Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3887 del 17/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/02/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 17/02/2011), n.3887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3640-2010 proposto da:

N.V. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LOJODICE OSCAR, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CORETTI ANTONIETTA, STUMPO VINCENZO, DE ROSE EMANUELE,

giusta mandato speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1231/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI del

12/03/09, depositata il 19/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380-bis.

L’attuale ricorrente, N.V., adiva il Tribunale di Bari, chiedendo la condanna dell’Inps a corrispondergli la differenza tra il trattamento di disoccupazione agricola dovutagli relativamente all’anno 1992 rivalutata in base agli indici ISTAT e quanto già percepito. Il Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere, su richiesta dell’Inps, che aveva dichiarato di avere corrisposto nel frattempo le somme dovute.

Lo stesso giudice condannava l’Inps a rimborsare al lavoratore le spese del giudizio, liquidate nella misura complessiva di Euro 250,00.

L’assicurato proponeva appello lamentando l’omessa liquidazione degli interessi anatocistici sulla sorte capitale e sugli interessi maturati nel corso del giudizio e formulando doglianze in merito alla regolazione delle spese del giudizio.

La Corte d’appello, con sentenza depositata il 19.3.2009, accoglieva per quanto di ragione la doglianza relativa agli interessi anatocistici, riconoscendo gli interessi maturati dalla domanda sugli interessi liquidati con la sentenza di primo grado.

Quanto alle spese del giudizio, rilevata la mancanza di una analitica liquidazione da parte del giudice di primo grado – che avrebbe dovuto provvedervi in mancanza di nota spese depositata dalla parte -, la Corte provvedeva ad una compiuta liquidazione, rilevando che per il giudizio di primo grado erano dovuti Euro 65,57 Per diritti di procuratore e Euro 370,00 per onorari, per un totale di Euro 435,57, oltre accessori, precisate quali tra le voci indicate dall’appellante per onorari e per diritti non potevano essere riconosciute. Nel procedere alla liquidazione, rilevato che l’assicurato aveva precisato di avere lavorato con la qualifica di operaio comune nel 2003 e di avere percepito l’anno successivo il trattamento di disoccupazione calcolato sul salario medio congelato nel 2005, escludeva che la causa fosse di valore indeterminabile, come sostenuto dall’appellante. Doveva considerarsi, infatti, che applicando le tariffe delle contrattazione collettiva, le differenze dovute agli assistiti per ciascun anno non oltrepassavano gli Euro 120-130 (essendo invece inferiori nella maggior parte dei casi), dato che notoriamente era ancora contenuto lo scarto tra i due parametri di riferimento, come peraltro la Corte aveva potuto constatare in tantissime cause aventi identico oggetto (e spesso in favore di lavoratori in possesso di qualifica superiore a quello dell’odierno appellante), in cui si era provveduto a quantificare esattamente dette differenze. Pertanto con sicurezza il valore della causa era ricompreso nella fascia tabellare fino a Euro 258,23.

Quanto alle spese del giudizio di appello, riteneva che la natura della controversia e dell’unica questione devoluta suggerivano di compensare integralmente le spese di questo grado del giudizio.

La parte assicurata propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Inps resiste con controricorso.

Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 24, 38 e 111 Cost., degli artt. 91, 112, 113 e 116 c.p.c. e delle tariffe forensi, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Lamenta che, mentre domanda e sentenze sono di condanna generica, e manca una statuizione sul punto con valore di giudicato dello stesso giudice di appello, le valutazioni circa il valore della causa non sono desunte dalle prove dedotte e la Corte di appello, procedendo alla valutazione del valore della causa, oltre ad incorrere in un errore materiale circa l’oggetto della controversia, ha finito per pronunciare su una domanda non oggetto del giudizio di appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 24, 38 e 111 Cost., violazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2. Censura il capo della sentenza relativo alla compensazione del spese del giudizio di appello, sottolineando la illogicità e irrazionalità della statuizione, in difetto di effettivi giusti motivi e in presenza dell’accoglimento di un appello proponente varie questioni, relative al diritto agli interessi anatocistici ed alle spese del giudizio ed integralmente accolto; e osservando anche che sussiste la violazione del diritto di difesa quando la compensazione delle spese viene a impedire il conseguimento di un risultato economicamente utile.

Analoghe censure sono state ritenute manifestamente infondate da questa Corte nel decidere controversie analoghe (cfr. ex plurimis Cass. 11353/2009, 13645/2009,17914/2009, 513/2010).

Nel caso in esame deve però preliminarmente rilevarsi l’inammissibilità di entrambi i motivi di ricorso per la mancata formulazione di conclusivi quesiti di diritto, ex art. 366 bis c.p.c., nella specie applicabile ratione temporis, pur in presenza di censure fondamentalmente basate sulla deduzione di vizi di violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

Quanto all’ipotesi di vizi di motivazione, non risultano osservate le prescrizioni della medesima disposizione sulla “chiara indicazione del fatto controverso” e sulle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

In ogni caso, quanto alla compensazione delle spese del giudizio di appello, premesso che evidentemente il giudice di appello ha inteso fare riferimento alla compensazione per giusti motivi, la adeguata ragione di tale compensazione è ricostruibile nel senso della considerazione da parte dello stesso della proposizione dell’appello in relazione ad un accessorio minimo (interessi anatocistici) relativo a domanda di merito già di modesta entità. Nè rileva la mancata espressa considerazione delle questioni circa le spese del giudizio di primo grado, poichè su di esse andava provveduto per effetto della parziale riforma della sentenza di primo grado; del resto le relative doglianze sono state accolte, sul piano pratico, solo in minima parte.

Riguardo alla questione relativa alla determinazione del valore della causa, tenuto presente che la richiesta di condanna generica non comporta di per sè l’indeterminabilità del valore della causa, che richiede la non possibilità di valutazione economica della controversia (Cass. 1118/1985, 7757/1999), ipotesi certamente non ipotizzabile nel caso in esame, appare ravvisabile un difetto radicale dell’impostazione delle difese del ricorrente (in effetti già dal grado di appello), basate non già sul riferimento all’effettivo valore della causa, ma sull’erronea deduzione dell’indeterminabilità del valore.

Non deve disporsi per le spese del giudizio, ex art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, non applicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2011

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