Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3856 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/02/2017, (ud. 26/10/2016, dep.14/02/2017),  n. 3856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12391-2014 proposto da:

FARMACIA F. DEI DOTTORI A. E F.F. & C.

S.N.C. C.F. (OMISSIS), in persona dei soci accomandatari e legali

rappresentanti F.A. e F.F., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso lo studio

dell’avvocato ALBERTO ANGELETTI, che lo, rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VITO VANNUCCI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G.;

– intimata –

Nonchè da:

M.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 109, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FONTANA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO RUSCONI,

giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

FARMACIA F. DEI DOTTORI A. E F.F. & C.

S.N.C. C.F. (OMISSIS), in persona dei soci accomandatari e legali

rappresentanti F.A. e F.F., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso lo studio

dell’avvocato ALBERTO ANGELETTI, che lo, rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VITO VANNUCCI, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 862/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 08/10/2013 R.G.N. 825/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per l’accoglimento di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Livorno del 22.4.2009 M.G., dipendente della FARMACIA F. dei dottori A. e F.F. snc (in prosieguo, per brevità: Farmacia F. snc) impugnava il licenziamento intimatole per ragioni organizzative in data 2.7.2008, deducendone la nullità D.Lgs. n. 198 del 2006, ex art. 35 – in quanto disposto nell’anno dalla celebrazione del matrimonio – e comunque la temporanea inefficacia in quanto intimato in costanza di malattia.

In via gradata, chiedeva dichiararsi la illegittimità del licenziamento per assenza del giustificato motivo, con condanna del datore di lavoro alla propria riassunzione ovvero al risarcimento del danno.

Agiva altresì per il risarcimento del danno asseritamente derivante dal demansionamento subito.

Il Giudice del Lavoro, con sentenza del 15.5 – 23.6.2011 (nr. 344/2011), dichiarava la nullità del licenziamento e condannava parte convenuta alla riammissione della ricorrente in servizio ed al pagamento della retribuzione globale di fatto maturata dal 12.7.2008, data di cessazione della malattia, alla riammissione in servizio, detratto il percepito aliunde.

Rigettava la domanda di risarcimento del danno da demansionamento.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 20.6-8.10.2013 (nr. 862/2013), in parziale accoglimento dell’appello principale della FARMACIA F. ed in parziale riforma della sentenza impugnata, ferma la nullità del licenziamento, dichiarava cessato il rapporto di lavoro per dimissioni della lavoratrice in data 6.10.2009; condannava il datore di lavoro al pagamento in favore della lavoratrice delle retribuzioni globali di fatto maturate dal 7 luglio 2008 al 6 ottobre 2009, detratto quanto percepito per i medesimi titoli dal datore di lavoro, oltre accessori. Rigettava l’appello incidentale proposto dalla M. avverso la statuizione di rigetto della domanda di risarcimento del danno da demansionamento.

La Corte territoriale rilevava che la nullità del licenziamento discendeva dalla sua intimazione nell’anno dalla celebrazione del matrimonio.

Tuttavia con comunicazione del 2.10.2009, successiva alla introduzione della lite, il datore di lavoro aveva invitato la dipendente a riprendere servizio, rendendosi disponibile a corrispondere le retribuzioni maturate medio tempore, seppure in via condizionata all’esito del giudizio in corso.

Tale offerta non costituiva atto di revoca del licenziamento ma piuttosto condotta prudenziale volta a limitare il danno da risarcire ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2.

A fronte di tale legittimo invito la lavoratrice – libera di accettarlo o meno con effetto sul solo ammontare del danno risarcibile – con lettera raccomandata del 6.10.2009 aveva manifestato la volontà di dimissioni, invocando la giusta causa prevista dal D.Lgs. n. 198 del 2006, art. 35, comma 7.

La cessazione del rapporto si era dunque verificata per dimissioni il 5.10.2009, data prevista nell’invito a riprendere servizio.

Dal danno da risarcire nel tempo intercorso tra il licenziamento e le dimissioni doveva essere detratto quanto già corrisposto dal datore di lavoro per retribuzioni maturate nello stesso periodo.

Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società FARMACIA F. snc, articolando due motivi.

Ha depositato controricorso M.G., che ha altresì proposto ricorso incidentale, articolato in quattro motivi, cui ha resistito la società FARMACIA F. con controricorso.

Le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la società datrice di lavoro ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione e falsa applicazione degll’art. 329 c.p.c., comma 2, artt. 342 e 343 c.p.c. e art. 2909 c.c..

Ha esposto che la sentenza di primo grado nell’emettere condanna al risarcimento del danno aveva disposto detrarsi dall’ammontare delle retribuzioni maturate il percepito aliunde, quale risultante dalla documentazione e dai conteggi prodotti dalla stessa lavoratrice (come da foglio di deduzioni allegato al verbale della udienza del 15.10.2009 e buste paga prodotte come documento 1).

La lavoratrice aveva proposto appello incidentale solo in relazione alla statuizione di rigetto della domanda di dequalificazione, prestando acquiescenza alla statuizione sulla quantificazione del danno; pertanto la Corte d’appello non avrebbe potuto limitare la detrazione dell’aliunde perceptum alle sole somme corrisposte dal datore di lavoro, così escludendo quelle percepite in ragione della diversa occupazione reperita, essendosi formato il giudicato interno sul capo di sentenza non impugnato.

2. Con il secondo motivo la società FARMACIA F. ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c..

Ha dedotto che l’aliunde perceptum avrebbe dovuto essere rilevato dal giudice anche di ufficio, essendo state ritualmente acquisite al processo le circostanze di fatto rilevanti.

1. Con il primo motivo di ricorso incidentale M.G. ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 437 c.p.c., per avere ammesso l’ingresso nel giudizio della domanda di limitazione alla data del 6.10.2009 dell’obbligo di pagare alla lavoratrice le retribuzioni, che era stata formulata dalla società datrice di lavoro solo nel grado di appello nonchè per avere accertato la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni alla data del 6.10.2009 in assenza della relativa domanda.

La ricorrente incidentale ha esposto che nel giudizio di primo grado la società datrice di lavoro non aveva introdotto alcuna eccezione fondata su assunte dimissioni; era stata lei stessa a chiedere in prima udienza di poter modificare la domanda per accertare la illegittimità dell’invito a riprendere servizio e la difesa della società si era anzi opposta alla richiesta.

Il giudice di primo grado senza pronunziare espressamente sulla ammissibilità della istanza aveva affermato in sentenza che l’invito a riprendere servizio non incideva sul quantum risarcibile in quanto, a tenore della L. n. 198 del 2006, art. 35, comma 7 esso era consentito solo a seguito dell’ordine giudiziale di riammissione in servizio.

Soltanto nell’atto di appello, in violazione dell’art. 437 c.p.c., la società, pur continuando ad eccepire la inammissibilità della domanda di accertamento della illegittimità dell’invito, chiedeva al giudice dell’appello di accertare che nulla era dovuto per retribuzioni maturate per il periodo successivo al 6.10.2009, data delle dimissioni della lavoratrice.

2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale la ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione del D.Lgs. n. 198 del 2006, art. 35, commi 6 e 7 per avere la Corte d’appello ritenuto che l’invito del datore di lavoro a riprendere servizio non richiedesse la preliminare sentenza dichiarativa della nullità del licenziamento.

La ricorrente incidentale ha lamentato che la Corte di merito non aveva affrontato la questione della particolarità delle dimissioni- rese condizionatamente alla validità dell’invito a riprendere servizio ed invocando la speciale disciplina dell’art. 35 – e neppure aveva riconosciuto il suo diritto alla indennità sostituiva del preavviso.

3. Con il terzo motivo del ricorso incidentale la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione degli artt. 1324, 1362 e 1366 c.c., in relazione alla interpretazione dell’atto negoziale di dimissioni della lavoratrice.

La ricorrente ha esposto che l’atto, secondo il suo tenore letterale, era condizionato alla eventuale e contestata validità dell’invito del datore di lavoro a riprendere servizio ed era stato reso ai sensi del D.Lgs. n. 386 del 2006, art. 35 per giusta causa. La volontà, ricavabile anche dalla condotta successiva della lavoratrice (verbale della prima udienza davanti al Tribunale e comparsa di costituzione in appello), era quella di avvalersi della disciplina di cui all’art. 35 citato, comma 7 e non di esercitare la generale facoltà di dimissioni ad nutum.

4. Con il quarto motivo la ricorrente incidentale ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, consistente nella mancata restitutio in integrum da parte del datore di lavoro sia sotto il profilo della posizione lavorativa che sotto quello economico.

La ricorrente ha esposto che l’invito a riprendere servizio non era stato accompagnato dal pagamento delle retribuzioni intermedie, poi avvenuto solo nel dicembre 2009, a distanza di due mesi dall’invito ed in misura parziale. Quanto alla posizione lavorativa, era stata offerta una posizione diversa da quella già occupata, perchè condizionata all’esito del giudizio, priva di regolarizzazione contributiva e strumentalmente preordinata a provocare le dimissioni della lavoratrice, come evidenziato nella comparsa di costituzione in appello.

Il fatto non esaminato – ovvero la mancata restituito in integrum – aveva rilievo decisivo nel giudizio di validità dell’invito a riprendere servizio e, dunque, sulla efficacia delle dimissioni, che a tale validità erano state espressamente condizionate.

In via preliminare deve procedersi all’esame dell’appello incidentale, in quanto relativo alla statuizione di cessazione per dimissioni del rapporto di lavoro alla data del 6.10.2009, avente carattere pregiudiziale rispetto alla quantificazione del danno.

Il primo motivo è infondato.

La pronunzia di limitazione del danno non è stata resa in violazione del divieto dei “nova” in appello; la sentenza di primo grado si era pronunziata anche sugli effetti dell’invito a riprendere servizio rivolto dal datore di lavoro alla lavoratrice, giudicandolo inefficace, sicchè ritualmente la società ha articolato un motivo d’appello sul punto.

Il giudice dell’appello neppure è incorso nel vizio di ultrapetizione.

La domanda introdotta dalla lavoratrice con il ricorso introduttivo, diretta, previa dichiarazione della nullità del licenziamento, alla condanna del datore di lavoro alla riammissione in servizio – ed al risarcimento del danno maturato medio tempore – contiene in sè, implicitamente ma inevitabilmente, la richiesta di accertamento della persistenza del rapporto di lavoro anche nell’epoca intercorrente dal licenziamento alla pronunzia giudiziale di reintegra.

Ciò in quanto per principio generale le condizioni di merito della azione vanno verificate al momento della decisione.

La giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto (Cassazione civile, sez. lav., 12/04/2010, n. 8643), in fattispecie di licenziamento invalido L. n. 300 del 1970, ex art. 18 che nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno derivante da licenziamento dichiarato illegittimo non è ravvisabile vizio di ultrapetizione nella limitazione della condanna al risarcimento compiuta dal giudice d’appello in base alla valorizzazione di un fatto incidente sulla permanenza dell’obbligo di risarcimento – (nella fattispecie l’invito del lavoratore a riprendere servizio a seguito della sentenza di reintegrazione resa nel primo grado) – giacchè la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 costituisce una pronuncia in futuro condizionata alla permanenza del rapporto (ed alla sua non riattivazione con la reintegra del lavoratore).

Analogo principio è estensibile alla condanna alla riammissione in servizio nelle ipotesi in cui medio tempore intervenga una autonoma causa di risoluzione del rapporto di lavoro.

Il giudice dell’appello ha pertanto correttamente valutato, ai fini della emissione dell’ordine di reintegra, il difetto della condizione della permanenza del rapporto di lavoro, poichè l’unica contestazione mossa dalla lavoratrice circa la volontà delle sue dimissioni riguardava il loro essere condizionate alla validità dell’invito del datore di lavoro a riprendere servizio.

2. Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, in quanto non conferente alla ratio decidendi.

Il giudice del merito, infatti, non ha applicato la disciplina della L. n. 198 del 2006, art. 35, comma 7 ma ha affermato che tale disciplina, riferibile all’invito del datore di lavoro successivo all’emissione dell’ordine di reintegra, non esclude, comunque, che il datore di lavoro possa invitare la lavoratrice a riprendere servizio anche prima della emissione dell’ordine di reintegra, in quest’ultimo caso non ai sensi dell’art. 35 citato ma ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2 ovvero allo scopo di limitare il proprio obbligo di risarcimento del danno.

La censura, dunque, non è pertinente rispetto alle statuizioni della sentenza.

3. Il terzo motivo è infondato.

Il recesso manifestato dalla lavoratrice con la comunicazione del 6.10.2009 veniva condizionato alla validità dell’invito a riprendere servizio, condizione del cui verificarsi ha dato atto la sentenza impugnata.

La qualificazione delle dimissioni operata dalla lavoratrice, come dimissioni ai sensi dell’art. 35, comma 7 non è invece rilevante ad escludere la volontà di recesso giacchè le dimissioni previste dalla norma citata non configurano un atto giuridico diverso da quello generale ma si connotano soltanto per il riconoscimento ex lege della esistenza della giusta causa (laddove non era oggetto del giudizio il pagamento della indennità sostituiva del preavviso di dimissioni).

4. Infondato è altresì il quarto motivo del ricorso incidentale.

Le circostanze di fatto di cui con il motivo si lamenta il mancato esame sono, l’una, già esaminata in sentenza, l’altra, priva del carattere della decisività:

La circostanza che l’invito a riprendere servizio fosse condizionato all’esito del giudizio in corso è stata esaminata in sentenza e ritenuta non incidere sulla validità dell’invito, con motivazione immune dal vizio di diritto dedotto con il terzo motivo

Il fatto che il pagamento delle retribuzioni fosse avvenuto soltanto nel dicembre 2009 ed in misura parziale – (ed in via satisfattiva dopo la sentenza di primo grado, nel settembre 2011) – non incideva sulla validità dell’invito a riprendere servizio; ciò che rilevava era piuttosto la effettività della volontà di ripristinare la funzionalità del rapporto di lavoro, fermo restando il credito risarcitorio della lavoratrice.

Le censure formulate con il ricorso incidentale vanno conclusivamente disattese.

Viene ora in esame il ricorso principale, con il quale si censura la quantificazione del danno compiuta dal giudice dell’appello, per la mancata detrazione dell’aliunde perceptum.

1. Il primo motivo è fondato.

La condanna al risarcimento del danno avrebbe potuto essere modificata in aumento dal giudice di appello solo in presenza di appello incidentale della lavoratrice sul relativo capo della sentenza di primo grado laddove nella fattispecie di causa l’appello incidentale non riguardava la quantificazione del danno derivato dal licenziamento ma il rigetto della diversa domanda risarcitoria fondata sul demansionamento (sul punto dei limiti della devoluzione, cfr. Cass. nr. 8643/2010 sopra citata).

La Corte d’appello ha dunque pronunziato oltre i limiti del devoluto giacchè, riformando la relativa statuizione del Tribunale in assenza di domanda d’appello, non ha detratto dal quantum del risarcimento liquidato l’aliunde perceptum derivato dal reperimento da parte della lavoratrice di altra occupazione.

L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale è assorbente rispetto al secondo motivo.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in accoglimento del primo motivo del ricorso principale e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, affinchè provveda a rideterminare il danno derivato alla lavoratrice dal licenziamento nullo tenendo conto del giudicato interno formatosi circa la detrazione dell’aliunde perceptum Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente grado.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei; ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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