Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3894 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. III, 17/02/2020, (ud. 17/09/2019, dep. 17/02/2020), n.3894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12702/2018 proposto da:

CONGREGAZIONE DEI LEGIONARI DI CRISTO, in persona del legale

rappresentante p.t. PADRE R.S.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FRANCO MICHELINI TOCCI 50, presso lo studio

dell’avvocato MARCO VISCONTI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CATTOLICA DI ASSICURAZIONE SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del

legale rappresentante pro tempore Dott. ME.MA., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA 38, presso lo studio dell’avvocato

PAOLO TODARO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ENRICO SISTI, ENRICO ADRIANO RAFFAELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2414/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/09/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

Nel 2000, la Società Cattolica di Assicurazione convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Verona, la Congregazione dei Legionari di Cristo per sentirla condannare, ai sensi dell’art. 2033 c.c., alla restituzione della somma versata dalla compagnia assicuratrice quali indennizzo relativo ad un sinistro che la convenuta aveva subito in data (OMISSIS), a causa di un incendio divampato nei propri locali.

A fondamento della pretesa, la Cattolica dedusse che: tra le parti era stato stipulato un contratto assicurativo per il tramite dell’Agenzia Roma S. Giovanni-Lateranense di A.G. & Co., avente ad oggetto la copertura contro gli incendi della sede dell’istituto religioso; in tale contratto era previsto il pagamento del premio annuale con scadenza in data 11.9.1997 e con previsione del periodo di tolleranza contrattuale di giorni 30 a scadere l’11.10.1997; il premio fu pagato oltre la scadenza del periodo di tolleranza (nonchè successivamente al sinistro), con assegno senza data consegnato al M., dipendente dell’agenzia il 25.11.1997 e incassato dalla compagnia in data 1.12.1997; tuttavia il M. rilasciò quietanza di avvenuto pagamento recante data 10.10.1997, anteriore all’incendio ed alla scadenza del termine per il pagamento del premio; la Congregazione non comunicò la denuncia scritta del sinistro all’agenzia o alla società assicuratrice nel termine previsto dall’art. 1913 c.c., nè in quello più lungo di cui all’art. 7 del contratto assicurativo; verificata l’assenza della denuncia ed emersa la circostanza del pagamento tardivo, la compagnia di assicurazione contestò la richiesta risarcitoria; ad un successivo incontro tra le parti, il 16.3.1999, i rappresentanti della Congregazione esibirono la quietanza rilasciata dal M.; sulla scorta di tale documento, la Cattolica consegnò alcuni assegni circolari dietro impegno della convenuta, per il tramite dei propri rappresentanti, a non versarli e restituirli, in attesa della verifica della data di rilascio del blocchetto degli assegni da cui erano stati estratti quelli utilizzati dalla Congregazione per pagare il premio; pur essendo emerso che detto blocchetto era stato consegnato a metà novembre 1997 (dopo la scadenza del termine per il pagamento del premio) le somme portate da detti assegni erano state incassate dalla Congregazione.

Si costituì la convenuta, contestando l’interpretazione dei fatti offerta dell’attrice. Allegò in particolare che: nell’ambito dei rapporti decennali con l’Agenzia Lateranense, era prassi procedere a pagamenti dei vari premi assicurativi oltre il termine di scadenza; ciò veniva tollerato con impegno dell’agenzia a garantire comunque la copertura assicurativa; il sinistro era stato denunciato telefonicamente al M. ed erano stati inviati rilievi fotografici mediante raccomandata alla società assicuratrice; che sollecitata la definizione del sinistro, vi erano stati degli incontri tra le parti, nel corso dei quali la convenuta aveva esibito la quietanza di pagamento del premio del 10.10.1997, pur negando che nella stessa data fosse avvenuto anche il pagamento ed era stato liquidato l’indennizzo mediante consegna di assegni circolari; a seguito dell’incontro del 16.3.1999, in data 14.4.1999 la Cattolica aveva inviato un fax nel quale si riportava, tra l’altro, l’impegno a non portare all’incasso gli assegni consegnati; che a seguito delle rimostranze della Congregazione, era stato inviato un altro fax dal quale era stato espunto il predetto impegno. Sostenne quindi che la domanda era infondata in quanto l’attrice avrebbe avvalorato l’impegno del M. a coprire il sinistro anche in difetto di pagamento del premio, secondo accordi con l’Agenzia che sussistevano da tempo, e che, con la liquidazione dell’indennizzo, la compagnia avrebbe rinunciato ad opporre eccezioni, riconosciuto il proprio debito e ratificato l’operato del falsus procurator.

Con sentenza n. 679/2011, il Tribunale di Verona accolse la domanda di ripetizione d’indebito.

Secondo il Tribunale, pacifico il pagamento tardivo del premio assicurativo, il sinistro non era risarcibile per effetto della sospensione della copertura assicurativa ai sensi dell’art. 1901 c.c. e pertanto l’attrice, avendo pagato in buona fede nell’apparenza di una diversa dinamica dei fatti (stante la quietanza di versamento del premio con data anteriore a quella dell’effettivo pagamento), aveva diritto alla ripetizione del pagamento.

La diversa interpretazione dei fatti offerta dalla Congregazione difettava di prova, nè potevano essere ritenuti attendibili i testi di parte convenuta che rappresentano la parte o vi collaborano i maniera stretta e continua, tanto da aver partecipato a tutta la vicenda in giudizio. In ogni caso, anche qualora il M. avesse assicurato alla Congregazione l’ultravigenza contrattuale, egli difettava del potere di rappresentanza. Nè si poteva ritenere che la Cattolica avesse avallato un simile comportamento mediante la consegna degli assegni circolari, poichè nell’incontro si era riservata di verificare la data di rilascio del blocchetto degli assegni.

Il Tribunale inoltre rilevava che non era stato provato l’invio della denuncia del sinistro e che dall’istruttoria era invece emerso che i rappresentanti della Congregazione si erano impegnati a restituire gli assegni se all’esito delle verifiche fosse emerso il pagamento tardivo.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con la sentenza n. 2414/2017, depositata il 27 ottobre 2017.

La Corte territoriale ha ribadito che la vicenda oggetto del giudizio costituisce ipotesi di pagamento indebito per difetto originario del titolo.

Ha inoltre osservato che non vi è prova di una prassi derogatoria rispetto al contratto assicurativo in uso presso l’Agenzia Lateranense (anzi l’esistenza una simile prassi è stata esclusa dal teste A.G.), nè della denuncia del sinistro effettuata nei confronti dell’Agenzia (essendo inattendibile perchè contraddittoria la dichiarazione resa sul punto dal teste della convenuta, Padre Z.).

La Corte ha peraltro ritenuto che correttamente il giudice di primo grado avesse valutato maggiormente attendibili le deposizioni testimoniali di parte attrice, osservando che quest’ultima aveva articolato prova diretta con soggetti che pur avendo avuto in passato un legame con la compagnia assicuratrice, all’atto dell’escussione erano ad essa indifferenti, mentre la convenuta aveva chiamato a testimoniare soggetti direttamente coinvolti dei fatti dedotti in causa sia per il ruolo rivestito all’interno della congregazione, sia per avervi direttamente partecipato.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione, sulla base di cinque motivi, la Congregazione dei Legionari di Cristo.

3.1. Resiste con controricorso la Società Cattolica di Assicurazione Soc. Coop.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la nullità della sentenza per mancato esame dei motivi di gravame.

La Corte di Venezia avrebbe omesso di prendere in esame le argomentazioni contenute nell’atto di appello, in quanto non avrebbe tenuto conto delle censure mosse alla sentenza di primo grado, la quale:

– avrebbe ignorato l’insussistenza dei presupposti richiesti per l’esperibilità di un’azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. (in particolare, il difetto di causa del pagamento, posto che secondo quanto sosteneva la stessa compagnia assicuratrice, ed era stato confermato dalla sentenza impugnata, il pagamento era avvenuto a titolo di deposito precario);

– non avrebbe tenuto conto del fatto che la compagnia era sempre stata a conoscenza del fatto che il premio era stato pagato dopo la scadenza del periodo di tolleranza e che ciò era incompatibile con l’azione di ripetizione;

– avrebbe erroneamente riconosciuto attendibilità ai testi di parte attrice, negandola a quelli di parte convenuta.

Il motivo è infondato.

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha espressamente ribadito l’applicabilità dell’art. 2033 c.c., ed ha inoltre osservato che, a fronte della diversa ricostruzione dei fatti operata dalle parti, correttamente il giudice di primo grado avesse valutato maggiormente attendibili le deposizioni testimoniali della compagnia assicuratrice.

Dalla motivazione complessiva, che ha confermato in toto la sentenza impugnata, se ne deduce il rigetto implicito delle doglianze della Congregazione.

4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost.; nullità della sentenza per illegittimo esercizio della discrezionalità nella valutazione delle prove e per violazione dell’obbligo di motivazione.

Il giudice dell’appello, nel valutare la contrastante ricostruzione dei fatti relativa agli accadimenti dell’incontro del 16 marzo 1999, al termine del quale la compagnia ha provveduto alla liquidazione del sinistro con la consegna degli assegni circolari – avvenuta, secondo i testi di parte attrice, solo perchè la congregazione avrebbe dolosamente convinto i rappresentanti della Cattolica della puntualità del pagamento del premio assicurativo; secondo i testi di parte convenuta, invece, nella piena consapevolezza del fatto che il suddetto premio era stato pagato dopo la scadenza del periodo di tolleranza e dopo il sinistro – ha recepito acriticamente le considerazioni già svolte dal primo giudice.

I giudici d’appello, infatti, non avrebbero spiegato le ragioni per cui non avevano considerato attendibili i testi di parte convenuta. Il rilievo che i soggetti erano stati direttamente coinvolti nei fatti dedotti in causa per il ruolo rivestito all’interno della Congregazione e per aver direttamente partecipato agli stessi fatti, sarebbe del tutto insufficiente. In ogni caso i testi indicati non avevano alcun interesse nella causa non traendo personalmente alcun beneficio diretto o indiretto dell’esito favorevole del giudizio e non potendosi imputare loro alcuna responsabilità, neanche in via di regresso.

Al contrario, tutti i testi di parte attrice avrebbero avuto interesse all’esito del giudizio.

Sarebbero poi incomprensibili le ragioni che hanno portato la Corte d’appello ad escludere la congruità delle dichiarazioni rese dai testi di parte convenuta.

Il motivo è inammissibile.

La valutazione delle risultanze probatorie ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 12747 del 01/09/2003; id. Sez. L, Sentenza n. 16499 del 15/07/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014), e non vi è dubbio che tale attività selettiva si estenda alla valutazione di tutti gli aspetti strutturali della fonte-mezzo di prova (e dunque anche sulla effettiva idoneità del teste di riferire la verità) in quanto determinanti a formare il convincimento del Giudice sulla efficacia dimostrativa della stessa (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014; vedi Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 17630 del 28/07/2010).

4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 1766 e segg..

La sentenza impugnata, nell’aver fatto integralmente proprie le conclusioni del giudice di prime cure, si presterebbe alle stesse censure sollevate avverso la precedente decisione, laddove ha ritenuto applicabile alla fattispecie la disciplina dettata dall’art. 2033 c.c., in tema di ripetizione di indebito oggettivo.

La Cattolica avrebbe insistito in una tesi infondata e contraddittoria, sostenendo, da un lato, che il pagamento della somma di 260 milioni di Lire avrebbe dovuto considerarsi indebito, in quanto eseguito solo nell’erronea convinzione del regolare pagamento del premio e, quindi della sussistenza di un valido ed efficace contratto di assicurazione; dall’altro lato, che i relativi titoli di pagamento sarebbero stati consegnati a titolo di deposito fiduciario, in attesa di operare i necessari approfondimenti sull’effettiva data di versamento del premio.

Perchè possa applicarsi la disciplina del pagamento dell’indebito è necessaria la mancanza, originaria o sopravvenuta, di una qualsiasi causa giustificatrice del pagamento. Conseguentemente, ove detto pagamento sia avvenuto in forza di un determinato titolo, nel caso il deposito fiduciario, dovrebbe escludersi la configurabilità di un’ipotesi di indebito oggettivo.

Sarebbe stato quindi onere della controparte provare l’esistenza di un contratto di deposito e l’inadempimento della congregazione ai relativi obblighi.

Il motivo è infondato.

Come è emerso dall’accertamento dei fatti compiuto dai giudici del merito, la compagnia assicuratrice ha effettuato la consegna dei titoli con l’espressa riserva di verificare la data di rilascio del blocchetto degli assegni dal quale proveniva quello utilizzato dalla Congregazione per pagare il premio e quindi appurare l’effettiva tempestività del pagamento del premio (nonchè l’effettiva sussistenza del proprio debito).

Trova quindi applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte Suprema, secondo cui la proponibilità dell’azione di ripetizione d’indebito oggettivo non è esclusa dall’avere il solvens effettuato il pagamento non già nell’erronea consapevolezza dell’esistenza dell’obbligazione, ma, al contrario, nella convinzione di non essere debitore, e quindi senza l’animus solvendi, nemmeno quando tale convinzione sia stata enunciata in una espressa riserva formulata in sede di pagamento (Cass. civ. Sez. III, 15-11-1994, n. 9624; Cass. civ. 11-31987, n. 2525; Cass. civ. 12-3-1984, n. 1690).

4.4. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1901,1965 e segg. e art. 2697 c.c., nonchè art. 116 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La Corte territoriale avrebbe totalmente omesso di prendere in considerazione i due fax, di contenuto quasi identico, del 14.4.1999, inviati dalla Cattolica alla Congregazione a breve distanza temporale l’uno dall’altro, da cui avrebbe dovuto ricavarsi una dimostrazione della rinuncia della Cattolica ad avvalersi della sospensione del rapporto assicurativo ai sensi dell’art. 1901 c.c..

Infatti, dopo l’invio del primo fax contenente un riferimento al fatto che gli assegni erano stati consegnati a titolo di deposito fiduciario, la compagnia assicurativa ne aveva inoltrato subito un secondo nel quale il suddetto riferimento era stato espunto.

Le suddette missive erano state inoltrate a distanza di un mese dall’incontro del 16 marzo 1999, quando quindi la compagnia aveva sicuramente già acquisito la conoscenza del fatto che al momento del sinistro il premio assicurativo non era ancora stato pagato.

La Cattolica avrebbe quindi accettato il pagamento tardivo del premio e, consapevole di tale tardività, avrebbe provveduto al pagamento dell’indennizzo contrattualmente previsto senza formulare alcuna riserva.

Tale comportamento concludente renderebbe del tutto superflue ulteriori indagini in ordine all’avvenuta denuncia del sinistro da parte della Congregazione.

In via subordinata, i suddetti fax dimostrerebbero che la compagnia aveva provveduto alla consegna degli assegni a titolo di deposito fiduciario, con conseguente difetto dei presupposti richiesti per il promovimento dell’azione ex art. 2033 c.c..

Il motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell’affermare che il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134) applicabile catione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo. L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le più recenti, Cass. civ. Sez. Unite, 31-12-2018, n. 33679).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha preso in considerazione il fatto storico che, secondo la tesi della ricorrente, i suddetti fax proverebbero (ovvero la circostanza, asserita dalla Congregazione, che la compagnia assicurativa avesse consegnato gli assegni circolari per il pagamento dell’indennizzo essendo già a conoscenza della tardività del pagamento del premio e quindi rinunciando a proporre eccezioni in tal senso), ma lo ha escluso, sulla base di una complessiva valutazione delle risultanze istruttorie insindacabile in questa sede.

4.5. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c..

I giudici di appello avrebbero liquidato le spese per il secondo grado di giudizio facendo riferimento anche ad un’attività istruttoria che però non vi sarebbe mai stata.

Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 6.

Premesso che contrariamente a quanto assume il ricorrente, il disposto del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, lett. c), include nella fase istruttoria una pluralità di attività ulteriori rispetto all’espletamento di prove orali (ad esempio, le richieste di prova, le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande).

Nel caso di specie la ricorrente non riporta i motivi di gravame con cui ha contestato la valutazione delle risultanze probatorie (cfr. ricorso pag. 75). Ai sensi della predetta norma, è onere del ricorrente indicare in modo specifico gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda in modo da permettere alla Corte di valutare profili di illegittimità della sentenza di merito.

5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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