Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3892 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 3892 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: MACIOCE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23064 del R.G. anno 2008

proposto da:
Impresa GALASSO COSTRUZIONI s.p.a. dom.ta in Roma via
Giuseppe De Leva 39 presso l ‘Avv. Luigina Tucci con l ‘avv. Fabio
Milano che la rappresenta e difende per procura in calce al ricorso
c
00A8Seo9-az ricorrente-

contro
Comunità Montana “Matese” di Boiano, in persona del
Commissario Straordinario, dom.ta in Roma via Albalonga 7
presso l ‘avv. Clementino Palmiero con l ‘ avv. Vincenzo Colano che
la rappresenta e difende per procura a margine contro ricorrente_ c- f t a_022,101,49-0
avverso la sentenza n.58 del 5.03.2008 della Corte
di Appello di Campobasso ; udita la relazione della causa svolta
nella p.u. del 08.01.2014 dal Cons. Luigi MACIOCE; udito l ‘ avv.
Stefano Scarano (in sost., per la Comunità Montana); presente il
P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio
Capasso che ha concluso per l ‘accoglimento del ricorso

3114

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società Galasso Costruzioni, stipulante con la Comunità Montana Matese di Bojano un appalto di lavori per la realizzazione del parco archeo-

Data pubblicazione: 19/02/2014

logico di Altilia in Sepino, con citazione del 24.02.1999 convenne
l’appaltante innanzi al Tribunale di Campobasso chiedendone la condanna al pagamento della somma di lire 1.939.291.910 per le varie voci di
inadempimento contrattuale che andava analiticamente ad esporre. In
particolare l’Impresa dedusse che erano state disposte ben quattro sospensioni totali per gg. 2247, che era stata predisposta una perizia di
variante che drasticamente riduceva l’opera appaltata, che non erano
stati pagati i compensi emergenti da vari SAL, che la Regione aveva co-

dell’opera sì che la Comunità aveva provveduto alla risoluzione ex art.
345 legge 2248 del 1865, che da tutte le denunziate inadempienze erano dunque derivati i danni lamentati.
Costituitasi la convenuta Comunità , che conclamava la legittimità delle
proprie iniziative e la assenza o intempestività di riserve dell’Impresa, il
Tribunale con sentenza 14.04.2005 ebbe a condannare la Comunità al
pagamento della somma di C 487.050 con interessi dal 1997.
La Corte di Campobasso, adìta con appelli hínc et inde proposti, con sentenza 5.3.2008 ha, per quel che rileva, respinto la domanda della Impresa affermando: che la indiscutibile eccepita decadenza dalle riserve
per mancata loro riproduzione nello stato finale era comprovata ex actís
e non era stata data alcuna circostanza idonea a vincere la presunzione
di accettazione del conto, che infatti lo stralcio dello stato finale prodotto ritualmente evidenziava che le anteatte riserve non erano state ivi
riprodotte, che la presunzione di accettazione non era superata dalla
riformulazione delle riserve nell’atto di collaudo posto che la riformulazione era successiva all’avveramento della decadenza.
Per la cassazione di tale sentenza l’Impresa ha proposto ricorso in cinque
motivi in data 2.10.2009 ai quali ha opposto difese la Comunità nel
controricorso 10.11.2008, illustrarto nella memoria finale ed in difese
orali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che, nessuna delle proposte censure meritando
condivisione, il ricorso debba essere rigettato.
Primo motivo: esso, in dissenso dalla prima rado decidendí, affermata la applicabilità ratione temporis del RD 350 del 1895, ribadisce che la
mancata riproduzione delle riserve nello stato finale e la sua sottoscrizione non comporterebbero affatto la decadenza dell’appaltatore dal diritto di far valere le riserve già azionate ma solo una presunzione dì accettazione del conto, presunzione superabile.
La prima ratto

della decisione, che si limita alla scomposizione della

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municato la indisponibilità a procedere al finanziamento ulteriore

stessa affermazione della decadenza per mancata riproduzione delle riserve dalla ulteriore e pur formulata affermazione della pura presumibilità della rinunzia per effetto della mancata riproduzione, appare corretta,
appunto letta nell’insieme dell’argomentare, alla luce della più recente
giurisprudenza di questa Corte (Cass. 11852 del 2007 e 12207 del
2012). Si è invero più volte affermato che dal combinato disposto degli
artt. 16, 54 e 64 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e 26 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 sì ricava che l’appaltatore di opera pubblica, ove vo-

nistrazione e/o avanzare pretese comunque idonee ad incidere sul compenso complessivo spettantegli, è tenuto ad iscrivere tempestivamente
apposita riserva nel registro di contabilità o in altri appositi documenti
contabili ed a confermare la riserva all’atto della sottoscrizione del conto
finale. Ne consegue che l’impresa che, pur avendo tempestivamente
formulato la riserva, non la riproduca e non la espliciti nei termini e nei
documenti previsti dalle citate norme, decade dalle relative domande; e
nella medesima preclusione detta impresa incorre ove abbia iscritto
tempestiva riserva, senza reiterare le richieste che ad essa si riferiscono
in sede di liquidazione del conto finale, atteso che siffatta omissione è
incompatibile con l’intenzione di persistere nella pretesa avanzata in
precedenza, derivando dalla mancata conferma una presunzione relativa
di accettazione del conto finale, superabile soltanto con la prova della
positiva volontà dell’appaltatore di non accettarlo.
E’ stato anche precisato che la nuova disciplina – non applicabile ratione
temporís alla vicenda sottoposta – di cui all’art. 174 del regolamento di
attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici (legge 109 del
1994) , approvato con il d.P.R. 554 del 1999 converge con la precedente nello stabilire che la sottoscrizione del conto finale dei lavori senza la
conferma delle domande già formulate nel registro di contabilità comporta l’effetto giuridico della definitiva accettazione del conto.
La sentenza impugnata non afferma, nel primo passaggio che con il motivo in disamina si contesta, alcuna ipotesi di decadenza automatica
ma finisce per ammettere (ult.cpv. pag. 4) che l’omissione in discorso
ingenera una presunzione di abbandono delle pretese espresse nelle
precedenti riserve, presunzione superabile con seri ed indiscutibili elementi di segno opposto. Di qui la astrattezza della doglianza, ben esposta al punto B) pag. 15 del quesito in termini che non lasciano scorgere alcuna errata interpretazione nella sentenza che si contesta. E di
qui la sua reiezione.

glia contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’ammi-

Secondo motivo: esso, attingente la seconda ratio decidendi, censura di illogicità l’aver ritenuto che la proposizione delle riserve in sede di
collaudo, solo in quanto successiva alla sottoscrizione senza riserve del
conto finale, fosse dato inidoneo a vincere la presunzione di accettazione. Il motivo è infondato, posto che, a parte la indiscutibile assenza di
alcuna frattura del percorso logico della sentenza nell’aver ritenuto che
l’elemento cronologico ( l’iscrizione dopo la sottoscrizione del conto finale) rendesse quella iscrizione non idonea a vincere la presunzione di accettazione anteriormente avverata, vi è l’assorbente rilievo per il quale
in ogni caso non sarebbe stato il collaudo la sede per formulare riserve
globali da riprodurre ed afferenti l’intero rapporto.
Questa Corte ha infatti precisato (Cass. 17906 del 2004) che la pretesa
si pone, da un lato, “….in urto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, a termini della quale la sottoscrizione del certificato di collaudo
(ai sensi dell’art. 107 del suddetto r.d. n. 350 del 1895) ha ben altro significato e può costituire uno sbarramento efficace solo in ordine alla
possibilità di tutelare i propri diritti eventualmente lesi dalle modalità
delle stesse operazioni di collaudo (pertinenti) e non qualunque diritto
derivante dal contratto (estraneo all’atto: si vedano, fra le molte, Cassazione n. 5373 del 1997 e 9024 del 2000) e, da un altro, richiede una valutazione in fatto (valutativa della tempestività delle contestazioni rispetto al termine del conto finale) che è preclusa in questa sede, essendo
riservata al giudice del merito”.
Terzo motivo: esso contesta ancora la motivazione della impugnata
sentenza affermando che lo stato finale non sarebbe stato mai messo a
disposizione dell’Impresa o comunque non prima del collaudo.
La censura non è ammissibile posto che le circostanze prospettate sono
pure e semplici novità di fatto. La Corte ha affermato che io S.F. venne
sottoscritto senza riserve e richiama il doc. 8 invocato dall’appellante ma
in questa sede si afferma che lo S.F. fu tardivo e neanche venne sottoscritto. La prova di tale assunto viene nel motivo rinvenuta nella stessa
precisazione resa in collaudo ma nulla si dice sulla circostanza nella quale alla Corte di Appello tale indisponibilità dello stato finale venne rappresentata. E ciò rende inammissibile la censura.
Quarto motivo: esso contesta la motivazione di totale assenza di
fatti idonei a far superare la presunzione di accettazione adducendo il
fatto – indebitamente ignorato dalla Corte di merito – che l’Impresa aveva in data 3.9.1997 proposto domanda di arbitrato, per la risoluzione
delle riserve, e quindi due mesi prima della sottoscrizione 11.11.1997
senza riserve. La censura non è ammissibile posto che, quand’anche il

,s

fatto dedotto fosse stato, come asserito, documentato nel giudizio in
Tribunale, non per questo l’Impresa a fronte dell’appello della Comunità
(che si fondava proprio sulla decadenza per mancata conferma) sarebbe
stata esonerata dal richiamare quel documento e la eccezione di richiamo “implicito” alle riserve che esso conteneva. Ed in difetto di tal riproposizione della eccezione o quantomeno in difetto della attuale indicazione della sede processuale nella quale quel documento venne invocato
in sede di appello, la censura di disattenzione è priva di alcuna consi-

Quinto motivo: esso nuovamente contesta la omessa motivazione
sui fatti idonei a superare la presunzione di accettazione del conto e di
rinunzia alle riserve, per non avere l’impugnata sentenza considerato
come rilevante, ed idoneo a superare la detta presunzione, il fatto che il
5.1.1998 era stato sottoscritto il certificato di ultimazione lavori e che il
15.1.1998 era stata esplicata la sottoscrizione con riserva tramite espresso richiamo alle riserve in precedenza esposte. La censura è
anch’essa inammissibile posto che, quand’anche il fatto dedotto fosse
stato, come asserito nel motivo, documentato nella relazione di CTU,
non per questo l’Impresa, a fronte dell’appello della Comunità (che si
fondava proprio sulla decadenza per mancata conferma), sarebbe stata
esonerata dal richiamare quel rilievo peritale e dal formulare la eccezione di richiamo “implicito” alle riserve che esso conteneva. Ed in difetto
della attuale indicazione della sede processuale nella quale quel documento venne invocato in appello, la censura è inammissibile.
Pertanto si rigetta il ricorso statuendo che l’onere delle spese di
giudizio della Comunità gravino sulla società ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a versare alla controrícorrente Comunità per spese di giudizio la somma di C 15.200 (di cui C
15.000 per compensi) oltre IVA e CPA
Così d ciso nella c.d.c. dell’8 gennaio 2014
Il Ci s.est.

DEPOSilATO CANCtORIA
Oggi …………….. … gt.1‘ . 1″± ….

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stenza.

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