2 che hanno, entrambi, confermato la sentenza di merito in controversie, analoghe alla presente, tra l’associazione sindacale USB ed il Comune di Frosinone (ordinanza 4 gennaio 2019, n. 100, che ha rigettato il ricorso dell’associazione sindacale, e ordinanza 20 novembre 2018, n. 29891, che ha rigettato il ricorso del Comune).

5. – Il Collegio osserva che un punto fermo, e pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, è rappresentato dalla possibilità di predicare la responsabilità solidale della persona giuridica, o dell’ente privo di personalità giuridica, non solo quando l’autore è legato al soggetto collettivo da un formale rapporto organico ovvero da un rapporto di lavoro subordinato, ma anche in tutti i casi in cui i rapporti siano caratterizzati in termini di affidamento (inteso come materiale consegna all’autore della violazione del materiale pubblicitario) o di avvalimento (inteso come attività di cui il committente si giova), a condizione, però, che l’attività pubblicitaria sia comprovatamente riconducibile all’iniziativa del beneficiario.

Si tratta di un indirizzo nomofilattico costante. La sentenza n. 1040 del 2012 lo compendia nell’affermazione secondo cui dell’art. 6, art. 24, individua “nel rapporto oggettivo e funzionale della condotta tenuta con l’interesse ovvero gli scopi di una persona giuridica o di un ente di fatto” il titolo stesso della solidarietà di detti enti con l’autore della violazione, indipendentemente dalla identificazione della persona fisica che ha commesso materialmente la violazione. La sentenza n. 13770 del 2009 lo declina e lo scolpisce nella necessità di una comprovata riconducibilità dell’attività pubblicitaria al beneficiario.

6. – Un secondo punto fermo è rappresentato dal principio, espresso a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 22 settembre 2017, n. 22082), secondo cui la solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione.

7. – Il terzo aspetto condiviso è costituito dal rilievo che a giustificare l’imputazione solidale non basta la circostanza di fatto del mero giovamento. La sentenza n. 1370 del 2009 richiede che l’attività pubblicitaria sia comprovatamente riconducibile all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio pubblicitario o che sia documentato il rapporto tra autore della trasgressione ed ente o persona giuridica opponente, mentre esclude che il beneficiario del messaggio pubblicitario possa essere ritenuto solidalmente responsabile della violazione per il solo fatto di averne potuto trarre giovamento. E tale sottolineatura è ribadita nella giurisprudenza successiva: nella ordinanza n. 29891 del 2018 e nella ordinanza n. 100 del 2019.

8. – In questo contesto, ritiene il Collegio che, in tema di sanzioni amministrative emesse, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24, per l’affissione di manifesti contenenti messaggi pubblicitari senza la prescritta autorizzazione, ai fini della configurabilità della responsabilità solidale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, non è sufficiente il solo fatto di averne potuto trarre, il soggetto collettivo, giovamento, ma si richiede che i manifesti siano stati affissi per conto del detto soggetto, che cioè sia comprovata la riconducibilità dell’attività pubblicitaria all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio pubblicitario o che sia documentato il rapporto tra autore della trasgressione ed ente opponente.

9. – Il titolo di responsabilità solidale può essere rinvenuto, in base dell’art. 6, comma 1, anche nella proprietà della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione. Proprio in vicenda di affissione abusiva di manifesti, Cass., Sez. I, 24 marzo 2004, n. 5891, ha affermato il principio secondo il quale la L. n. 689 del 1981, art. 6, considera obbligato in solido, con l’autore materiale dell’illecito, il proprietario della cosa che servì a commettere la violazione, salvo che quest’ultimo dimostri che la cosa sia stata utilizzata (ossia, nel caso, che l’affissione sia avvenuta al di fuori degli spazi consentiti) contro la sua volontà, e senza peraltro che l’identificazione dell’autore materiale possa ritenersi requisito di legittimità per l’operatività della presunzione a carico del proprietario.

Sempre in tema di manifesti pubblicitari abusivamente affissi, è significativa Cass., Sez. II, 25 gennaio 2012, n. 1042, la quale ha convalidato il ragionamento seguito dal giudice di merito che aveva escluso che la presunzione di proprietà dei manifesti in capo all’associazione musicale opponente potesse fondarsi sul fatto che l’affissione era concretamente avvenuta in favore di detta associazione. Si legge nella citata sentenza: “il giudice di pace ha congruamente evidenziato che i manifesti abusivi erano costituiti da comuni fogli per stampa tipo A4 sui quali erano stati stampati il nome del gruppo musicale, il titolo dello spettacolo e il luogo e la data dello svolgimento di quest’ultimo presso il Circolo…, giungendo, perciò, alla logica conseguente conclusione che, sulla scorta di questi elementi, era del tutto illegittimo presumere la proprietà dei manifesti in capo al suddetto Circolo (ancorché risultasse essere il soggetto avvantaggiato dalla pubblicità) e la sicura riconducibilità dell’attività di averne commissionato l’affissione illegittima (trattandosi, in altre parole, di beni mobili “al portatore”, privi, cioè, di idonee caratteristiche attraverso le quali era lecito risalire al proprietario degli stessi)”.

Spetta all’Amministrazione che ha applicato la sanzione amministrativa provare tutti gli elementi necessari per l’affermazione della responsabilità amministrativa. Tale regola vale anche per la responsabilità solidale del proprietario prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1, salvo che per l’ambito in cui opera la presunzione posta dalla stessa disposizione. Consegue che incombe sull’Amministrazione che invoca la presunzione prevista dal citato art. 6 provare la titolarità del diritto di proprietà (in capo al soggetto ritenuto obbligato solidale) nel momento in cui la cosa servì o fu destinata a commettere la violazione; solo una volta raggiunta la prova di tale titolarità, spetterà al proprietario provare che l’utilizzazione della cosa in sua proprietà avvenne contro la sua volontà (Cass., Sez. I, 20 giugno 1994, n. 5919).

10. – Nella specie il Tribunale di Frosinone ha individuato il titolo di responsabilità solidale della Confederazione sindacale nella proprietà del mezzo usato per la commissione dell’infrazione, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1, presumendo detta proprietà in capo all’Unione sindacale in forza di due elementi: l’inerenza del messaggio, affisso senza autorizzazione, agli scopi dell’ente; la presenza, in calce alla locandina, delle indicazioni relative alla USB.

Il giudice del gravame ha infatti accertato che la locandina recava la scritta “sciopero generale 11 marzo manifestazione nazionale (OMISSIS)” con “le indicazioni relative alla USB-Unione Sindacati di Base” e, su questa premessa, ha considerato l’invito allo sciopero generale funzionale agli interessi dell’associazione sindacale, stante l’inerenza del messaggio, affisso senza autorizzazione, agli scopi dell’ente, tenuto conto che l’organizzazione sindacale non aveva fornito alcuna prova di essersi attivata per impedire l’abusiva affissione o che la stessa fosse avvenuta contro la sua volontà.

11. – La Confederazione ricorrente contesta questa conclusione; sostiene che l’art. 6 sarebbe stato applicato in manifesta assenza del presupposto previsto dalla norma stessa (la proprietà del mezzo); deduce che, poiché nella specie le locandine pubblicizzavano uno sciopero generale indetto da più sigle sindacali e la manifestazione nazionale a (OMISSIS), non poteva ipotizzarsi in capo all’organizzazione sindacale ricorrente la proprietà della locandina, difettando i requisiti della presunzione (gravità, precisione e concordanza).

12. – La complessiva censura è fondata per le ragioni che seguono.

12.1. – Occorre premettere che in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua dello stesso art. 360, n. 5), competendo alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta (Cass., Sez. lav., 16 novembre 2018, n. 29635; Cass., Sez. lav., 30 giugno 2021, n. 18611).

Infatti – come hanno osservato le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) – è possibile il sindacato per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non solo nell’ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la norma dell’art. 2729 c.c., deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cioè, sotto la previsione di tale disposizione, fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della fattispecie astratta, ma erroneamente applicata alla fattispecie concreta.

Secondo la giurisprudenza della Corte, il giudizio sulla gravità e precisione del ragionamento presuntivo, imposto dall’art. 2729 c.c., ha per oggetto la ricorrenza della inferenza probabilistica impostata dal giudice del merito per desumere dal fatto noto il fatto ignoto e si concretizza in un controllo di stretta legittimità, secondo parametri di elevata probabilità logica insiti nei caratteri stessi di gravità e precisione.

12.2. – Il Collegio ritiene che non sussistono i requisiti della presunzione nel ragionamento condotto dal giudice, mancando sia quello della gravità che quello della precisione.

Infatti, per un verso il Tribunale di Frosinone ha desunto la proprietà del manifesto in capo alla Confederazione sindacale dall’inerenza del messaggio pubblicizzato agli scopi dell’ente, ma non ha considerato che lo “sciopero generale” dell’11 marzo 2011 era stato proclamato da più sigle sindacali, non solo dall’USB, sicché, mancando un collegamento diretto ed esclusivo dello sciopero con quel sindacato, viene meno la logica inferenziale che consente di attribuire la proprietà dello stampato alla Confederazione stessa. Il criterio dell’interesse è privo, nella specie, del carattere della selettività: uno sciopero generale, indetto da più sigle sindacali, riguarda tutte le organizzazioni sindacali che lo hanno proclamato e i lavoratori ad esse iscritti o simpatizzanti, fino a coinvolgere qualsiasi cittadino vicino alle problematiche dei rapporti di lavoro e alle rivendicazioni dei lavoratori.

Per altro verso, difetta del connotato della precisione e della gravità la presunzione della proprietà del manifesto desunta dal fatto che la locandina “riporta le indicazioni”, peraltro non meglio dettagliate, “relative alla USB-Unione Sindacati di Base”: la presunzione della proprietà di quel manifesto avrebbe richiesto un indizio più stringente, come l’individuazione nella Confederazione del soggetto che aveva proceduto a commissionare al tipografo la stampa del manifesto e ad assumere l’iniziativa di comunicazione.

In altri termini, trarre dalle “indicazioni relative alla USB”, senza ulteriori elementi fattuali da cui si possa desumere l’iniziativa nella stampa del manifesto, la proprietà del manifesto stesso facente riferimento ad uno sciopero generale proclamato da più sindacati, non risponde ai criteri di elevata probabilità logica su cui riposa la presunzione.

Resta, quindi, inficiato l’elemento logico del ragionamento inferenziale; pertanto, la presunzione di proprietà del manifesto costruita dal giudice del merito non rispetta il disposto dell’art. 2729 c.c..

Il ragionamento decisionale impostato dal Tribunale risulta intrinsecamente viziato in iure.

Il giudice del gravame non solo ha utilizzato presunzioni non aventi i requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c., ma ha finito per dedurre la stessa responsabilità solidale, di cui all’art. 6 della L. n. 689 del 1981, dalla mancanza della prova liberatoria in ordine alla responsabilità per omissione e dalla circostanza di fatto del mero giovamento.

12.3. – A conclusioni analoghe è pervenuto il Pubblico Ministero.

L’Ufficio del Procuratore Generale ha infatti escluso che il beneficiario del messaggio pubblicitario possa essere ritenuto solidalmente responsabile della violazione per il solo fatto di averne potuto trarre giovamento e ha evidenziato che, nella specie, “il giudice del gravame territoriale avrebbe dovuto specificamente argomentare indicando gli estremi di fatto idonei a dimostrare e quindi a comprovare la riconducibilità dell’attività pubblicitaria all’iniziativa del beneficiario, requisito questo imprescindibile e necessario per l’applicazione del principio della responsabilità solidale in capo all’ente, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, e non dedurla implicitamente dalla mancanza della prova liberatoria in ordine alla responsabilità per omissione, da tanto conseguendo la fondatezza del denunziato vizio di violazione di legge”.

13. – L’accoglimento dei motivi di ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’originaria opposizione e l’annullamento dell’ordinanza-ingiunzione.

14. – Sussistono i presupposti di legge per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese dell’intero giudizio, attesa la complessità e la controvertibilità delle questioni trattate.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla l’ordinanza-ingiunzione opposta.

Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

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