Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3896 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. II, 08/02/2022, (ud. 02/12/2021, dep. 08/02/2022), n.3896

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17310/2018 proposto da:

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DELLE

BELLE ARTI 3, presso lo studio dell’avvocato MANUELA TRALDI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE GIUSEPPE

VIETTI, giusta procura in calce al controricorso;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 7605/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale, Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per

l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, e per il

rigetto del primo motivo del medesimo ricorso, nonché per

l’integrale rigetto del ricorso incidentale;

Lette le memorie delle parti;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso conformemente alle

memorie scritte;

Sentiti l’Avvocato Marrone per il Ministero dell’Economia e delle

Finanze, e gli avv. T.S., per delega dell’avvocato Michele

Giuseppe Vietti, e l’avv. Manuela Traldi per il ricorrete

incidentale.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. L’avv. T.S. ha adito il Tribunale di Roma, esponendo di aver ricevuto incarico dall’Ispettorato Generale per la liquidazione degli Enti Disciolti del Ministero del Tesoro, ora Ministero dell’economia e delle finanze, per le attività di difesa svolte in un rilevante numero di controversie civili, penali ed amministrative riguardanti enti pubblici in liquidazione; che, con convenzione del 19.9.2000, le parti avevano stabilito un compenso in favore del ricorrente pari agli onorari massimi previsti dalla tariffa per le cause di particolare complessità, agli onorari medi per quelle importanti e complesse e agli onorari compresi tra il minimo ed il massimo per quelle ordinaria complessità, salvo a poi rinegoziarli con la successiva convenzione del 18.3.2002, stabilendo l’applicazione degli onorari minimi, salvo che per le liti conclusesi favorevolmente per l’ente, senza nulla prevedere per l’ipotesi di revoca del mandato. Intervenuta detta revoca in data 30.5.2002, il ricorrente con citazione del 30 maggio 2006 aveva chiesto il saldo di sette parcelle contraddistinte dai numeri (OMISSIS), per complessivi Euro 69.910,55, facendo riferimento per tutte ai valori medi della tariffa professionale.

Nella resistenza del Ministero, il Tribunale di Roma con la sentenza n. 13179/2010 accoglieva parzialmente la domanda, liquidando la somma di Euro 31.770,65, oltre interessi legali.

Avverso tale sentenza ha proposto appello principale l’avv. T. cui ha resistito l’Amministrazione, proponendo a sua volta appello incidentale.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 7605 del 2 dicembre 2017, ha rigettato entrambi i gravami, compensando le spese di lite.

Quanto all’appello principale, ed in particolare al motivo secondo cui la sentenza del Tribunale di Roma n. 2465/2005 avrebbe costituito un giudicato in merito all’inapplicabilità dell’originaria convenzione e della sua successiva modifica, in caso di revoca del mandato, i giudici di appello osservavano che in realtà con tale sentenza si era accertato che la convenzione non potesse effettivamente trovare applicazione per l’ipotesi di revoca dell’incarico intervenuta prima della definizione del giudizio, non potendo quindi giustificarsi la pretesa dell’amministrazione di procedere alla liquidazione dei compensi secondo i valori minimi, ma la stessa sentenza non permetteva di sostenere che fosse coperta dal giudicato anche la diversa affermazione per cui in ogni caso dovesse farsi applicazione degli onorari medi anche per gli incarichi in cui la revoca era intervenuta dopo la definizione del giudizio.

Invero, anche nelle altre sentenze, intervenute tra le medesime parti ed occasionate da analoghe richieste di adempimento dell’attore, non vi era alcuna affermazione nel senso invocato dall’appellante principale, posto che in realtà la questione spesso non era stata nemmeno affrontata.

Ne’ poteva essere invocato il principio di non contestazione, per trarre la conseguenza che il Ministero dovesse essere condannato alle somme nella stessa misura in cui erano state richieste, e ciò in quanto la corretta applicazione della convenzione non costituiva una questione di fatto suscettibile di non contestazione.

Quanto al motivo di appello che atteneva alla richiesta del professionista di vedersi riconosciuti i danni da ritardato adempimento ex art. 1224 c.c., comma 2, invocando a tal fine un preteso giudicato rappresentato dalla sentenza n. 474/2011, la Corte d’Appello rilevava che in tale richiesta vi era un’implicita rinuncia alla domanda di corresponsione degli interessi al tasso di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002; ma in ogni caso non era dato rinvenire alcun giudicato, posto che quelli azionati erano crediti di natura diversa, sia per il petitum che per la causa petendi, non potendosi nemmeno ritenere che la decisione sugli interessi avesse inciso sulla convenzione, e cioè sull’elemento comune a tutti i distinti crediti fatti valere in varie sedi dal T..

Nella specie, il danno richiesto non poteva essere accordato, in quanto presupponeva la prova, non fornita dall’appellante, circa il fatto che il tasso medio di rendimento netto dei titoli di Stato, con scadenza superiore a dodici mesi, fosse stato superiore al saggio degli interessi legali. Ne’ in via presuntiva il danno poteva essere parametrato al tasso di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, trattandosi di norma inapplicabile a rapporti sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore.

La sentenza disattendeva anche l’appello incidentale.

Infatti, era infondata la richiesta di integrare il contraddittorio nei confronti di Ligestra Due S.r.l., in quanto tale società aveva assunto la veste di mero liquidatore, dovendosi per converso reputare sufficiente la partecipazione al giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che, nella stessa prospettazione della parte appellante incidentale, era il titolare dei rapporti attivi e passivi facenti capo all’ente soppresso.

La Ligestra Due era quindi un mero liquidatore, la cui partecipazione al giudizio non era necessaria.

La sentenza disattendeva anche il motivo di gravame secondo cui il Tribunale avrebbe dovuto dare atto della limitazione di responsabilità del Ministero nei limiti dell’attivo risultante dalla liquidazione dell’Ente Nazionale Cellulosa e Carta, e ciò perché trattandosi di limitazione della responsabilità gravante sull’amministrazione quale comune debitore, la questione non poteva essere dedotta per la prima volta in appello, in difetto di allegazione nel giudizio di primo grado.

Del pari era disattesa la censura che investiva la liquidazione delle spese e degli onorari per l’attività svolta dal T..

Infatti, in base all’onere di contestazione gravante sul convenuto, l’amministrazione avrebbe dovuto puntualmente contestare le singole prestazioni, a suo dire, non remunerabili in favore della controparte, dovendosi escludere che una generica contestazione faccia insorgere l’obbligo giuridico in capo al giudice di verificare l’effettivo svolgimento di tutte le prestazioni invocate dal legale.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello sulla base di due motivi.

T.S. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a diciassette motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.

Il Pubblico Ministero ha depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Anche le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

2. Preliminarmente occorre dare atto della tardiva proposizione del controricorso e del contestuale ricorso incidentale, con la conseguente inammissibilità (in tal senso si veda ex multis Cass. n. 9396/2006, a mente della quale è inammissibile il controricorso notificato e depositato oltre i termini previsti dall’art. 370 c.p.c., e da tale inammissibilità deriva il divieto per i giudici di conoscerne il contenuto e per il resistente di depositare memorie, fatta salva la facoltà di partecipazione del difensore di quest’ultimo alla discussione orale; Cass. n. 9897/2007).

Infatti, il ricorso principale del Ministero risulta essere stato notificato a mezzo pec in data 4 giugno 2018, come peraltro ammesso da parte intimata anche nel controricorso tardivamente notificato, alla pag. 19.

Invece, il controricorso, contenente ricorso incidentale risulta essere stato notificato, sempre a mezzo pec, solo in data 30 ottobre 2018, e quindi ben oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c., scadente (tenuto conto che il 14 luglio era un sabato) in data 16 luglio 2018.

3. Il primo motivo del ricorso principale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., D.L. n. 207 del 2008, art. 41, conv. dalla L. n. 14 del 2009, nonché dell’art. 11 preleggi.

Deduce il Ministero che in appello, con la comparsa di risposta, si era richiesto di accertare che lo Stato, e per esso il Ministero, fosse tenuto a rispondere verso l’attore nei limiti dell’attivo della liquidazione dell’Ente Nazionale per la cellulosa e la carta. Si trattava di una mera deduzione difensiva volta a far valere la limitazione di responsabilità dello Stato derivante del D.L. n. 207 del 2008, art. 41 comma 16 octies, convertito con L. n. 14 del 2009, ma i giudici di appello hanno disatteso la stessa ritenendo che si trattava di questione che non poteva essere sollevata per la prima volta in appello in difetto di allegazione nel giudizio di primo grado.

L’affermazione è però erronea in quanto ha implicato una non corretta applicazione dell’art. 345 c.p.c..

Infatti, tutti i rapporti intercorsi con l’avv. T., a far data dalla stessa convenzione del 2000, vedevano come controparte la liquidazione del soppresso ente e delle società controllate. Ne consegue che il Ministero risponde dei debiti contratti nella liquidazione nei limiti previsti dalla legge, anche per effetto dei vari interventi normativi, che hanno per l’appunto previsto una limitazione di responsabilità.

Orbene, tenuto conto che la limitazione invocata è stata frutto di un intervento legislativo compiuto solo in data successiva all’introduzione del giudizio di primo grado, non poteva pretendersi che l’allegazione avvenisse già dinanzi al Tribunale, dovendosi invece dare seguito alla richiesta del Ministero di applicare una disciplina direttamente posta dal legislatore.

Il motivo deve essere disatteso, ancorché si imponga una correzione della motivazione della sentenza gravata.

Ritiene il Collegio che risulta necessario succintamente riepilogare le vicende relative alla soppressione e liquidazione dell’Ente Nazionale Cellulosa e Carta.

La L. 4 dicembre 1956, n. 1404, e successive modificazioni, dispose la soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale. In forza di tale legge all’ente in liquidazione si sostituì un apposito organo statale, il quale agiva come branca dell’amministrazione dello Stato con propria soggettività istituzionale e non come organo dell’ente soppresso (arg. da Cass. Sez. L, 23/06/1983, n. 4321; Cass. Sez. L, 03/03/1984, n. 1511; Cass. Cass. Sez. L, 30/03/1984, n. 2142).

Dell’ente in questione, posto in liquidazione con il D.L. n. 513 del 1994, conv. in L. n. 595 del 1994, ne è stata poi disposta la soppressione con il successivo D.L. n. 240 del 1995, conv. in L. n. 337 del 1995.

Con il decreto del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica del 4 maggio 2000 (in Gazz. Uff., 15 maggio, n. 111), è stato avocato all’Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti il compito di procedere alle residue operazioni liquidatorie dell’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta (liquidazione unificata E.N.C.C. e società controllate), e tale Ispettorato ha appunto concluso con l’avv. T. le due convenzioni del 2000 e del 2002.

Con il D.L. n. 63 del 2002, art. 9, conv. in L. n. 112 del 2002, al comma 1 bis, lett. c) è stato previsto che: “ferma restando la titolarità, in capo al Ministero dell’economia e delle finanze, dei rapporti giuridici attivi e passivi, la gestione della liquidazione nonché del contenzioso può essere da questo affidata ad una società, direttamente o indirettamente controllata dallo Stato, scelta in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato. La società può avvalersi anche dell’assistenza, della rappresentanza e della difesa in giudizio dell’Avvocatura dello Stato alle stesse condizioni e con le stesse modalità con le quali se ne avvalgono, ai sensi della normativa vigente, le Amministrazioni dello Stato. E’, altresì, facoltà della società di procedere alla revoca dei mandati già conferiti. La società esercita ogni potere finora attribuito all’Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Sulla base di criteri di efficacia ed economicità e al fine di eliminare il contenzioso pendente, evitando l’instaurazione di nuove cause, la società può compiere qualsiasi atto di diritto privato, ivi incluse transazioni relative a rapporti concernenti differenti procedure di liquidazione, cessioni di aziende, cessioni di crediti in blocco pro soluto e rinunce a domande giudiziali. Sulle transazioni la società può chiedere il parere all’Avvocatura dello Stato. La società può anche rinunciare a crediti al di fuori delle ipotesi previste della citata L. n. 1404 del 1956, art. 9, comma 3. In base ad una apposita convenzione, sono disciplinati i rapporti con il Ministero dell’economia e delle finanze e, in particolare, il compenso spettante alla società, i profili contabili del rapporto, nonché le modalità di rendicontazione e di controllo”.

Tale società con D.M. 27 settembre 2004, è stata individuata in Fintecna Spa. (essendosi poi provveduto alla soppressione del citato Ispettorato Generale per la liquidazione degli enti disciolti, con la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 89).

Con D.M. Economia e delle Finanze 20 giugno 2007 (in Gazz. Uff., 21 luglio, n. 168), a far data dal 1 dicembre 2007 sono state avocate al Ministero dell’economia e delle finanze ed affidate alla Fintecna S.p.A., le residue operazioni liquidatorie dell’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta, aggiungendosi al comma 4 dell’articolo unico di tale decreto che lo Stato, ai sensi della L. 15 giugno 2002, n. 112, art. 9, comma 1-ter, rispondeva, comunque, delle passività nei limiti dell’attivo della liquidazione dell’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta.

E’ poi intervento, il D.L. n. 207 del 2008, art. 41, comma 16 octies conv. nella L. n. 14 del 2009, che con una specifica previsione dettata per la liquidazione dell’ENCC, ha previso che “Allo scopo di accelerare e razionalizzare la prosecuzione delle liquidazioni dell’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta (E.N.C.C.), della LAM.FOR. s.r.l. e del Consorzio del Canale Milano Cremona Po, la società Fintecna o società da essa interamente controllata ne assume le funzioni di liquidatore. Per queste liquidazioni lo Stato, ai sensi del D.L. 15 aprile 2002, n. 63, art. 9, comma 1-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 giugno 2002, n. 112, risponde delle passività nei limiti dell’attivo della singola liquidazione. Al termine delle operazioni di liquidazione, il saldo finale, se positivo, viene versato al bilancio dello Stato. Il Ministero dell’economia e delle finanze, con apposito decreto, determina il compenso spettante alla società liquidatrice, a valere sulle risorse della liquidazione.

Infine, con D.M. 11 novembre 2009, la società cui sono state attribuite le funzioni di liquidatore è stata individuata nella Ligestra Due S.r.l..

Così riassunte le vicende di cui alla gestione liquidatoria del soppresso ENCC, assume il ricorrente che aveva chiesto al giudice di appello di darsi atto, in vista della condanna in favore dell’attore, della limitazione di responsabilità nei limiti dell’attivo della liquidazione, così come previsto dalla legge, ma che tale richiesta sia stata ritenuta inammissibile per essere stata dedotta per la prima volta in appello, in detto di allegazione nel giudizio di primo grado.

Reputa il Collegio che dal punto di vista della corretta applicazione della legge processuale la doglianza sia effettivamente giustificata.

Infatti, come già ritenuto da questa Corte nella sua più autorevole composizione, in relazione alla limitazione di responsabilità derivante dalla accettazione con beneficio di inventario (Cass. S.U. n. 10531/2013), anche siffatta richiesta di determinare il limite della responsabilità del debitore integra al più una eccezione in senso lato, in quanto il legislatore non ne ha espressamente escluso la rilevabilità d’ufficio e tale condizione non corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo, ma rileva quale fatto da solo sufficiente ad impedire la confusione del patrimonio dell’ente soppresso con quello dell’Amministrazione cui sia stato conferito il compito di procedere alla definizione dei rapporti pregressi, compito alla stessa già conferito ai sensi del D.L. n. 63 del 2002, art. 9.

Ne consegue che, ove tale fatto sia già documentato in atti, ovvero, come sostenuto dal ricorrente, discenda direttamente dalla legge, il beneficio è liberamente invocabile dalla parte anche in assenza di specifica allegazione – pure nel giudizio d’appello ed è rilevabile d’ufficio dal Giudice.

Si palesa quindi erroneo il rilievo di inammissibilità formulato al riguardo dal giudice di appello, il che impone la cassazione della sentenza gravata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, affinché verifichi la fondatezza della deduzione sviluppata dal Ministero.

Tuttavia, la pretesa di limitare la responsabilità del Ministero per le obbligazioni oggetto di causa in misura corrispondente all’attivo della liquidazione è priva di fondamento nel merito, ed impone quindi di dover pervenire al rigetto del motivo, previa correzione della motivazione (cfr. sul punto Cass. S.U. n. 2731/2017, secondo cui la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto; conf. Cass. n. 23984/2014; Cass. n. 28663/2013; Cass. n. 6145/2019).

Infatti, dal quadro legislativo esposto, è evidente che il Ministero dell’Economia e delle finanze è rimasto nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi dell’ente disciolto, ne ha affidato la gestione della liquidazione ad una società controllata dallo Stato e risponde delle passività nei limiti dell’attivo della liquidazione, ove si tratti di debiti già contratti dal medesimo Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta.

Quanto responsabilità nei limiti dell’attivo, fondata sull’art. 41, comma 16 octies, cit. e sull’art. 9, comma 1-ter, cit., essa vale ai fini della successione dello Stato nelle posizioni debitorie già facenti capo al soppresso Ente nazionale per la cellulosa e per la carta, successione che la legge vuole limitata ai soli beni che residuino alla procedura di liquidazione, con la conseguenza che il Ministero dell’Economia e delle finanze assume soltanto nei limiti dell’attivo la responsabilità patrimoniale per le obbligazioni contratte dall’ente estinto, già risultanti all’atto della liquidazione.

Il mutamento del soggetto passivo delle obbligazioni pregresse contratte dall’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta, disposto per legge, e la previsione che lo Stato ne risponda nei limiti dell’attivo della liquidazione, rimangono così comunque giustificati dal ragionevole rischio di insufficienza del patrimonio dell’ente disciolto a soddisfare i creditori, attraverso la realizzazione del principio di concorsualità. La descritta disciplina normativa non può, invece, interpretarsi nel senso che essa estenda ai debiti già contratti direttamente da organi statali una limitazione di responsabilità che renda incerta per i creditori la piena realizzazione dei loro diritti, avendo questi stipulato col Ministero nel convincimento di essere esclusi dalla procedura liquidatoria facente capo all’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta.

Non vi è perciò motivo per il Ministero di invocare tale limite di responsabilità con riferimento a rapporti giuridici obbligatori che non facevano capo all’ente soppresso, quali quelli derivanti dalle convenzioni di patrocinio stipulate nel 2000 e nel 2002 tra l’avvocato T. e l’Ispettorato generale per gli affari e per la gestione del patrimonio degli enti disciolti (ufficio quest’ultimo compreso dapprima nel Ministero del Tesoro e poi nel Ministero dell’economia e delle finanze, quale struttura della Ragioneria generale dello Stato, poi trasformato a seguito del D.L. n. 63 del 2002, e delle leggi, L. n. 311 del 2004, L. n. 266 del 2005 e L. n. 296 del 2006, col subentro della società FINTECNA, ed infine soppresso con la legge finanziaria per il 2007).

Ai fini di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre aver riguardo al rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico.

Sussiste quindi, la legittimazione sostanziale e processuale del Ministero dell’economia e delle finanze per le posizioni debitorie, ed i correlati oneri economici, relativi a compensi per prestazioni professionali, facenti capo non all’ente soppresso ma direttamente alla gestione liquidatoria e contratti nell’ambito di attività espletata in qualità di organo dell’amministrazione statale, mediante struttura costituita dallo stesso Ministero, ma senza che sia dato invocare il limite di responsabilità corrispondente all’attivo della liquidazione.

4. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. (rectius art. 2697), nonché degli artt. 115,167,342 e 343 c.p.c., nella parte in cui è stato rigettato il motivo di appello incidentale sul presupposto che non potessero essere accolte le censure quanto alla liquidazione degli onorari e delle spese in favore dell’avv. T., stante l’assenza di una specifica contestazione in primo grado delle singole prestazioni per le quali era stato richiesto il compenso, così come individuate nelle parcelle prodotte.

Si deduce, in senso contrario, che in materia di onorari professionali una contestazione anche di carattere generico impone al professionista di dover provare la fondatezza della propria pretesa.

Avendo il Ministero invocato la necessità di fare applicazione dei termini contrattuali previsti nella convenzione, già tale deduzione avrebbe imposto all’attore di documentare l’effettivo svolgimento di tutta l’attività per la quale chiedeva i compensi, senza potersi pretendere che vi fosse anche una specifica contestazione delle singole voci della parcella.

Il motivo è infondato.

Deve escludersi che nella specie la sentenza gravata non abbia dato puntuale attuazione al principio di diritto espresso da questa Corte nella sua più autorevole composizione a mente del quale (Cass. S.U. n. 14699/2010) la parcella dell’avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicità, in quanto l’iscrizione all’albo del professionista è una garanzia della sua personalità; pertanto, le “poste” o “voci” in essa elencate, in mancanza di specifiche contestazioni del cliente, non possono essere disconosciute dal giudice.

Va in primo luogo ricordato che, come di recente ribadito sempre da questa Corte (Cass. n. 712/2018), il giudice non è vincolato al parere di congruità del Consiglio dell’Ordine, dal quale può discostarsi indicando, sia pure sommariamente, le voci per le quali ritiene il compenso non dovuto oppure dovuto in misura ridotta e ciò in quanto nel giudizio volto a procedere alla determinazione del compenso spettante al professionista (anche se scaturente da un’opposizione a decreto ingiuntivo) non è più sufficiente la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale (art. 636 c.p.c.) e spetta al professionista, nella sua qualità di attore, fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice la verifica delle singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella (in termini Cass. n. 18777/2005).

Va altresì richiamato il principio secondo cui nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attività (come, nella specie, di inesistenza del mandato), è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il “quantum debeatur”, senza incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 230/2016), essendo altresì specificato che la parcella corredata dal parere del competente Consiglio dell’ordine di appartenenza del professionista, mentre ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice ai fini della pronuncia dell’ingiunzione, non ha – costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista – valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione, nel quale il creditore opposto assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettività ed alla consistenza delle prestazioni eseguite o all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste (Cass. n. 10150/2003). Al fine, inoltre, di determinare il suddetto onere probatorio a carico del professionista e di investire il giudice del potere – dovere di verificare la fondatezza della contestazione mossa dall’opponente, non è necessario che quest’ultima abbia carattere specifico, essendo sufficiente anche una contestazione di carattere generico (così Cass. n. 14556/2004), ma sia pure con la necessità di dover specificamente contestare, in presenza di una parcella, quali voci della stessa si assumano però non svolte.

Alla luce della stessa deduzione del ricorrente, la originaria contestazione non investiva le singole voci, che come detto sono assistite da una presunzione di veridicità, quanto invece l’individuazione del corretto parametro di calcolo dei compensi, assumendosi da parte dell’amministrazione la necessità di dover calcolare i compensi in base ai minimi anche per quegli incarichi per i quali era intervenuta la revoca prima della definizione del giudizio.

A tale deduzione i giudici di merito hanno peraltro offerto adeguata risposta, distinguendo gli incarichi per i quali era effettivamente vincolante la convenzione intercorsa con il Ministero da quelli che invece erano sottratti al suo ambito di applicazione.

Anzi è proprio il tenore delle difese svolte in appello dal Ministero, come riportate in ricorso, a confortare il convincimento che la contestazione non investisse le singole prestazioni rese da parte del T., ma solo i criteri utilizzati per la determinazione del compenso, di modo che la contestazione solo in appello di profili diversi da quelli invece oggetto di quella originaria in primo grado, si palesa inammissibile, essendosi altresì sottolineato come anche in appello la doglianza fosse del tutto generica e non riferita alle singole prestazioni asseritamente rese dalla controparte.

5. Attesa la reciproca soccombenza ricorrono le condizioni per compensare le spese del presente giudizio.

6. Va altresì disposta, conformemente alla richiesta dell’Avvocatura dello Stato, in quanto in contrasto con la previsione dell’art. 89 c.p.c., la cancellazione delle seguenti parole di cui alla pag. 2 delle memorie dell’avv. T.: “…. evidenziandosi la dolosa falsità delle contradditorie e non vere argomentazioni svolte di concerto dalla Ligestra/Fintecna e dal MEF/Avv. Marrone”.

7. Poiché il ricorso principale è rigettato quello incidentale è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, essendo esclusa l’applicazione della norma per le impugnazioni proposte da amministrazioni dello Stato (Cass. S.U. n. 4315/2020; Cass. n. 1778/2016).

PQM

Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

Compensa le spese del giudizio di legittimità;

Ordina la cancellazione delle seguenti parole di cui alla pag. 2 delle memorie dell’avv. T.: “…. evidenziandosi la dolosa falsità delle contradditorie e non vere argomentazioni svolte di concerto dalla Ligestra/Fintecna e dal MEF/ Avv. Marrone”;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato dovuto per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

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