Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3858 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 08/02/2022, (ud. 05/07/2021, dep. 08/02/2022), n.3858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 8748/2015 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dagli avv.ti prof.

A.Giovannini e V.Cioni elettivamente domiciliata in Roma via degli

Scipioni 268/a, presso lo studio dell’Avv. Cioni;

– ricorrente –

contro

Agenzia della Entrate;

– intimata –

Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 5000/2014 depositata il 26/09/201.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella

camera di consiglio del 5 luglio 2021.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La contribuente S.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 5000/6/14 dep. 26 settembre 2014.

La vicenda trae origine dalla notifica dell’avviso di accertamento (OMISSIS) per maggiori imposte a titolo di Irpef, Irap e Iva, oltre sanzioni, per l’anno 2005.

La parte opponeva l’atto innanzi alla CTP di Milano che respingeva il ricorso. Il successivo appello veniva parzialmente accolto limitatamente alla pretesa relativa all’IRAP.

La contribuente impugna la suindicata decisione deducendo cinque motivi.

Non ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso ed ha depositato atto di costituzione al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la mancata collocazione della relata di notifica sul frontespizio dell’atto notificato e non in calce allo stesso, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 43 e 60.

Con il secondo motivo, la ricorrente assume violazione della L. n. 890 del 1993, art. 14 e art. 137 c.p.c., in quanto l’Agenzia delle Entrate non poteva notificare autonomamente gli atti impositivi, ma mediante i messi notificatori, in quanto legittimati ad avvalersi eventualmente del servizio postale.

Entrambi i motivi, che possono essere trattati congiuntamente per connessione, sono infondati dal momento che la notifica è avvenuta a mezzo posta e quindi non a mezzo dell’ufficiale giudiziario, né l’Ufficio doveva necessariamente avvalersi della mediazione dei messi notificatori per fruire del servizio postale. Infatti, in base alla costante giurisprudenza della S.C. “In caso di notificazione a mezzo posta dell’atto impositivo

eseguita direttamente dall’Ufficio finanziario, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 14 si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, e non quelle di cui alla suddetta legge concernenti esclusivamente la notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 149 c.p.c., sicché non va redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo (..) stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., la quale opera per effetto dell’arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione”” (Sez. 5, 14/11/2019, n. 29642).

In ogni caso, in data 28 dicembre 2011, come la stessa parte dichiara, la stessa è venuta personalmente a conoscenza dell’atto impositivo, con effetto sanante di eventuali profili di irritualità della notifica e con effetto interruttivo dei termini di decadenza e di prescrizione.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sull’eccezione di nullità della notifica. La doglianza è da ritenere infondata dal momento che il giudice regionale, nell’esaminare le successive eccezioni sulla fondatezza della pretesa, ha implicitamente ritenute destituite di fondamento quelle relative all'(in)efficacia della notifica.

Con il quarto motivo, la contribuente si duole che il Giudice regionale abbia violato l’obbligo di motivazione in merito alla sua eccezione di carenza di motivazione dell’atto impositivo, limitandosi “laconicamente” ad affermare: “si ritiene che l’atto impugnato sia sufficientemente motivato in quanto ha portato a conoscenza della contribuente la pretesa tributaria ed ha permesso alla stessa di predisporre un’articolata difesa”.

Ora, la motivazione dell’avviso di accertamento si è rivelata oggettivamente tale da consentire alla destinataria di conoscere i termini della vicenda ed articolare appieno le sue difese, come avvenuto. Sicché il giudice regionale, constato ciò, non poteva che escludere la mancanza o l’insufficienza della motivazione dell’atto impositivo proprio in considerazione della completezza delle contestazioni che l’appellante era stata in condizione di muovere sulla fondatezza della pretesa.

Con il quinto motivo, relativo alla contestazione della residenza fiscale in Italia nell’anno in verifica, la contribuente ha dedotto che l’Ufficio non avesse provato la permanenza in Italia della ricorrente almeno per 184 giorno nell’anno 2005. Ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2. Ritenendo che tale circostanza fosse il solo presupposto legittimante la pretesa tributaria.

Invero, la stessa suindicata norma fa discendere la residenza in Italia ai fini delle imposte sui redditi, oltre che dalla permanenza per almeno 184 giorni, anche, in alternativa, dalla circostanza che il contribuente abbia nel territorio dello Stato la propria residenza, ovvero il domicilio ai sensi del codice civile e cioè che abbia in Italia il centro dei propri affari o dei propri interessi economici.

La parte ritiene, dunque, la mancata prova della durata di permanenza in Italia, come determinante per rendere illegittimo l’atto impositivo, evidenziando, a fondamento del proprio assunto, che “non vi è la minima menzione (nell’avviso di accertamento) relativamente al numero di giorni previsti dalla legge (come maggior parte del periodo d’imposta) in cui la contribuente avrebbe avuto domicilio in Italia”.

La contribuente non coglie che l’avviso di accertamento basa la pretesa non già sulla durata della permanenza in Italia della ricorrente, ma sull’ultima ipotesi prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2, cioè quella del domicilio, come centro degli interessi economici, sul suolo italiano. E tale circostanza non è contestata.

Va ricordato che i vari criteri, previsti dalla citata normativa, sono alternativi ed e’, perciò, sufficiente la sussistenza di uno solo di essi, perché si configuri la residenza fiscale nel Paese. (sul punto, Cass. 16/01/2015, n. 677)

Pertanto, non è ravvisabile alcuna violazione da parte del Giudice regionale dell’art. 2697 c.c., né del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2.

Il ricorso va, quindi, rigettato. Nulla va definito sulle spese non avendo svolto l’Agenzia delle Entrate alcuna attività defensionale.

Ricorrono i presupposti per il versamento del c.d. doppio contributo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato in misura pari a quella fissata per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

 

 

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