Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3889 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/02/2017, (ud. 15/12/2016, dep.14/02/2017),  n. 3889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27679-2012 proposto da:

M.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI SALA;

– ricorrente –

contro

F.T. (OMISSIS), FI.AL. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G. PISANELLI 4, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FILIPPO FILIPPI;

– controricorrenti –

nonchè contro

SUPERMERCATO ISOLANO S.r.l., oggi ISOLANO IMMOBILIARE, in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1396/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 14/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. GRASSO GIUSEPPE;

udito l’Avvocato ALBINI Carlo, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MANZI Andrea, difensore del ricorrente, che si riporta

agli atti;

udito l’Avvocato GIGLI Giuseppe, difensore dei controricorrenti, che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO LUIGI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Verona, con sentenza depositata il 16/6/2000, accolta la domanda di Fi.Al. e F.T., comproprietari di una unità immobiliare e relative pertinenze, condannò M.F. ad abbattere quella parte dell’edificio, dal medesimo costruito sul proprio fondo, posta non a distanza legale rispetto al fabbricato degli attori.

Con sentenza depositata il 14/6/2012 la Corte di appello di Venezia, rigettato l’appello principale di M.F. e accolto quello incidentale dei coniugi Fi. – F., condannò l’appellante ad abbattere la “porzione di edificio eretto sul fondo del M. sito, in ogni suo punto, a distanza inferiore a metri 10 dalla frontistante facciata della casa presente sul fondo degli appellanti”; nonchè a corrispondere la somma di Euro 2.500,00 a titolo di ristoro del danno.

M.F. ricorre per cassazione avverso la sentenza d’appello.

F.T. e Fi.Al. resistono con controricorso. Il Supermercato Isolano s.r.l., oggi Isolano Immobiliare, presente in primo grado ed evocato in giudizio in secondo grado, in ordine a vicenda indipendente da quella qui in trattazione, non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunziante violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 873 c.c., il ricorrente lamenta ultrapetizione, stante che la controparte aveva convertito in corso di causa la primigenia domanda volta a contestare la violazione delle distanze dai confini, in violazione delle distanze fra edifici ed i Giudici del merito avevano condannato il ricorrente ad arretrare il proprio edificio pur essendo risultate rispettate le distanze dal confine. Con la domanda introduttiva gli attori avevano testualmente chiesto la condanna “ad abbattere le costruzioni abusivamente erette sulla proprietà degli attori, a distanza non regolamentare rispetto alla medesima; cioè, rispetto al loro terreno (…)”. Una tale espressione, riguardante esclusivamente l’abbattimento di quella parte di costruzione eretta a distanza non legale dal confine, era stata interpretata erroneamente come omnicomprensiva anche della distanza tra fabbricati; che, invece, non annoverava alcun riferimento, sia pure indiretto. Inoltre era del tutto evidente che in siffatto modo era rimasto violato il principio della domanda sotto il profilo della mancanza di sufficiente specificazione, essendosi allargato il tema della decisione ben oltre quel che era dato intendere dall’espressione sopra riportata.

Con il secondo motivo, deducente la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2043 c.c., si chiarisce che l’infondatezza della pretesa faceva venir meno il diritto al risarcimento, mancando l’illecito.

Reputa la Corte non potersi condividere la censura esposta con il primo motivo. Conseguentemente il subordinato secondo motivo risulta inammissibile.

I resistenti con la domanda deducevano che costruzioni della controparte erano state edificate a distanza non regolamentare rispetto alla di loro proprietà. In definitiva, così, dolendosi, in generale, del mancato rispetto della legge in materia di distanze. Pur constatabile la genericità della costruzione lessicale, in parte involuta e incoerente (laddove sembra contestare che una parte dell’avversa costruzione insista sul fondo attoreo), non è dubbio che spettava al giudice del merito di essa (riportata testualmente nell’esposizione del primo motivo di ricorso) far luogo ad attenta opera interpretativa, così da cogliere l’intiero significato della causa petendi. Nella specie non è censurabile l’opera ermeneutica del giudizio di merito, la quale, non mostra di aver violato le regole al fine dirette, che, debbono ricavarsi, sempre e comunque, dalle regole ermeneutiche dettata dagli artt. 1362 e seg. c.c. (cfr., fra le tante, Sez. 2^, n. 28421 del 22/12/2005, Rv. 585772 – 01; Sez. 2^, n. 8140 del 28/4/2004, Rv. 572416 – 01).

Peraltro, è da condividersi l’arresto di legittimità (Sez. L., n. 6226 del 18/3/2014, Rv. 630510 – 01) secondo il quale la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss., c.c., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici e il testo dell’atto processuale oggetto di erronea interpretazione.

Ovviamente si è molte volte chiarito che il richiamo alle regole ermeneutiche del codice civile deve intendersi in quanto compatibile; sicchè proprio l’art. 1362, in quanto volto all’apprezzamento della comune volontà delle parti di un negozio non è solitamente utilizzabile (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 24847 del 24/11/2011, Rv. 620455 – 01; Sez. 3, n. 25853 del 9/12/2014, Rv. 633517 – 01).

Con l’atto introduttivo il Fi. e la F. lamentano la violazione della legge in materia di distanze, potendosi, quindi, intendere sia quelle dal confine, che tra costruzioni. Il giudice del merito non ha ecceduto dai suoi compiti nel ritenere che gli fosse stato richiesto di verificare il rispetto della disciplina a riguardo di entrambe le fattispecie; nè, tantomeno, nel rispetto del principio iura novit curia, nell’effettuare la ricognizione della disciplina applicabile.

Condivisamente si è già avuto modo di affermare (Sez. 2, n. 3911 del 9/9/1989, Rv. 463753 – 01) che il giudice, di fronte ad una domanda di riduzione in pristino di opere eseguite in contrasto con le prescrizioni vigenti, deve verificare la sussistenza delle lamentate violazioni sotto ogni profilo, alla stregua di criteri normativi identificabili ed applicabili d’ufficio, e pertanto non incorre nel vizio di ultrapetizione ove applichi integralmente la disciplina sanzionatoria delle violazioni accertate, ancorchè la domanda non abbia fatto specifico riferimento a tutte le conseguenze derivanti dalla violazione delle prescrizioni predette (nella specie, la suprema Corte ha confermato l’impugnata sentenza, la quale, a fronte della domanda degli attori di demolizione del fabbricato eseguito in violazione delle distanze rispetto alla “loro proprietà”, aveva condannato i convenuti a ristabilire le distanze non solo rispetto all’edificio degli attori ma anche rispetto al confine con il fondo dei medesimi).

All’epilogo consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese legali in favore dei resistenti, nella misura di cui in dispositivo, tenuto conto della qualità e del valore della causa, nonchè delle attività svolte.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore dei resistenti, che liquida nella complessiva somma di Euro 2.700,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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