Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3883 del 17/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/02/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 17/02/2011), n.3883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.P.C., elettivamente domiciliata in Roma, via

Tacito n. 90, presso lo studio dell’avv. Vaccaio Giuseppe,

rappresentata e difesa dall’avv. Lo Castro Andrea per procura a

margine del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – INPS, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma,

via della Frezza n. 17, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli avv.ti Riccio Alessandro, Nicola Valente

e Antonella Patteri, per procura in calce al controricorso;

avverso la sentenza n. 92/2009 della Corte d’appello di Messina,

depositata in data 11.02.2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17.12.2010 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

FEDELI Massimo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

R.P.R. conveniva in giudizio l’INPS dinanzi al giudice del lavoro di Patti per ottenere la pensione di reversibilità quale figlia superstite del padre C., deceduto il (OMISSIS).

Rigettata la domanda e proposto appello dalla richiedente, la Corte di appello di Messina con sentenza depositata in data 11.2.09 accoglieva l’impugnazione e, accertato che ella era da considerare inabile a qualsiasi proficuo lavoro alla data del decesso del dante causa, dichiarava il diritto della R. a godere della reversibilità della pensione già goduta dal padre, condannando l’INPS al pagamento della prestazione dalla data della domanda amministrativa, oltre interessi e rivalutazione.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la R. denunziando violazione del D.Lgt.Lgs. 18 gennaio 1945, n. 39, rt. 5 nonchè carente motivazione, lamentando che la condanna alle prestazioni avrebbe dovuto decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso del dante causa.

Costituitosi con controricorso, l’INPS ha dedotto preliminarmente l’inammissibilità del ricorso perchè notificato dopo la scadenza del termine breve di impugnazione, e, nel merito, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.

Il consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., la quale è stata comunicata al Procuratore generale ed è stata notificata ai difensori costituiti. L’INPS ha depositato memoria.

Il ricorso è inammissibile.

L’attrice ha notificato all’INPS – rimasto contumace in grado di appello – presso la sua sede legale di Roma, in data 31.3.09, la sentenza di secondo grado in forma esecutiva.

Tale notificazione è idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione nei confronti sia del destinatario che del notificante. E’ giurisprudenza consolidata, infatti, che nell’ipotesi in cui il giudizio si sia svolto nella contumacia di una parte, la sentenza che lo conclude deve essere notificata alla parte personalmente ai sensi dell’art. 292 c.p.c., u.c., anche al fine della decorrenza del termine breve per impugnare di cui all’art. 325 c.p.c., e che tale prescrizione non può trovare deroga quando la notifica della sentenza sia avvenuta in forma esecutiva ai sensi dell’art. 479 c.p.c., non avendo rilevanza il fine processuale per il quale essa sia stata effettuata (Cass. 15.3.06 n. 5682 e 25.1.07 n. 1647).

Essendo stato il ricorso per cassazione avviato alla notifica il 4.2.10, il termine breve per l’impugnazione previsto dall’art. 325 era dunque decorso anche per la R., il cui ricorso deve essere pertanto ritenuto inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi ed in Euro 1.000/00 (mille/00) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2011

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