Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3889 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 3889 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

Data pubblicazione: 19/02/2014

SENTENZA
sul ricorso 33557-2006 proposto da:
FINSACO S.P.A. (c.f. 04337291001), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLA MERCEDE 11, presso
l’avvocato CANNATA MARIO, che la rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2013
2014

contro

BANCA POPOLARE COMMERCIO E INDUSTRIA S.P.A.;
– intimata –

1

sul ricorso 1707-2007 proposto da:
BANCA POPOLARE COMMERCIO E INDUSTRIA S.P.A. (BPCI)

(C.F.

03910420961),

in persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA E. Q. VISCONTI 20, presso
l’avvocato RISTUCCIA RENZO, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce all’atto di
costituzione;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

FINSACO S.P.A. (c.f. 04337291001), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLA MERCEDE 11, presso
l’avvocato CANNATA MARIO, che la rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso
principale;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n.

114/2006 della CORTE

D’APPELLO di MILANO, depositata il 28/01/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 17/12/2013 dal Consigliere
Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito,

per

la

controricorrente

e

ricorente

incidentale, l’Avvocato RENZO RISTUCCIA che ha
chiesto

il

rigetto

del

ricorso

principale,

2

accoglimento dell’incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso
per il rigetto del ricorso incidentale e per
raccoglimento del principale per quanto di

ragione.

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3

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Svolgimento del processo
La società Finsaco convenne in giudizio la Banca Popolare
Commercio e Industria (BPCI), con la quale aveva stipulato
un contratto di apertura di credito in conto corrente,
deducendo che, per alcuni mesi e sino al mese di dicembre

2001, la predetta Banca aveva arbitrariamente prelevato dal
conto ingenti somme di denaro utilizzate per investimenti
mobiliari ad alto rischio con risultati negativi, e
chiedendone la condanna al pagamento di

e 3.826.232,27,

oltre interessi, previo accertamento della nullità del
contratto di gestione di portafoglio di investimento che la
banca riteneva stipulato, ma che in realtà era inesistente
e carente del requisito della forma scritta.
La BPCI si costituì deducendo tra l’altro che, sebbene la
sua proposta contrattuale non fosse stata restituita
.r firmata dalla società Finsaco, l’eventuale nullità era
stata sanata perché il contratto era stato eseguito per
circa due anni e le operazioni contestate erano state
compiute in base alle intese e alle istruzioni del cliente.
La sentenza del Tribunale di Milano, che dichiarò la
nullità del contratto per difetto di forma scritta e
condannò la BPCI a corrispondere l’importo richiesto, è
stata impugnata da quest’ultima e riformata dalla Corte di
appello di Milano, con sentenza 28 gennaio 2006,
limitatamente alla quantificazione della somma dovuta alla

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Finsaco, che è stata ridotta a C 2.440.742,40. La corte ha
ritenuto che non vi fosse prova del

quantum debeatur

determinato dal tribunale in un importo contestato dalla
banca e che la somma dovesse essere ridotta; per il resto
la corte ha confermato la nullità del contratto di gestione

di portafogli di investimento per mancanza della necessaria
forma scritta ad substantiam.
Avverso questa sentenza ricorre per cassazione la Finsaco a
mezzo di quattro motivi, cui resiste la BPCI che formula un
ricorso incidentale articolato in due motivi, cui resiste
la società. Entrambe le parti hanno presentato memorie a
norma dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1.- Il ricorso incidentale va esaminato con precedenza
rispetto al ricorso principale perché logicamente
pregiudiziale.
Nel primo motivo (per violazione e falsa applicazione
dell’art. 24, comma l, lett. a, d.lgs. n. 58 del 1998, in
relazione all’art. 28 Reg. Consob n. 11522 del 1998) la
BCPI deduce che erroneamente la corte del merito aveva
giudicato nullo il contratto di gestione di portafoglio per
mancanza della forma scritta, che invece dovrebbe
riconoscersi esistente, avendo la Finsaco sottoscritto il
“documento sui rischi generali degli investimenti in

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strumenti finanziari”, avente valore di adesione al
contratto, e ricevuto gli estratti conto periodici.
1.1.- Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata, nell’escludere la stipulazione di un
contratto formale di gestione di portafoglio, ha osservato

che vi erano state trattative tra le parti che però non si
erano concluse positivamente; che la BPCI aveva consegnato
a un socio della Finsaco un modulo contrattuale di gestione
del patrimonio mobiliare affinché fosse sottoscritto e
restituito, ma ciò non era avvenuto, nonostante i solleciti
della banca; inoltre ha escluso che la forma scritta
potesse essere desunta da documenti negoziali (quali la
raccolta di ordini di investimenti e l’amministrazione
titoli) aventi un diverso contenuto e non rilevando
l’eventuale collegamento di taluni di essi alla gestione
patrimoniale.
La sottoscrizione del “documento sui rischi generali” è una
circostanza di fatto che non risulta nella sentenza
impugnata e che è stata contestata dalla Finsaco nel
controricorso (a pag. 5). Il motivo si basa quindi su un
presupposto insussistente ed è, comunque, infondato con
riguardo alle conseguenze invocate dalla BPCI.
L’art. 23, comma l, del d. lgs. n. 58 del 1998 prevede che
i contratti relativi alla prestazione dei servizi di
investimento “sono redatti per iscritto e un esemplare è

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consegnato al cliente” e che “nei casi di inosservanza
della forma scritta, il contratto è nullo”; l’art. 30,
comma l, del Reg. Consob n. 11522 del 1998 prevede che gli
intermediari “non possono fornire i propri servizi se non
sulla base di un apposito contratto scritto” la cui copia

“è consegnata all’investitore” (la predetta disposizione
sulla forma del contratto è applicabile anche ai servizi di
gestione resi agli operatori qualificati, a norma dell’art.
31, comma 1, del medesimo Regolamento); inoltre l’art. l,
comma 5, lett. d), ricomprende nella nozione di “servizi di
investimento” l’attività di “gestione su base individuale
del portafoglio di investimento per conto terzi”.
La tesi secondo cui la sottoscrizione del “documento sui
rischi generali” sarebbe sufficiente ad integrare la forma
scritta del contratto non è condivisibile. Il predetto
documento (previsto dall’art. 28 del Reg. Consob del 1998)
deve essere consegnato agli investitori “prima della
stipulazione del contratto di gestione” rispetto al quale
assolve una funzione strumentale e propedeutica. Esso
consiste in una informativa doverosa ma preliminare e
sommaria che serve a rendere il cliente più consapevole
rispetto ai rischi dell’investimento e del mandato gestorio
conferito alla banca (senza assolvere quest’ultima dalle
conseguenze del compimento di operazioni inadeguate: v.
art. 29 del medesimo Regolamento). La forma scritta in cui

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il contratto deve essere, pur sempre, stipulato costituisce
un indispensabile requisito prescritto dalla legge a
protezione dell’investitore che non ammette equipollenti o
ratifiche. I giudici di merito, quindi, correttamente non
hanno tenuto conto, ai fini della stipulazione del

contratto, né del predetto “documento sui rischi generali”,
né degli estratti conto periodici inviati alla società (v.,
in tal senso, Cass. n. 7283/2013 con riferimento ad un
contratto di negoziazione di titoli mobiliari).
2.- Nel secondo motivo (per violazione e falsa applicazione
degli artt. 23, commi 1 e 3, e 24, d.lgs. n. 58 del 1998 e
vizio di omessa motivazione) la BPCI deduce l’erroneità
della decisione impugnata per avere rilevato d’ufficio una
nullità per difetto di forma che solo il cliente potrebbe
fare valere e per non avere considerato che, in concreto,
la Finsaco aveva implicitamente rinunciato a farla valere,
come poteva desumersi dalla mancata contestazione dei
rendiconti trimestrali da essa ricevuti.
2.1.- Il motivo è infondato.
E’ sufficiente considerare che la nullità del contratto per
difetto di forma scritta è stata fondatamente dedotta dalla
società Finsaco nel giudizio di merito e che, come si è già
detto, la mancanza della forma prevista dalla legge per la
stipulazione è un vizio non surrogabile da comportamenti
concludenti delle parti.

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3.- Venendo ad esaminare il ricorso principale della
Finsaco, il primo motivo deduce l’omessa pronuncia sulla
propria tempestiva eccezione di inammissibilità della
domanda nuova tardivamente introdotta dalla BPCI in via
subordinata nel giudizio di appello (anziché nella comparsa

restituzione

dell’importo

di

C

1.323.513,57,

di costituzione in primo grado) al fine di ottenere la
oltre

interessi, che risultava indebitamente corrisposto alla
stessa Finsaco per effetto della sentenza di appello che
aveva ridotto il quantum determinato dal primo giudice.
3.1.- Il motivo è infondato.
Esso si basa sul presupposto che la corte territoriale,
riducendo a C 2.440.742,40 l’importo che la BPCI era tenuta
a corrispondere per il proprio illecito operato, abbia
anche condannato la Finseco a restituire l’importo
– aggiuntivo che essa aveva indebitamente ricevuto per
effetto della riformata sentenza di primo grado. Tale
presupposto è tuttavia insussistente, atteso che la
sentenza impugnata non contiene un capo condannatorio al
riguardo. Esso è anche infondato, alla luce del principio
secondo cui non soltanto la richiesta di restituzione delle
somme pagate alla controparte in esecuzione della sentenza
di primo grado non configura una domanda nuova – essendo
conseguente alla richiesta di modifica della decisione
impugnata -, ma detta restituzione può essere chiesta in
a

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fase di gravame e anche disposta d’ufficio dal giudice,

atteso che l’art. 336 c.p.c. (nel testo novellato dall’art.
38 della legge n. 353 del 1990, secondo cui la riforma o la
cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli
atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata)

comporta che, a seguito della sentenza di riforma, vengono
meno immediatamente sia l’efficacia esecutiva della
sentenza di primo grado, sia l’efficacia degli atti o
provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della
stessa, conseguentemente rimasti privi di qualsiasi
giustificazione, con la ulteriore conseguenza che il
giudice di appello ha il potere di adottare direttamente i
provvedimenti capaci di ripristinare la situazione
precedente

(Cass.

n.

16170/2001,

n.

12905/2004,

15220/2005).
I

4.- Il secondo motivo (per violazione degli artt. 112, 190
e 345 c.p.c.) deduce l’erroneità della ridotta (rispetto
alla riformata sentenza di primo grado) quantificazione
della somma dovuta in favore della Finsaco. L’imputazione
mossa alla corte del merito è di avere erroneamente
supposto che la BPCI avesse tempestivamente contestato
l’importo richiesto dalla Finsaco nel giudizio di primo
grado, nel corso del quale invece la banca si era limitata
a dedurre la legittimità dell’attività di gestione svolta e

a

.

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solo nella memoria di replica e poi in appello, cioè
tardivamente, aveva contestato anche il quantum.
Il suddetto motivo va esaminato congiuntamente al terzo e
al quarto motivo (per violazione degli artt. 115, 116 e 117
c.p.c.): nel terzo la Finsaco imputa alla corte del merito
di avere erroneamente ritenuto non provati i conteggi da

a

essa prodotti in quanto “non suffragati da idonea
pertinente documentazione”, senza considerare che vi era
stata implicita adesione della BPCI all’importo richiesto
dalla controparte e che la contestazione era avvenuta solo
nella memoria di replica e quindi tardivamente; il quarto
riguarda il valore probatorio della documentazione prodotta
dalla Fintaco a sostegno del

quantum debeatur che la corte

avrebbe immotivatamente escluso.
4.1.- Essi sono rigettati.
La corte territoriale, premesso che la Finsaco, sulla quale
gravava la prova del danno, non lo aveva dimostrato
nell’importo corrispondente alla sua domanda e che non vi
era stata un’adesione, esplicita o implicita, da parte
della BPCI, lo ha ridotto in misura corrispondente a quella
riconosciuta da quest’ultima. La BPCI, deducendo in primo
grado l’infondatezza della domanda risarcitoria della
Finseco e chiedendone l’integrale rigetto, aveva
evidentemente contestato anche il

quantum,

la cui

determinazione rientrava a pieno titolo nella materia del

11

contendere e nell’autonomo apprezzamento del giudice. La
doglianza implica, pertanto, una censura di fatto che
investe l’esercizio

di

un potere valutativo nella

quantificazione del danno che spetta al giudice del merito,
sollecitandone una rivisitazione che è inammissibile in
questa sede.
5.- In conclusione, entrambi i ricorsi sono rigettati. In
considerazione della soccombenza reciproca le spese sono
compensate.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta; spese compensate.
Roma, 17 dicembre 2013.

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