Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3862 del 16/02/2018
Civile Ord. Sez. L Num. 3862 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: LEO GIUSEPPINA
ORDINANZA
sul ricorso 29716-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.E. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
2294
LUCARELLI FIORETTA,
elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA ARENULA 21, presso lo studio dell’avvocato
VIVIANA CALLINI, rappresentata e difesa dall’avvocato
RAFFAELE DE GIROLAMO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
Data pubblicazione: 16/02/2018
avverso
la
sentenza
n.
8318/2010
della
CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/12/2010, R. G. N.
3775/2008.
RG. 29716/2011
RILEVATO
che, con sentenza n. 8318/2010, la Corte di Appello di Roma ha
confermato la pronunzia del Tribunale di Cassino, con la quale era
stata accolta la domanda di Lucarelli Fioretta volta ad ottenere
l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto, intercorso
tra Poste Italiane S.p.A. e la stessa Lucarelli dal 24/5/2002 al
“esigenze
tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario
conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricom prendendo un più
funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o
sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonché
all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre,
11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”, nonché
la prosecuzione giuridica del rapporto ed il diritto al risarcimento del
danno pari alle retribuzioni maturate e spettanti dalla messa in mora,
oltre accessori;
che avverso tale sentenza Poste Italiane S.p.A. ha proposto ricorso per
cassazione affidato a cinque motivi, chiedendo, con il quinto motivo,
comunque l’applicazione dell’art. 32 della legge n. 183/2010
medio
tempore sopravvenuta;
che la Lucarelli ha resistito con controricorso;
che il P.G. non ha formulato richieste;
che sono state depositate memorie da parte della Lucarelli
CONSIDERATO
che, con il ricorso, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1, commi 1 e 2, del D.Igs. n. 368/2001; 4, comma 2, del
D.Igs. n. 368/2001; 12 preleggi; 1362 e ss. c.c. e 1325 e ss. c.c. (in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte
territoriale erroneamente omesso di considerare il contenuto degli
accordi collettivi menzionati nel contratto individuale, dal quale si
29/6/2002, ai sensi dell’art. 1 del Digs n. 368/2001, per
evince che gli elementi di specificazione richiesti dal D.Igs. n. 368/2001
erano perfettamente sussistenti; 2) la omessa motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio (in riferimento all’art. 360,
primo comma, n. 5 c.p.c.) per avere la Corte territoriale omesso di
valutare l’ammissibilità e rilevanza del capitolo di prova n. 11 (che
viene riportato), diretto a dimostrare la particolare incidenza dei
processi di mobilità del personale anche sull’articolazione produttiva di
applicazione di parte ricorrente; 3) la violazione e falsa applicazione
244, 253 e 421, secondo comma, c.p.c. (in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 3, c.p.c.), assumendosi che la Corte territoriale
avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova non tenendo conto
del mutato quadro normativo di riferimento, alla stregua del quale il
datore di lavoro sarebbe ormai esonerato da ogni onere probatorio
circa le ragioni che avevano indotto le parti alla stipula di un contratto
a termine, essendo ciò limitato esclusivamente alle esigenze
legittimanti l’eventuale proroga dello stesso; e che, comunque, la
sussistenza delle esigenze organizzative poste a fondamento del
contratto a termine de quo era dimostrata attraverso il richiamo per
relationem al contenuto degli accordi aziendali indicati nella clausola
appositiva del termine; 4) la violazione ed erronea applicazione degli
artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219 1223, 2094, 2099, 2697 c.c. (in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), perché, a
differenza di quanto ritenuto dai giudici di secondo grado, le
retribuzioni potevano decorrere solo dal momento dell’effettiva ripresa
del servizio, e perché sull’aliunde perceptum era onere del lavoratore
di provare di non avere intrattenuto altri e successivi rapporti di lavoro
né di avere percepito somme a titolo retributivo; 5) la società
ricorrente chiede, poi, in caso di rigetto delle suindicate censure,
l’applicazione della sopravvenuta disciplina in tema di risarcimento
introdotta dall’art. 32 della legge n. 183/2010;
che il primo motivo è infondato perché, come più volte sottolineato da
questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., VI Sez. civ., ord. n. 9126/2016;
Cass., Sez. lav., n. 16702/2010), dagli accordi indicati nel contratto si
desume l’attivazione, nel periodo dagli stessi considerato e nell’ambito
degli artt. 4, comma 2, del D.Igs. n. 368/2001; 2697 c.c., 115, 116,
del processo di ristrutturazione in atto, di processi di mobilità
all’interno dell’azienda al fine di riequilibrare la distribuzione su tutto il
territorio nazionale; ma la persistenza, all’epoca dell’assunzione della
Lucarelli, della fase attuativa della procedura di mobilità di cui agli
accordi suindicati non è sufficiente ad integrare le ragioni giustificatrici
dell’apposizione del termine ai sensi del D.Igs. n. 368/2001 e cioè ad
individuare, in seno al contratto, le esigenze produttive che,
oggettivamente, avevano reso necessaria l’assunzione della lavoratrice
mansioni affidate: la Corte di Appello di Roma ha puntualmente fatto
applicazione di tali principi, ritenendo appunto indispensabile che le
ragioni dell’apposizione del termine dovessero essere rapportate alla
concreta situazione riferibile al singolo lavoratore e che l’onere della
prova incombesse sul datore di lavoro (cfr., tra le molte, Cass., Sez.
lav., nn. 6974/2013, 22716/2012, 2279/2010);
che il secondo motivo non coglie nel segno perché la Corte distrettuale
non ha accolto il gravame della società, a causa della mancanza di
prova in concreto delle specifiche esigenze relative all’ufficio di
destinazione, alle mansioni e alla qualifica della lavoratrice,
sottolineando, altresì, che la genericità ed ambiguità della clausola
riportata nel contratto si riflette necessariamente sull’onere probatorio,
in quanto le spiegazioni offerte dalla società in giudizio attengono
soltanto al contenuto degli accordi ed alla situazione generale
dell’azienda, senza specificare nulla in ordine alla posizione della
Lucarelli;
che il terzo motivo non può essere accolto, perché, stabilito che
l’onere della prova è a carico del datore di lavoro, è ius receptum che
la mancata ammissione di un mezzo istruttorio denunciabile in sede di
legittimità deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova
sulle quali il giudice di legittimità può esercitare il controllo della
decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (arg. ex
Cass. nn. 21486/2011, 17915/2010); nella specie i capitoli di prova
non sono stati ammessi stante la loro genericità, come sottolineato
dalla Corte territoriale, sicché la contestazione finisce per risolversi
nell’ambito della struttura di destinazione, con specifico riferimento alle
nella inammissibile prospettazione di una pretesa migliore e più
appagante considerazione dei dati acquisiti;
che quanto, infine, alla censura relativa alla mancata attivazione dei
poteri di ufficio in materia di prova da parte dei giudici di merito, deve
richiamarsi l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il mancato
esercizio dei poteri istruttori del giudice, anche in difetto di espressa
motivazione sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità se non si
traduce in un vizio di illogicità della sentenza (arg., pure, ex Cass. n.
che,
pertanto, le statuizioni concernenti l’illegittimità del termine
resistono alle censure proposte (restando assorbito il quarto motivo,
per quanto sii seguito si dirà);
che è, invece, fondato l’ultimo motivo relativo alla richiesta di
applicazione dello
ius superveniens,
atteso che, come da ultimo
chiarito da Cass., Sez. Un., n. 21691/2016, la censura ex art. 360,
primo comma, n. 3, c.p.c. può concernere anche la violazione di
disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata,
ove retroattive, e quindi applicabili al rapporto dedotto, atteso che non
si richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di
legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione
adottata all’ordinamento giuridico e che relativamente al capo della
sentenza, con il quale erano state regolate le conseguenze risarcitorie,
non si era formato alcun giudicato;
che, pertanto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto restando, all’evidenza assorbito il quarto motivo, che attiene, appunto,
alle conseguenze risarcitorie che i giudici di merito hanno fatto
discendere dalla dichiarazione di illegittimità del termine apposto al
contratto di cui si tratta -, con rinvio, anche per la determinazione
delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma, in
diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità
spettante alla lavoratrice ai sensi dell’art. 32 cit., per il periodo
compreso fra la scadenza del termine e la pronunzia del
provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del
rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461/2015), con interessi
e rivalutazione su detta indennità da calcolare a decorrere dalla data
21603/2013): vizio non ravvisabile nel caso de quo;
della pronunzia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola
appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr., tra le
altre, Cass. n. 3062/2016).
P.Q.M.
La Corte accoglie l’ultimo motivo; assorbito il precedente; rigetta gli
altri motivi. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo
anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella Adunanza camerale del 18 maggio 2017.
accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione,