Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3868 del 15/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/02/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 15/02/2021), n.3868

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23852/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– ricorrente –

contro

C.A., (C.F. (OMISSIS)), quale erede di C.G.,

rappresentato e difeso dall’Avv. DONATO GRANDE, elettivamente

domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia, Sezione staccata di Catania, n. 325/05/2019, depositata il

22 gennaio 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 12 novembre 2020 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il contribuente C.G. ha chiesto l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza n. 1/17/16 della CTR di Catania depositata in data 5.01.2016, con il quale era stato riconosciuto il diritto del ricorrente al rimborso del 90% dell’IRPEF versata negli anni 1990, 1991, 1992 oltre interessi, quale effetto della declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Ragusa n. 524/04/11, che aveva riconosciuto l’importo di Euro 44.148,70 oltre interessi dalla domanda al soddisfo.

La CTR della Sicilia, Sezione staccata di Catania, con sentenza in data 22 gennaio 2019, ha accolto il ricorso, ritenendo che non possa farsi applicazione della decisione della Commissione Europea C (2015) 5549 del 14.08.2015, in quanto i redditi prodotti dal contribuente derivano dalla partecipazione alla impresa familiare di C.S., non costituenti attività economica. La CTR ha compensato le spese del giudizio.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a due motivi; si è costituito in giudizio con controricorso C.A. quale erede del contribuente, il quale propone a sua volta ricorso incidentale in relazione al capo relativo alle spese legali.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1 – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, della VI Direttiva n. 77/388/CEE come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia UE del 17 luglio 2008, C-132/06, dell’ordinanza della Sesta Sezione della Corte di Giustizia UE del 15 luglio 2015, C-82/14, degli artt, 107,108 TFUE, nonchè della Decisione della Commissione Europea C (2015) 5549 fina/ del 14 agosto 2015, nonchè per violazione del Regolamento (UE) n. 1407/2013 del 18 dicembre 2013 in relazione agli artt. 11 e 117 Cost., per avere ritenuto che i redditi da partecipazione possano essere oggetto di rimborso. Deduce il ricorrente che i soggetti che svolgono attività di impresa non possono godere di agevolazioni fiscali, stante la richiamata Decisione della Commissione Europea C (2015) 5549, in quanto agevolazioni costituenti aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno, nella parte in cui estendono le agevolazioni ai soggetti imprenditoriali. Rileva che, sotto questo specifico profilo, deve adottarsi il concetto di impresa Eurounitaria, nell’ambito della quale rientrerebbe anche il reddito di partecipazione nel caso di specie.

1.2 – Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, come modificato dal D.L. 20 giugno 2017, n. 91, art. 16-octies conv. dalla L. 3 agosto 2017, n. 123, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha tenuto conto della suddetta disposizione in tema di limitazione del rimborso dell’eccedenza dell’imposta versata a quanto previsto da tale disposizione (nei limiti del 50% sino a esaurimento delle risorse stanziate), deducendo l’applicazione dello ius superveniens costituito dal D.L. n. 91 del 2017, art. 16-octies.

1.3 – Con l’unico motivo di ricorso incidentale, si deduce violazione e falsa applicazione in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, art. 15, comma 2-septies (n. 546), nella parte in cui il giudice di appello ha fatto uso del principio della compensazione delle spese senza specificarne le ragioni.

2.1 – Va rigettata la preliminare eccezione di inammissibilità della questione dell’applicazione della Decisione della Commissione Europea C (2015) 5549, ritualmente proposta nel giudizio di appello.

2.2 – Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.

In tema di giudizio di ottemperanza dinanzi alle commissioni tributarie, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 il potere del giudice sul comando definitivo ‘n’evaso deve essere esercitato entro i confini invalicabili dell’oggetto della controversia definita con il giudicato, atteso che non possono essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire, ma solo enucleati e precisati gli obblighi scaturenti da essa, allo scopo di chiarirne il reale significato (Cass., Sez. VI, 20 luglio 2018, n. 19346; Cass., Sez. V, 29 luglio 2016, n. 15827).

Diversamente, possono essere dedotte questioni indotte da ius superveniens (Cass., Sez. U., 27 ottobre 2016, n. 21691), benchè quali motivi di impugnazione della sentenza di merito (nella specie, la sentenza della CTR che ha dichiarato inammissibile l’appello avverso la sentenza della CTP di Ragusa). In ogni caso, dalla sentenza prodotta dal controricorrente risulta che la causa di appello è stata discussa all’udienza dell’8.10.2015, quando la Decisione della Commissione Europea era già nota (notificata all’Italia in data 17 agosto 2015), per cui non ricorre l’ipotesi dello ius superveniens.

2.3 – Il primo motivo è, in ogni caso, infondato. La sentenza impugnata ha accertato – con statuizione non oggetto di specifica censura – che i redditi del de cuius provengono dalla sua partecipazione “quale collaboratore familiare all’impresa del figlio C.S. con la percezione di un reddito prodotto dal lavoro prestato e non dallo svolgimento di una attività economica, che è invece imputabile unicamente ad un soggetto giuridico diverso”. Nel qual caso, la sentenza non si è sottratta alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le quote di reddito spettanti ai collaboratori – che non siano contitolari dell’impresa familiare – costituiscono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa (Cass., Sez. V, 20 dicembre 2019, n. 34222; Cass., Sez. V, 6 febbraio 2019, n. 3454) e, pertanto, fuori dell’ambito di applicazione della suddetta Decisione della Commissione Europea.

3 – Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile, in quanto nella sentenza impugnata non vi è traccia della questione dedotta dal ricorrente. Secondo una costante giurisprudenza di questa Corte, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 32804; Cass., Sez. II, 24 gennaio 2019, n. 2038).

3.2 – Nè può prospettarsi (anche) in questo caso uno ius superveniens, essendo la disciplina invocata precedente sia alla decisione della causa, sia alla costituzione dell’Ufficio in sede di appello, in quanto successiva al 21 marzo 2018.

4 – Il ricorso incidentale è fondato.

Nel processo tributario, in virtù del rinvio contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, ai procedimenti instaurati dopo il 1 marzo 2006 si applica l’art. 92 c.p.c., comma 2, nella versione emendata dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), sicchè la compensazione delle spese richiede la concorrenza di “altri giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione”, che non possono essere desunti dal complesso della sentenza, pena la sua cassazione sul punto (Cass., Sez. VI, 9 novembre 2015, n. 22793). Nè il provvedimento di compensazione delle spese, motivato dalla particolarità della fattispecie, appare coerente con le ragioni poste a fondamento della decisione, ove incentrate sulla infondatezza del ricorso (Cass., Sez. VI, 11 novembre 2019, n. 29125), con conseguente illogicità e denunciabilità in cassazione (Cass., Sez. VI, 9 aprile 2019, n. 9977).

La sentenza impugnata, nella parte in cui ha richiamato genericamente la “particolarità della fattispecie” ai fini della compensazione delle spese, non si è attenuta a tali principi.

5 – Il ricorso principale va, pertanto, rigettato e quello incidentale accolto, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio alla CTR a quo, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2021

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