Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3860 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. II, 17/02/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 17/02/2020), n.3860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1746/2016 proposto da:

COMPAGNIA MILANESE DI LOCALI E CULTURA SRL, elettivamente domiciliata

in ROMA, V. DEI GRACCHI 137, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMILIANO GIANGOLINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIACOMO CRESCI;

– ricorrente –

contro

F.G., L.B.S., F.M.,

F.C., FR.GI., rappresentati e difesi dall’avvocato VITTORIA

CURCIO;

– controricorrenti –

e contro

UBI LEASING SPA, INFI INDUSTRIALE FINANZIARIA SPA, BANCA CARIGE SPA,

DINO E GIOIELLA SRL, C.G., S.F.;

– intimati –

nonchè

sul ricorso proposto da:

F.G., L.B.S., F.M.,

F.C., FR.GI., rappresentati e difesi dall’avvocato VITTORIA

CURCIO;

– ricorrenti incidentali –

contro

COMPAGNIA MILANESE DI LOCALI E CULTURA SRL, UBI LEASING SPA, INFI

INDUSTRIALE FINANZIARIA SPA, BANCA CARIGE SPA, DINO E GIOIELLA SRL,

C.G., S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2425/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La COMPAGNIA MILANESE DI LOCALI E CULTURA SRL ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 2425/2015 della Corte d’appello di Milano, depositata il 9 giugno 2015.

Hanno resistito con controricorso F.G., L.B.S., F.M., F.C. e FR.GI.. Non hanno svolto attività difensive gli altri intimati UBI LEASING SPA, INFI INDUSTRIALE FINANZIARIA SPA, BANCA CARIGE SPA, DINO E GIOIELLA SRL, C.G. e S.F..

Con citazione del 19/20 novembre 2003, la COMPAGNIA MILANESE DI LOCALI E CULTURA SRL (all’epoca utilizzatrice in leasing di due unità immobiliari comprese nell’edificio condominiale di (OMISSIS), poi acquistate in proprietà il 14 gennaio 2013) convenne in giudizio i condomini F.G., L.B.S., F.M., F.C. e FR.GI., INFI INDUSTRIALE FINANZIARIA SPA, BANCA CARIGE SPA, DINO E GIOIELLA SRL, C.G. e S.F., nonchè la concedente SBS LEASING SPA (poi UBI LEASING SPA), perchè venisse accertato il diritto di proprietà pro quota dei locali sottotetto costituenti parte comune del fabbricato. Tali sottotetti risultavano, per quanto dedotto dall’attrice, occupati dai signori F. e L.B., eredi di L.A., giacchè trasformati in abitazione e frazionati. I convenuti domandarono in via riconvenzionale l’accertamento della proprietà esclusiva dei sottotetti loro spettante, per le rispettive quote di provenienza ereditaria.

L’adito Tribunale di Milano, con sentenza del 7 marzo 2007, respinse le domande della COMPAGNIA MILANESE DI LOCALI E CULTURA SRL, dichiarando i sottotetti enti non condominiali, e piuttosto rientranti nella proprietà esclusiva dapprima di Lo.Al. e poi dei suoi eredi.

Proposero appelli in via principale la COMPAGNIA MILANESE DI LOCALI E CULTURA SRL ed in via incidentale i convenuti F. e L.B.. Entrambe le impugnazioni vennero rigettate dalla Corte d’appello di Milano con sentenza del 9 giugno 2015, che considerò innanzitutto come il sottotetto di un edificio in condominio non fosse incluso, prima della riforma del 2012, nell’elenco delle parti comuni indicate dall’art. 1117 c.c.; quindi aggiunse che il contratto del 2 febbraio 1979, intercorso tra la Finara s.r.l. e l’originario unico proprietario L.A., non recasse elemento alcuno tale da far considerare i sottotetti parti comuni per volontà dei contraenti; inoltre, sottolinearono i giudici di secondo grado, i sottotetti neppure rientravano tra le “cose di proprietà comune” contemplate dal regolamento approvato dall’assemblea del 17 ottobre 1988. Circa la domanda riconvenzionale di accertamento pro quota dei rispettivi sottotetti nei rapporti tra i convenuti F. e L.B., la Corte d’appello reputò sussistente il “difetto di instaurazione del contraddittorio” fra tutti i partecipanti alla comunione, trattandosi di “azione di divisione ereditaria”.

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

I controricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Il primo motivo di ricorso della COMPAGNIA MILANESE DI LOCALI E CULTURA SRL denuncia la “insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia”, nonchè la violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione degli artt. 1117 e 2697 c.c., in relazione alla qualificazione del sottotetto quale parte comune già prima della riforma ex L. n. 220 del 2012.

Il secondo motivo di ricorso della COMPAGNIA MILANESE DI LOCALI E CULTURA SRL denuncia la “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione alla omessa considerazione di qui fatti incompatibili con l’esclusione della natura condominiale dei sottotetti”.

I due motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente, in quanto evidentemente connessi, e risultano fondati nei limiti di seguito precisati.

Sono innanzitutto inammissibili le deduzioni di “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia”. Nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti.

Neppure può ritenersi che il vizio di “omessa, insufficiente e/o contraddittoria” sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c., supponendo tale ipotesi che sia rinvenibile una “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, oppure una “motivazione apparente”, o ancora un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

Si controverte comunque di un sottotetto compreso nell’edificio di (OMISSIS). Tale bene non era effettivamente nominato in modo espresso nell’elenco esemplificativo contenuto nell’art. 1117 c.c., stando alla formulazione applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220.

Secondo, tuttavia, la consolidata interpretazione di questa Corte, che la sentenza impugnata ha del tutto trascurato, sono comunque oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (in tal senso, peraltro, testualmente integrato, con modifica, in parte qua, di natura interpretativa, proprio dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220) i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune (Cass. Sez. 6-2, 14/02/2018, n. 3627; Cass., Sez. 6 – 2, 10/03/2017, n. 6314; Cass. Sez. 2, 02/03/2017, n. 5335; Cass. Sez. 2, 23/11/2016, n. 23902; Cass. Sez. 2, 30/03/2016, n. 6143; Cass. Sez. 2, 20/06/2002, n. 8968; Cass. Sez. 2, 20/07/1999, n. 7764). Altrimenti, soltanto ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall’art. 1117 c.c., tra il sottotetto e la destinazione all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, giacchè lo stesso sottotetto assolve all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non ha dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento. La proprietà del sottotetto si determina, dunque, in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto: nel caso in esame, la Corte di Appello di Milano non ha compiuto alcun accertamento sulle funzioni e sulle caratteristiche strutturali del locale sottotetto, nè, al contrario, sulla destinazione pertinenziale dello stesso a servizio di appartamenti di proprietà esclusiva, erroneamente supponendo che la natura condominiale di tale bene dovesse negarsi soltanto perchè non stabilita convenzionalmente nel contratto del 2 febbraio 1979 o nel regolamento condominiale.

Ove dunque il sottotetto dell’edificio di (OMISSIS), risultasse destinato, per sue caratteristiche funzionali e strutturali, all’uso comune, occorrerà verificare il momento di costituzione del condominio, con riferimento all’atto con cui l’originario unico proprietario ne operò il frazionamento, alienando ad un terzo la prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione (che non è dato comprendere univocamente se fosse proprio il contratto tra L.A. e la Finara s.r.l. del 2 febbraio 1979). In presenza di un sottotetto posto in rapporto di accessorietà con l’intero edificio o parte di esso, e dunque di uso comune, e non invece destinato pertinenzialmente ad una determinata unità immobiliare di proprietà individuale, per escluderne la condominialità si dovrà accertare che il titolo costitutivo del condominio, ovvero il primo atto di trasferimento di una porzione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, recasse una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente al venditore o ad uno dei condomini la proprietà di detta parte, sì da escluderne gli altri (Cass. Sez. 2, 18/12/2014, n. 26766; Cass. Sez. 2, 19/11/2002, n. 16292). La circostanza che gli atti di vendita, come le correlate note di trascrizione, non contenessero espressa menzione del trasferimento della comproprietà dei sottotetti, se destinati all’uso comune, non è in alcun modo sufficiente a superare la presunzione posta dall’art. 1117 c.c., la quale, al contrario, comporta che all’atto stesso consegua l’alienazione, unitamente alla porzione esclusiva, della corrispondente quota di condominio su dette parti comuni. Stando, infatti, al consolidato orientamento di questa Corte, una volta accertata la sussistenza di una situazione di condominio di edifici, le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale estendono i loro effetti, secondo il principio “accessorium sequitur principale”, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria (Cass. Sez. 2, 06/03/2019, n. 6458; Cass. Sez. 6 – 2, 26/10/2011, n. 22361; Cass. Sez. 2, 27/04/1993, n. 4931).

Secondo uniforme interpretazione giurisprudenziale, spetta in ogni caso al condomino, che pretenda l’appartenenza esclusiva di un bene, quale appunto un sottotetto destinato all’uso comune, compreso tra quelli elencati espressamente o per relationem dall’art. 1117 c.c., dar prova della sua asserita proprietà esclusiva derivante da titolo contrario (non essendo determinanti, a tal fine, nè le risultanze del regolamento di condominio, nè l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino, nè i dati catastali); in difetto di tale prova, infatti, deve essere affermata l’appartenenza dei suddetti beni indistintamente a tutti i condomini.

Va infine ritenuto che non valga come ricorso incidentale il controricorso di F.G., L.B.S., F.M., F.C. e RO.GI., che pur reca nell’intestazione la dicitura “ricorso incidentale subordinato”, avendo l’atto comunque concluso soltanto nel senso di “respingere il ricorso proposto da Compagnia Milanese Locali e Cultura s.r.l.”.

Secondo, infatti, l’interpretazione di questa Corte, un controricorso ben può valere come ricorso incidentale, purchè, a tal fine, per il principio della strumentalità delle forme secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo – esso contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 c.p.c.,in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369, e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza impugnata da controparte, specificamente prevista dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. Sez. U. 07/12/2016, n. 25045; Cass. Sez. 1, 21/10/2005, n. 20454). Nè, del resto, il controricorso articola alcuna censura riferibile ad un motivo di ricorso, secondo le forme dell’art. 366 c.p.c., comma 1 e riconducibile ad alcuna delle categoria di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1. Per quanto concerne i capi della sentenza della Corte d’appello sui quali F.G., L.B.S., F.M., F.C. e FR.GI. non erano incorsi in una sostanziale soccombenza (il che è avvenuto con riguardo alle loro domande riconvenzionali, oggetto di appello incidentale espressamente rigettato), le questioni riproposte nel controricorso potranno essere sottoposte a nuovo esame nel giudizio di rinvio.

Il ricorso principale deve pertanto essere accolto, nei limiti indicati in motivazione, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, la quale terrà conto dei rilievi svolti e si uniformerà ai richiamati principi, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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