Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3895 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 3895 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: CECCHERINI ALDO

SENTENZA

sul ricorso 17111-2007 proposto da:
COMUNE DI

PESCOPAGANO

(C.F.

00222420762),

in

persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA F. D’OVIDIO 131, presso

Data pubblicazione: 19/02/2014

l’avvocato ALLAMPRESE ROSSELLA, rappresentato e
difeso dall’avvocato SINISI ALDO, giusta procura a
2014

margine del ricorso;
– ricorrente –

26

contro

CILIENTI PIETRO (C.F. CLNPTR32C16G496V), CILIENTI

1

ANNA

MARIA,

qualità

LANZA

di

eredi

GERARDO
di

e

LANZA

CILIENTI

DONATA,

nella

LINA;

DOMENICI

DOMENICI

ALTONIO,

GAETANO,

DOMENICI

ERSILIA,

DOMENICI

CATERINA,

DOMENICI

ADRIANA

e

DOMENICI

GIUSEPPINA, nella qualità di eredi di CILENTI GINA,

MARGHERITA 157, presso l’Avvocato MURANO GIULIO,
rappresentati e difesi dall’avvocato CILIENTO
LORENZO, giusta procura a margine del
controricorso;

avverso la sentenza n.

controricorrenti

77/2006 della CORTE

D’APPELLO di POTENZA, depositata il 26/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella

pubblica udienza del 09/01/2014 dal Consigliere
.
Dott. ALDO CECCHERINI;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato CILIENTO
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE REGINA

Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l Con sentenza 13 giugno 2003, il Tribunale di Menfi

dichiarò la prescrizione quinquennale del diritto fatto
valere con citazione 26 giugno 1993 dai signori Cilenti,

del fondo di proprietà del loro dante causa, da parte del
Comune di Pescopagano, in forza di provvedimento peraltro
limitato alla minor superficie di mq 600, e per la successiva irreversibile trasformazione del fondo.
2.

La Corte d’appello di Potenza, con sentenza 26

aprile 2006, in riforma della sentenza del tribunale, accolse il gravame degli originari attori, i quali sostenevano la natura usurpativa dell’occupazione, almeno quanto
all’area di mq 2.261 del fondo, per la quale mancava
qualsiasi titolo. La corte qualificò l’occupazione come
usurpativa, perché l’approvazione del progetto esecutivo
delle opere di urbanizzazione della lottizzazione “Le
Grotte”, contenente la dichiarazione di pubblica utilità,
era priva dell’indicazione dei termini d’inizio e fine
dei lavori, prescritta dall’art. 13 della legge n. 2359
del 1865. Da tale premessa discendeva il carattere usurpativo dell’occupazione non solo con riguardo all’area
eccedente i mq 600 preventivati, bensì anche di questi.
Trattandosi d’illecito permanente, che cessa solo con la
scelta del proprietario del fondo di abbandonare
3

di risarcimento dei danni per l’illegittima occupazione

l’immobile irreversibilmente trasformato, solo da tale
momento cominciava a decorrere il termine di prescrizione, che conseguentemente non era mai maturato. La corte
liquidò il danno risarcibile con riferimento al solo valore venale del fondo occupato, oltre agli accessori.

Comune di Pescopagano per quattro motivi, illustrati anche con memoria.
Pietro Cilenti, Anna Maria Cilenti, Gerardo e Donata
Lanza quali eredi di Lina Cilenti, e Gaetano, Ersilia,
Antonio Cateriana, Adriana e Giuseppina Domenici quali
eredi di Gina Cilenti resistono con controricorso notificato.
MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo – per violazione degli artt.
2909 c.c. e 346 c.p.c. – si deduce che i proprietari non
avevano impugnato la statuizione relativa all’occupazione
dei primi 600 mq. perciò passata sotto ogni profilo in
giudicato; per la restante area né in primo, né in secondo grado avevano mai prospettato una fattispecie
d’illecito permanente, avendo impostato tutte le loro difese sull’avvenuta occupazione temporanea e la mancata
adozione del decreto di esproprio.
5. Con il secondo motivo – ancora per violazione
delle stesse norme sotto profili differenti – si deduce
4

Il cons
dr. Aldo

. est.
herini

3. Per la cassazione di questa sentenza ricorre il

che la declaratoria di ufficio di una nullità non si coordina neppure con i relativi principi civilistici; e che
essa perviene all’abnorme risultato di considerare nulla
l’intera procedura ablativa sulla quale invece le parti
avevano impostato le relative difese.
I due motivi devono essere esaminati congiunta-

mente, per la loro stretta connessione. Essi sono infondati. La corte d’appello, investita con il gravame proposto dai proprietari della questione della qualificazione
dell’occupazione dell’area in assenza di provvedimento
espropriativo, e pacificamente illegittima, doveva pronunciarsi sulla decorrenza della prescrizione, che era
oggetto di eccezione del Comune di Pescopagano, accolta
in primo grado. Secondo la giurisprudenza di questa corte, mentre l’allegazione dell’intervenuta prescrizione è
oggetto di eccezione in senso tecnico, l’accertamento
della concreta sussistenza degli elementi di fatto che
determinano l’estinzione del diritto è condotta
d’ufficio, sulla base di mere difese della parte, che
sfuggono al regime dell’art. 345 c.p.c. (Sez. un. 27 luglio 2005 n. 15661). Avendo dunque la corte territoriale
correttamente accertato, sulla base degli elementi legittimamente acquisiti al contraddittorio, che il termine di
decorrenza della prescrizione non era mai iniziato, la
relativa pronuncia estendeva i suoi effetti, a norma

5

6.

dell’art. 336, comma primo c.p.c., anche sulle parti della sentenza riformata, vale a dire sulla statuizione di
estinzione per prescrizione del diritto al risarcimento
del danno per l’occupazione dei 600 mq. originariamente
compresi nella procedura espropriativa mai perfezionata.

di fondamento anche nella prospettiva, propria del comune
e respinta dalla corte d’appello, che nella fattispecie
si trattasse di occupazione appropriativa. In tal caso,
infatti, varrebbe il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. 15089/12;
19953/11; 12863/10; 21203/09), che nell’occupazione espropriativa la prescrizione non può decorrere da data
anteriore all’emanazione della legge 27 ottobre 1988 n.
458; con la conseguenza che non poteva comunque essere
maturata il 26 giugno 1993.
7. Con il terzo motivo – per violazione di norme di
diritto – si deduce che anche per l’illecito permanente
la prescrizione sarebbe maturata per il periodo antecedente al quinquennio concluso dalla citazione (26 giugno
1993).
8. La censura è inammissibile, supponendo l’accoglimento di una domanda di risarcimento danni per l’occupazione anteriore al quinquennio precedente la notifica
dell’atto di citazione. Questa pronuncia, infatti, non
6

/
Il cns rei. est.
dr. d Ceccherini

Va peraltro osservato che l’eccezione sarebbe priva

esiste. La corte d’appello ha liquidato il danno da occupazione appropriativa in ragione del valore venale del
bene illecitamente occupato e trasformato dal comune, ma
non ha liquidato alcuna somma per l’occupazione (legittima o illegittima) del medesimo terreno, in particolare

all’atto di citazione.
9. Con il quarto motivo si deduce che la nullità del-

la dichiarazione di pubblica utilità, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, non poteva farsi valere
davanti all’AGO, come sarebbe confermato dall’art.21 septies legge 241/90.
9.1.

La tesi giuridica sostenuta dal ricorrente non

ha fondamento. Va premesso che la corte territoriale non
ha dichiarato la nullità della dichiarazione di pubblica
utilità, ma si è limitato a disapplicarla. Proprio in materia di occupazione senza titolo, questa corte ha avuto
ripetutamente occasione di ricordare che, in conseguenza
degli artt. 4 e 5 della Legge n. 2248 all. E abolitiva
del contenzioso amministrativo, il giudice ordinario, in
ogni caso in cui il diritto fatto valere in giudizio trovi la sua fonte, diretta o indiretta, in un provvedimento
amministrativo, ha l’obbligo di verificarne,
tantum,

incidenter

la sussistenza degli elementi essenziali il cui

concorso è necessario per l’esistenza giuridica dell’atto

7

per il periodo anteriore al quinquennio anteriore

stesso, indagando circa l’esistenza del potere, di cui
l’atto è emanazione, nonché delle condizioni e dei presupposti necessari all’esercizio stesso del potere; e di
pronunciare la disapplicazione dell’atto stesso, ove ne
accerti l’illegittimità. Costituisce regola altrettanto

ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. Sez.
un. n. 270/1993).
Questo insegnamento tradizionale è rimasto valido anche dopo le riforme legislative che hanno ampliato la
sfera di giurisdizione del giudice amministrativo. Si è
chiarito, infatti (Cass. Sez. un. 19 aprile 2007 n. 9322
e succ. conf.), che nel sistema normativo conseguente alla legge 21 luglio 2000, n. 205, la tutela giurisdizionale risarcitoria contro l’agire illegittimo della P.A.
spetta al giudice ordinario quando costituisca reazione
alla lesione di diritti incomprimibili, come la salute o
l’integrità personale, o quando il danno sia provocato da
illegittimo o mancato esercizio di poteri ordinati a tutela del privato, o in caso di occupazione usurpativa,
qual è quello che qui specificamente interessa.
A questi principi si è puntualmente attenuta la Corte
di appello, la quale ha rilevato che il decreto di occupazione in questione rientra nella categoria di quelli
privi di uno dei suoi elementi ex lege essenziali a co-

8

Il coi1s.e1. est.
dr. Al
eccherini

pacifica che tale accertamento debba essere compiuto di

stituirlo (nella specie: l’indicazione de/l< termine di durata delle opere di pubblica utilità, che stabilendo il limite del sacrificio imposto al privato di un diritto costituzionalmente protetto è essenziale alla definizione del potere della pubblica amministrazione, e quindi alla la dottrina e la giurisprudenza (per la quale si può citare la recente Cass. Sez. un. 14 febbraio 2011 n. 3569) radicalmente nulli, inidonei a produrre ex se effetti di alcun genere. Proprio su queste premesse di principio che fondano il potere-dovere del giudice ordinario, nel valutare i comportamenti della pubblica amministrativa produttivi di danni, di non tener conto degli atti amministrativi radicalmente nulli - essi sono disapplicabili dallo stesso giudice amministrativo senza alcun limite, come di recente confermato dall'art. 21 septies della legge 241 del 1990, che definisce il provvedimento amministrativo che manchi degli elementi essenziali "nullo", e dunque non semplicemente annullabile (Cass. 26 giugno 2008 n. 17491, in motivazione). La corte territoriale s'è limitata dunque a disapplicare la dichiarazione di pubblica utilità nella determinazione della data di cessazione dell'occupazione illegittima, richiesta per l'individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione. 9 sua stessa sussistenza): da qualificarsi perciò secondo 10. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio sono a carico del ricorrente, e sono liquidate come in dispositivo. P. q. m. mento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in C 5.200,00, di cui C 5.000,00 per compenso, oltre agli oneri accessori come per legge. Così 'deciso a Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il giorno 9 gennaio 2014. Il Presidente. Il cons. est. , Aldo Ceccherini 77:P o siT Ogg .......... 1---9. 1 AVZICE.„1..ri,gi A ...... CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Si attesta la registrazione presso Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al paga-

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