Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3890 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/02/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 16/02/2021), n.3890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 8987/2019 R.G. proposto da:

D.P.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Fernando Bonelli,

domicilio eletto in Roma, piazzale Clodio, n. 56;

– ricorrente –

contro

M.L., rappresentata e difesa dagli Avv. Roberto Sannibale e

Andrea Di Renzo, con domicilio eletto presso lo studio del primo in

Roma, viale di Villa Pamphili, n. 59;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 348/19

depositata il 17 gennaio 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 dicembre

2020 dal Consigliere Mercolino Guido.

 

Fatto

RILEVATO

che D.P.S. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, illustrati anche con memoria, avverso la sentenza del 17 gennaio 2019, con cui la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame da lui interposto avverso la sentenza emessa il 4 agosto 2017 dal Tribunale di Roma, che, nel pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal ricorrente con M.L., aveva posto a carico dell’uomo l’obbligo di corrispondere alla donna un assegno mensile di Euro 1.000,00, da rivalutarsi annualmente secondo l’indice Istat;

che la M. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost., della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, commi 6 e 9, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 132 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel riconoscere alla M. il diritto allo assegno, la sentenza impugnata ha ritenuto incontestato che ella avesse sacrificato le proprie aspettative reddituali in favore della famiglia, senza che la donna avesse mai fatto cenno a tali sacrifici o ad aspettative professionali rinunciate o abbandonate, e senza tener conto della libertà della stessa di cercare un’occupazione, in assenza di figli e di particolari esigenze familiari;

che con il secondo motivo il ricorrente insiste sulla violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost., della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, commi 6 e 9, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 132 c.p.c., nonchè sull’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel riconoscere il diritto della M. all’assegno, la sentenza impugnata non ha tenuto conto delle potenzialità reddituali della donna, dell’attività lavorativa dalla stessa svolta presso la propria abitazione, degli accordi intervenuti in sede di separazione, dell’intervenuta estinzione del rapporto coniugale;

che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, sono infondati;

che, ai fini dell’accertamento del diritto all’assegno, la sentenza impugnata si è infatti attenuta puntualmente al principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte a composizione di un contrasto di giurisprudenza, secondo cui al predetto assegno dev’essere attribuita, oltre alla natura assistenziale, anche una natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non già il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate (cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287; Cass., Sez. I, 28/02/2020, n. 5603);

che, in applicazione del predetto principio, la Corte territoriale ha proceduto dapprima alla comparazione tra le situazioni patrimoniali e reddituali delle parti, in tal modo pervenendo all’affermazione dell’esistenza di una disparità tra le rispettive condizioni economiche, e successivamente all’analisi delle disponibilità patrimoniali e delle prospettive occupazionali della M., escludendone l’autonomia economica, per poi rilevare la mancata contestazione del sacrificio da essa compiuto delle proprie aspettative reddituali in favore delle esigenze familiari e della realizzazione professionale del coniuge;

che, nel censurare quest’ultimo rilievo, il ricorrente omette di riportare nel ricorso il contenuto della comparsa di costituzione e quello dei propri atti difensivi, nonchè di evidenziare in modo puntuale i fatti allegati a sostegno della domanda di riconoscimento dell’assegno e le contestazioni da lui sollevate al riguardo, in modo tale da consentire a questa Corte di riscontrare la veridicità del proprio assunto, prima ancora di verificarne la fondatezza, con la conseguenza che il primo motivo risulta, sotto tale profilo, carente di specificità (cfr. Cass., Sez. VI, 22/05/2017, n. 12840);

che, nella valutazione delle potenzialità reddituali della M., la sentenza impugnata ha preso puntualmente in considerazione tutti gli elementi evidenziati dal ricorrente, dando atto per un verso della qualificazione professionale acquisita dalla donna e dei tentativi da lei compiuti per trovare una occupazione, e per altro verso dell’età ormai raggiunta e dei suoi problemi di salute, nonchè della conseguente difficoltà di accedere al mondo del lavoro;

che nel censurare il predetto apprezzamento il ricorrente non è in grado di indicare circostanze di fatto trascurate dalla Corte territoriale ed idonee a orientare in senso diverso la decisione, nè lacune argomentative o incongruenze tali da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione della violazione di legge e del vizio di motivazione, una nuova valutazione dei fatti non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonchè la coerenza logica della stessa, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, per effetto della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257).

che l’omessa valutazione degli accordi intervenuti in sede di separazione, nell’ambito dei quali la controricorrente avrebbe rinunciato alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, trova invece conforto nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in quanto avente come presupposto lo scioglimento del vincolo coniugale, e fondata sui criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, la determinazione dell’assegno divorzile è svincolata dalle statuizioni patrimoniali operanti in pendenza della separazione dei coniugi, che presuppongono invece la persistenza del vincolo e trovano la loro disciplina nell’art. 156 c.c., con la conseguenza che il diniego dell’assegno divorzile non può trovare giustificazione nella mera circostanza che gli accordi intervenuti tra i coniugi in sede di separazione prevedessero che nessun assegno sarebbe stato versato, essendo il giudice tenuto comunque procedere alla verifica dei requisiti prescritti dall’art. 5 cit., nell’ambito della quale i predetti accordi possono assumere al più valore indiziario (cfr. Cass., Sez. I, 28/01/2008, n. 1758; 22/ 11/2000, n. 15055);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della con-troricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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