Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3859 del 14/02/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. lav., 14/02/2017, (ud. 16/11/2016, dep.14/02/2017),  n. 3859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9361-2014 proposto da:

DAC S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1,

presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO FERRARA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Q.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 412/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 02/10/2013 R.G.N. 416/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per inammissibilità o in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Q.A. proponeva appello avverso la sentenza n.201/13 con cui il Tribunale di Brescia respinse la sua domanda diretta alla declaratoria di illegittimità, per violazioni formali, per infondatezza degli addebiti e per sproporzione della sanzione, del licenziamento disciplinare irrogatogli il 17.5.11 dalla datrice di lavoro DAC S.P.A.; quest’ultima resisteva al gravame. Con sentenza depositata il 2.10.2013, la Corte d’appello di Brescia accoglieva l’impugnazione dichiarando l’illegittimità del licenziamento con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società DAC, affidato a due motivi. Resiste il Q. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.

1.-Con il primo motivo la società ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di contestazione tra le parti. Lamenta che la sentenza impugnata contiene una erronea ricostruzione del fatto storico decisivo (occultamento di beni aziendali nella vettura del Q.).

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., oltre che dell’art. 219 del c.c.n.l. commercio.

Lamenta che la sentenza impugnata annullò il licenziamento ritenendo che il fatto appariva di lievissima entità e dunque sproporzionato rispetto alla sanzione adottata, laddove la citata norma del c.c.n.l. prevedeva il licenziamento per giusta causa in caso di furto o appropriazione di beni aziendali.

3.- I motivi, che per la loro connessione giuridica possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili.

Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione, interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 1788/11, Cass. n. 7948/11, etc.) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deve allora rimarcarsi che “..Il nuovo testo del n. 5), art. 360 cod. proc. civ., introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881). Il ricorso non rispetta il dettato di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5 limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito, che ha peraltro analiticamente esaminato la merce rinvenuta nell’auto del Q., escludendone in massima parte la provenienza aziendale.

4.- Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA