Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3891 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 3891 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: MACIOCE LUIGI

sul ricorso iscritto

al n.

10973 del R.G. anno 2007

proposto da:
Comune di Monterotondo in persona dei Sindaco in cric, dom.to
oRa via Frixassinì le presso l’Avv. Roberto Venettoni che lo
rappresenta e difende

per

procura a margine del ricorso

ricorrente-

contro
Magistri Eugenia coniugata Chiacchiarelli (quale erede di Angelo
Chiacchiarelli) dom.ta in Roma L.re Michelangelo 9 presso l’avv.
Massimo Mafredonia che la rappresenta e difende per procura speciale a
margine del controricorso

controricorrente

avverso la sentenza 921 del 20.2.2006 della Corte di Appello di
Roma ; udita la relazione della causa svolta nella p.u. del 08.01.2014
dal Cons.Luigi MACIOCE; udito l’avv. Roberto Venettonì; presente il
P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso
che ha chiesto il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
All’esito di un appalto intercorso tra l’Ospedale S.S. Gonfalone di Monterotondo e l’Impresa Chiacchiarelli, l’ appaltatore nel 1982, in base alle
prOposte riserve, chiese la costituzione di Collegio Arbitrale e nel 1984
venne sottoscritto il lodo che conteneva condanna della USL a pagare

Data pubblicazione: 19/02/2014

all’Impresa lire 280.334.000. Impugnato il lodo e respinta
l’impugnazione dalla Corte di Roma, la Corte di Cassazione con sentenza
6781 del 1990 cassò la pronunzia affermando la legittimazione passiva
del Comune e non già della USL, in forza dell’art. 66 legge 833 del 1978
(e dell’art. 3 della Legge Regione Lazio 10/1980) che imponeva il trasferimento ai comuni dei rapporti, e dei contratti originari, afferenti le attività dei soppressi enti ospedalieri. L’Impresa, nel 1991, quindi, lungi dal
coltivare o riproporre la domanda di definizione arbitrale, propose nuovo

Comune di Monterotondo al fine di ottenere la affermazione del suo diritto alle somme indicate nelle riserve. Costituitosi il Comune – che in
comparsa conclusionale eccepì la improponibilità della domanda per effetto della clausola di devoluzione arbitrale – il Tribunale (costituitasi
l’erede del titolare dell’Impresa) con sentenza 24.4.2002 accolse la domanda dell’Impresa per la somma di € 296.474. La sentenza venne
impugnata dal Comune di Monterotondo, in primis denunziante la improponibilità dell’azione per la presenza di clausola di devoluzione arbitrale, e costituitasi la Magistri (eccipiente la tardività e la infondatezza
della detta eccezione di improponibilità), la Corte di Roma con sentenza
20.2.2006 ha respinto l’appello condannando il Comune alla refusione
delle spese. In motivazione la Corte ha affermato:

che l’eccezione, di-

sattesa e riproposta dal Comune, di improponibilità della domanda stante la competenza arbitrale statuita dalla clausola compromissoria, era
infondata stante l’applicazione a tal eccezione del pre-vigente art. 38
c.p.c. e quindi stante la preclusione avveratasi con una eccezione sollevata solo con la conclusionale in Tribunale, che inoltre l’eccezione era
infondata dato che, vigente l’art. 47 dPR 1063/1962 e pur dopo la imposizione di obbligatorietà di cui all’art. 16 della legge 741 del 1981, era
da rammentare che la sentenza della Corte Costituzionale 152 del 1996
aveva reintrodotto la riserva di scelta della giurisdizione ordinaria della
parte e quindi, nella specie, aveva consentito all’Impresa di adìre il G.O.,
che era ancora da ribadire la legittimazione passiva esclusiva del Comune alla stregua del disposto della legge 456 del 1987, che neanche poteva ipotizzarsi la eccepita prescrizione ordinaria sia perché essa poteva
decorrere solo con la richiesta fatta alla USL il 15.1.1982 di decisione
sulle riserve sia perché, anche facendola decorrere dalla iscrizione delle
riserve (Maggio 1981), essa era stata interrotta con la messa in mora
del 22.11.1990 ben anteriore alla citazione 8.7.1991, che la questione
della decadenza per mancata conferma delle riserve nel conto finale (8°
SAL) era infondata posto che a quella data era stato già promosso giudi-

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ed autonomo giudizio innanzi al Tribunale di Roma nei confronti del solo

zio arbitrale per tutte le riserve, che la critica afferente la supina adesione del Tribunale alla CTU era essa sì affatto generica, nulla dicendo
sulle ragioni specifiche di doglianza che si muovevano. Per la cassazione
di tale sentenza il Comune ha proposto ricorso il 4.4.2007 con otto motivi, cui la Magistri ha resistito in controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio fondate le assorbenti censure poste nei primi due
motivi del ricorso, dovendosi – in dissenso dalla decisione di merito e

tempestiva la questione di improponibilità della domanda per previsione
di devoluzione arbitrale sia ritenere siffatta previsione devolutiva cogente tra le parti, stipulanti od ex lege subentrate nel rapporto.
Si espongono in primo luogo le doglianze.
Primo motivo: esso denunzia violazione del dPR 1063/1962 e dell’art. 38
c.p.c. per avere il giudice del merito erroneamente ritenuto che
l’eccezione di clausola compromissoria fosse eccezione di incompetenza,
come tale soggetta al regime di denunzia di cui all’art. 38 c.p.c. nel
mentre trattavasi solo di questione di improponibilità della domanda.
Secondo motivo:esso denunzia violazione del dPR 1063/1962 e dell’art.
16 della legge 741 del 1981, per aver dimenticato – affermando che la
sentenza del 1996 aveva comunque introdotto erga omnes la rinunzia
alla devoluzione arbitrale – che l’obbligatorietà del Capitolato oo.pp. nella specie era di sola natura convenzionale con la conseguente sua indifferenza alla pronunzia di Corte Costituzionale n. 152 del 1996.
Terzo motivo: esso censura – assai confusamente – di omessa motivazione la scarsa attenzione data in sentenza al fenomeno successorio del
Comune nel rapporto originato dal contratto con Ospedale USL. Quarto
motivo: esso lamenta la violazione delle leggi 456 e 502 del 1987 per
avere applicato tali norme senza farsi carico di dar corso alla legge 502
del 1992, con la conseguenza di dover affermare che il debito del disciolto ente ospedaliero non estinto al 31.12.1985 si doveva considerare definitivamente acquisito alla USL e quindi allo Stato.

Quinto motivo: es-

so censura per violazione dell’art. 2935 c.c. la decisione di ritenere decorrente dal conto finale ed interrotta dalla nota 15.1.1982 (inviata alla
USL ed al disciolto Ente Ospedaliero) la prescrizione decennale, invece
da ritenersi avverata stante la estraneità del Comune, destinatario, da
tale interruttiva. Sesto motivo: esso lamenta la violazione degli artt. 54
e 64 RD 350 del 1895 per avere ritenuto che il requisito della riproposízione delle riserve nel conto finale dovesse ritenersi assorbito dalla proposizione della domanda di arbitrato, anteriore alla sottoscrizione di det-

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pienamente condividendo le puntuali censure del ricorso – sia ritenere

to conto. Settimo motivo: esso lamenta aver costituito violazione degli
artt. 112 c.p.c. e 1421 c.c. l’omessa dichiarazione di ufficio della nullità
della domanda che postulava compensi per lavori aggiuntivi non approvati dal committente. Ottavo motivo: esso dissente dalla valutazione
di specificità dei motivi di appello fatta dalla Corte di merito.
Tali doglianze si esaminano.
Il primo motivo è fondato posto che la decisione non è esatta.
La Corte di merito ha ritenuto preclusa la posta questione di improponi-

dato che essa era stata posta solo nella conclusionale di primo grado: la
valutazione del giudice di appello è stata formulata sull’assunto che ad
essa eccezione si applicasse l’art. 38 c.p.c. L’assunto è errato perché,
alla stregua di quanto affermato da questa Corte, dopo la nota “svolta”
impressa da SU 527 del 2000 con l’affermazione del principio per il
quale l’attività degli arbitri non fosse giurisdizionale ma di decisione negoziale, la improponibilità è stata ripetutamente qualificata come questione di solo merito (Cass.
15474 del 2011).

12864 del 2007, 21926 del 2008 e

E si noti che nella vicenda sottoposta tale principio,

appunto introdotto dalle SU 527 dell’anno 2000 appena richiamate, era
in piena conoscibilità delle parti tanto all’epoca della redazione della
conclusionale di primo grado quanto al momento della proposizione
dell’appello. E tale principio ha governato i rapporti tra funzione arbitrale
e giurisdizione ordinaria sintantochè, con il d.lgs. 40 del 2006, si è pervenuti ad assegnare all’arbitrato una funzione sostitutiva di quella giurisdizionale e peranto a riproporre in termini di “competenza” la relazione
(C.Cost. 223 del 2013 e S.U. 24153 del 2013).
E poiché a controversia instaurata 1’8.7.1991 doveva trovare applicazione, per il regime delle eccezioni in appello, il pre vigente art. 345 c.p.c.
(Cass. 17808 e 27334 del 2011), ne discende che la eccezione di improponibilità in discorso, che ben poteva essere stata posta solo in conclusionale, ben poteva essere riproposta nell’atto di appello (10925 del
2001 e 19865 del 2003). Doveva quindi essere esaminata (come lo è
stata) e doveva essere valutata (come inesattamente fatto).
Il secondo motivo è dunque anch’esso fondato là dove contesta la esattezza della seconda ratio della sentenza di appello (quella per
la quale la questione, quand’anche tempestivamente posta, sarebbe in
sé infondata stante la piena derogabilità hint et inde della clausola di
compromesso arbitrale). Ritiene il Collegio che la clausola arbitrale, pienamente efficace tra le parti originarie e tra quelle succedute ad esse (e
quindi tra l’erede del Chiacchiarelli ed il Comune, subentrato nel rappor-

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bilità, per la asserita cogenza della clausola di competenza arbitrale,

to e nel contratto come statuito da Cass. 6781 del 1990 nella vicenda
originariamente posta in sede arbitrale), non fosse affatto “declinabile”
dall’Impresa con la libera scelta della giurisdizione.
Questa Corte ha infatti affermato (da Cass.

8420 del 2000 a Cass.

17083 del 2008) che, se in un contratto d’appalto stipulato da un
Comune, le parti abbiano fatto espresso richiamo, quale parte integrante del contratto, alle norme del capitolato approvato con d.P.R
16 luglio 1962 n. 1063, e, tra queste, a quelle relative alla

necessita’ di una separata clausola compromissoria, posto che la volonta’ dei contraenti trova gia’ la sua espressione per relationem perfectam nel richiamo pattizio. Ne consegue che la fonte della competenza arbitrale va individuata non nella legge, bensi’

in una

convenzione dotata di propria autonoma forza vincolante .Ne discende
che, formatasi la volonta’ contrattuale secondo la disciplina dettata nel
capitolato generale vigente nel momento in cui il contratto e’ stato concluso, l’intero rapporto e’ retto e deve svolgersi secondo quella disciplina

e le eventuali modificazioni sopravvenute di tale capitolato,

cosi’ come gli interventi abrogativi della Corte costituzionale,

non

possono incidere sul carattere proprio del regime pattizio dei contratti
in corso ed anche con riguardo alle previsioni afferenti la cognizione
riservata del collegio arbitrale.
Dalla fondatezza di detti motivi discende tanto l’assorbimento
delle residue censure, che pertanto, come sopra esposte, non si esaminano, quanto, radicalmente, una volta accertata la improponibilità iniziale della domanda innanzi al Tribunale, tempestivamente eccepita e tempestivamente denunziata in appello, la necessità di addivenire alla cassazione senza rinvio della sentenza d’appello ai sensi dell’art. 382 u.c.
c.p.c. (Cass. 10093 del 2008, 17202 del 2003 e 2517 del 2000) nel
cui effetto demolitorio resta compresa la caducazione anche della sentenza di primo grado. Le spese del grado seguono la soccombenza.
P. Q. M.
Accoglie primo e secondo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri,
cassa senza rinvio la sentenza impugnata per improponibilità della domanda e condanna la controricorrente Magistri a versare al Comune di
Monterotondo per spese € 12.000 quali compensi oltre alla refusione del
c.u. ed oltre ad IVA e CPA sui compensi stessi.
Così 4eciso nella c.d.c. dell’8.1.2014.
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