Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3878 del 18/02/2010

Cassazione civile sez. un., 18/02/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 18/02/2010), n.3878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PAPA Enrico – Presidente di sezione –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20789/2009 proposto da:

C.R. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, LARGO SOMALIA 30/C, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

VISCA, rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, CONSIGLIO

DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PATTI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 44/2009 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 04/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/01/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato C.R.;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decisione del ottobre 2007 il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Patti ha irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per quattro mesi all’avvocato C.R., ritenuto responsabile di “aver violato l’art. 5 del Codice Deontologico, per avere, più volte, agito in giudizio quale difensore della signora C. G. in forza di procure false, in quanto da questa mai rilasciate, così venendo meno ai doveri di probità, cui l’avvocato deve ispirare la propria condotta. In particolare, di aver agito e/o resistito in giudizio, quale difensore della signora C. G., in forza di procure false, nei seguenti procedimenti …”.

Su ricorso dell’avvocato C.R., con decisione del 4 giugno 2009 il Consiglio nazionale forense, in parziale accoglimento dell’impugnazione, ha ridotto da quattro a due mesi il periodo di sospensione.

Contro tale decisione l’avvocato C.R. ha proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Patti non ha svolto attività difensive nel giudizio di legittimità.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso l’avvocato C.R. si duole del mancato accoglimento della propria richiesta di sospensione del giudizio disciplinare fino alla definizione di quello penale relativo alla presunta falsificazione delle firme della sua cliente:

sostiene che erroneamente il Consiglio nazionale forense ha ritenuto l’art. 295 c.p.c., inapplicabile nel caso in cui l’azione penale, come nella specie, non sia stata ancora esercitata, ma sia tuttavia in corso lo svolgimento di indagini preliminari da parte del pubblico ministero.

La censura non può essere accolta, poichè investe soltanto una delle tre distinte e autonome rationes decidendi poste dal giudice a quo a fondamento del rigetto dell’istanza in questione: sul punto, oltre a osservare che “si è in presenza di notizie di reato e non già di un processo penale avviato”, il Consiglio nazionale forense ha altresì rilevato che “le notizie di reato sono dirette nei confronti di terze persone ed una sola a carico del ricorrente per fatti non attinenti al presente giudizio” e che “l’eventuale assoluzione in sede penale del ricorrente non potrebbe riverberarsi in quello disciplinare, nel quale, in ogni caso, la difesa dell’incolpato è diretta unicamente a chiedere clemenza e non già l’assoluzione”. Si tratta di argomenti ognuno di per sè sufficiente a giustificare la decisione, sicchè l’eventuale fondatezza delle critiche rivolte al primo non potrebbe comunque costituire idonea ragione di cassazione del provvedimento impugnato, il quale resterebbe validamente sorretto dagli altri due.

Con il secondo e il terzo motivo di ricorso l’avvocato C. R. lamenta di essere stato giudicato responsabile dei fatti addebitatigli, pur se aveva ammesso soltanto di aver “apposto qualche firma di procura per conto della propria assistita” e sostenuto che non erano false quelle indicate nel capo di incolpazione, di alcune delle quali aveva anzi documentato l’autenticità.

Le due doglianze possono essere esaminate congiuntamente, poichè per una stessa ragione vanno disattese: attengono a questioni non affrontate nella decisione impugnata, avendo il Consiglio nazionale forense rilevato che l’avvocato C.R. aveva chiesto “unicamente, con il ricorso, di valutare la sanzione disciplinare in relazione alla mancanza dello scopo di lucro e del consenso ricevuto dalla signora C.G. e soprattutto lo stato di costrizione psicologica, nonchè la condotta difensiva posta in essere dal medesimo”. Nè nel ricorso per cassazione sono state mosse contestazioni di sorta, circa l’esattezza di tale individuazione dei limiti della materia del contendere che era stata devoluta alla cognizione del Consiglio nazionale forense.

Il ricorso viene pertanto rigettato. Resta assorbita l’istanza presentata dall’avvocato C.R., diretta a ottenere la sospensione dell’esecuzione della decisione impugnata.

Non vi è da provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, nel quale l’intimato non ha svolto attività difensive.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2010

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