Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3850 del 17/02/2011

Cassazione civile sez. III, 17/02/2011, (ud. 21/01/2011, dep. 17/02/2011), n.3850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 518-2009 proposto da:

S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LAVINIO 18, presso lo studio dell’avvocato D’AMBROSIO

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

L.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato DESIO VINCENZO con studio in 84091 Battipaglia (SA),

Via T. De Divitiis n. 6, giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

R.V., D.G.G., EQUITALIA ETR SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2217/2008 del TRIBUNALE di SALERNO, Terza

Sezione Civile, emessa il 04/09/2008, depositata il 17/09/2008 R.G.N.

5308/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2011 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Nel corso delle procedure esecutive immobiliari riunite nn. 326/95 e 342/95 r.g.e. del Tribunale di Salerno – nelle quali agiscono o intervengono quali creditori L.C., D.G. G., R.V. e l’Equitalia Etr spa – il debitore esecutato S.A. propone istanza di conversione, corredandola del versamento di Euro 26.000, precisando di avere già soddisfatto il credito del D.G. come da transazione del 20.9.02; peraltro, il giudice dell’esecuzione, con provvedimento del 20.12.05, notificato al debitore il 14.1.06, dichiara inammissibile l’istanza, qualificando insufficiente il quinto versato a corredo di questa.

1.2. Lo S. impugna, con ricorso in opposizione agli atti esecutivi dep. il 18.1.06, tale ordinanza ed in particolare contesta che, ai fini della determinazione del quinto, possano considerarsi anche gli accessori e le spese successivi al pignoramento e, quanto al credito del D.G., lamenta che esso sia stato computato per intero, nonostante l’intervenuta estinzione per transazione.

1.3. In particolare, quanto a questo secondo punto, il credito azionato dal D.G. si fondava su decreto ingiuntivo n. 1113/95 del Tribunale di Salerno, reso in data 27.3.95, ma opposto dallo S.; in pendenza del successivo giudizio di opposizione, le parti avevano peraltro raggiunto un accordo transattivo con scrittura privata del 20.5.98 (pag. 8 dell’impugnata sentenza), poi in data 20.9.02 depositato agli atti della procedura esecutiva.

1.4. Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 2217/08 del 17.9.08, ravvisa nella controversia almeno due domande, una prima di opposizione agli atti esecutivi e relativa all’estensione alle spese successive del credito del computo per la determinazione del quinto, nonchè una seconda di opposizione ad esecuzione relativa all’addotta estinzione per transazione di uno dei crediti per cui si procede; e, per quel che qui ancora interessa, accolta la prima domanda, rigetta la seconda, ritenendo onerato il debitore di addurre i fatti nel giudizio di merito in cui il titolo si era formato e non era ancora divenuto definitivo, o quanto meno di provare che non ne aveva avuto la possibilità.

2. Avverso tale sentenza, notificata il 7.11.08 e limitatamente alla parte in cui rigetta la sua domanda sulla determinazione del credito del D.G., propone ricorso per cassazione lo S., affidandosi ad un unico motivo; resiste con controricorso, notificato peraltro dopo il termine previsto dall’art. 370 c.p.c., il solo L.C.; depositata memoria dal L., alla pubblica udienza del 21.1.11 nessuno compare.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.1. S.A. censura la gravata sentenza per “violazione falsa applicazione di una norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 615 c.p.c.”, concludendo le sue doglianze con il seguente quesito: vero che il giudice dell’esecuzione può acquisire al processo esecutivo documentazione non controversa e che non abbisogna di ulteriori accertamenti di merito, potendo valutare quali effetti scaturiscano dai documenti allegati facendone applicazione al caso concreto, anche ai fini di tutela del debitore?.

3.2. Delle controparti il solo creditore L.C. propone controricorso, deducendo:

3.2.1. la necessità di dispiegare l’impugnazione del capo della sentenza qualificato di opposizione ad esecuzione mediante appello e non ricorso per cassazione;

3.2.2. di avere sempre agito con correttezza, rimettendosi al g.e.

per la determinazione del quinto dovuto per la conversione e mostrando interesse alla sollecita definizione del processo esecutivo.

4.1. In via preliminare, il controricorso di L.C. è tardivamente notificato: a tanto egli si induce mercoledì 28 gennaio 2009, nonostante i venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso principale (avutasi il 18 dicembre 2008) per il deposito di questo fossero scaduti mercoledì 7 gennaio 2009 ed i successivi venti giorni fossero maturati martedì 27 gennaio 2009.

4.2. Peraltro, le tesi del L. sono manifestamente infondate, visto che, al momento in cui la sentenza è stata emessa e cioè il 17.9.08, vigeva il regime di inappellabilità anche delle pronunce in tema di opposizione ad esecuzione, come introdotto nel testo dell’art. 616 c.p.c. dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14 in vigore dal 1.3.06 e senza alcuna disciplina transitoria: ed essendo tale ultima norma stata si abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 49, comma 2, ma soltanto – L n. 69 del 2009, ex art. 58 – con effetto per i giudizi pendenti in primo grado al momento dell’entrata in vigore di tale legge; ed inoltre perchè egli non prospetta alcun suo concreto interesse a contraddire alla questione residuata dopo la decisione ed in ragione delle concrete impugnative mosse avverso di essa, che si limita alla persistenza o all’entità della ragione creditoria vantata da D.G.G. contro il debitore S.A..

5. Quanto al ricorso principale, una volta ricordato che non è contestato che la transazione sia intervenuta in pendenza del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo azionato quale titolo e che quindi il preteso fatto estintivo sia anteriore al momento in cui il titolo esecutivo giudiziale sia – o possa essere – divenuto definitivo, si osserva che:

5.1. il quesito su cui esso si fonda – ancora necessario in virtù dell’art. 366-bis c.p.c., tuttora applicabile in ragione della normativa transitoria relativa alla sua abrogazione con effetto dal 4 luglio 2009 – è inammissibile per eccessiva genericità e per non conferenza con il tema della decisione; esso dovrebbe infatti articolarsi nella prospettazione di una regola di diritto potenzialmente idonea a regolare una serie indefinita di analoghe fattispecie future e va allora formulato, ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; in altri termini, il quesito di diritto di cui all’art. 366-bis c.p.c. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v. Cass. S.U. ord. 5 febbraio 2008 n. 2658, Cass. 25 marzo 2009 n. 7197 o Cass. ord. 8 novembre 2010 n. 22704);

5.2. del resto, il quesito pone interrogativi retorici e vaghi, comunque non pertinenti alla peculiarità del caso di specie, caratterizzata – e significativamente ignorata sotto questo specifico profilo – dalle modalità e dai tempi della deduzione di un fatto estintivo di un credito recato da un titolo esecutivo giudiziale non ancora definitivo: in ordine alla quale basti ricordare il consolidato insegnamento di questa Corte, per il quale il titolo esecutivo giudiziale non può essere rimesso in discussione dinanzi al giudice dell’esecuzione ed a quello dell’opposizione per fatti anteriori alla sua definitività, in virtù dell’intrinseca riserva di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto o sta avendo pieno sviluppo ed è stata od è tuttora in via di esame ex professo o comunque in via principale.

6. Il principio può dirsi al riguardo consolidato:

6.1. in sostanza, il debitore può fare valere fatti impeditivi o modificativi o estintivi del diritto azionato, che siano successivi alla formazione del titolo esecutivo giudiziale o alla conclusione del processo in cui esso si è formato e avrebbe potuto essere modificato: ma non anche quei fatti che, in quanto verificatisi in epoca precedente, avrebbero potuto essere dedotti nel giudizio di cognizione preordinato alla costituzione del titolo giudiziale (sul punto, v. per tutte: Cass. 25 maggio 2007, Cass. 19 dicembre 2006 n. 27159, Cass. 25 settembre 2000 n. 12664, Cass. 28 agosto 1999 n. 9061, Cass. 25 febbraio 1994 n. 1935) e salvo il solo caso dell’impossibilità incolpevole di farli constare ritualmente nel giudizio “di merito” (come puntualizza Cass. 31 maggio 2005 n. 11581); e, sul punto, è appena il caso di rilevare che la gravata sentenza evidenzia come neppure sia stato allegato – e tanto meno provato – dal debitore che il preteso fatto estintivo sia intervenuto in tempo tale da escluderne l’utile deducibilità nel processo di cognizione in cui il titolo esecutivo giudiziale è poi divenuto definitivo;

6.2. tanto si ricava, tradizionalmente, dall’applicazione dei principi della preclusione da giudicato (tra le tante, v. Cass. 28 gennaio 1988 n. 766, Cass. 22 novembre 1988 n. 6278, Cass. 28 agosto 1999 n. 9061, Cass. 30 novembre 2005 n. 26089) – in ipotesi di titolo esecutivo giudiziale definitivo – o -in ipotesi di titolo esecutivo giudiziale provvisorio -della litispendenza (Cass. 25 febbraio 1994 n. 1935); ma si desume anche dai rapporti tra processo di cognizione e processo esecutivo relativi alla stessa pretesa;

6.3. le cause di opposizione ad esecuzione hanno invero una sicura autonomia strutturale (in quanto incidenti cognitivi all’interno o in occasione di quello), ma non funzionale, rispetto al processo esecutivo, sicchè esse non possono avere finalità o scopo diversi dal processo cui accedono;

6.4. infatti, il processo esecutivo è teso a garantire in pratica ed in concreto al creditore consacrato nel titolo il bene della vita ivi descritto ed integra il complemento operativo indefettibile della tutela giurisdizionale in senso stretto o cognitiva, tendente ad affermare quale sia il diritto nel caso concreto ovvero al cd. ius dicere; insomma, esso è totalmente funzionale all’attuazione forzata del diritto come consacrato nel titolo esecutivo, in cui tutti i provvedimenti del giudice dell’esecuzione (e tutti gli atti delle parti e dei soggetti operanti sotto il suo controllo) tendono alla realizzazione coattiva di quanto vincolativamente per quel medesimo giudice statuito nel titolo (Corte cost. 12.11.02 n. 444);

6.5. l’immedesimazione funzionale delle due tutele, cognitiva ed esecutiva, è del resto ben chiara anche nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ormai in grado di orientare, come interprete autentica della normativa della Convenzione, a sua volta da qualificarsi interposta ai fini del giudizio di conformità della normativa interna a quella costituzionale, anche l’interpretazione concreta che gli interpreti sono chiamati a dare del diritto nazionale: la detta Corte infatti riconosce la “continuità funzionale” tra cognizione ed esecuzione, per esaltare il necessario livello di effettiva tutela dei diritti e quindi di efficienza del sistema non soltanto con riguardo alla tutela cognitiva e quindi degli strumenti di formazione dei titoli esecutivi giudiziali, ma pure ai mezzi di concreta attuazione di questi ultimi, anche contro la volontà del soggetto obbligato: la Corte ha sottolineato, sia pure al fine di verificarne la durata nell’ambito della durata ragionevole del giusto processo, che l’esecuzione è la seconda fase della procedura di merito e che il diritto rivendicato non trova la sua realizzazione effettiva che al momento dell’esecuzione (v. sentenza 27.11.08 in causa n. 30922/05, Stadnyuk e/ Ucraina, 21; sentenza 12.3.09, sez. 5, in causa n. 39874/05, Voskoboynyk e/ Ucraina), o perfino che si tratta di due fasi del “corso totale dei procedimenti” (Corte Eur. Dir. Uomo, sez. 5, sent.

29.3.07, in causa n. 18368/03, Pobegaylo e/ Ucraina; in causa Estima Jorge e/ Portogallo, sent. 21.4.98, Repertorio di Sentenze e Decisioni 1998-11, 35; in causa Sika e/ Slovacchia, sent. 13.6.06 in causa n. 2132/02, 24-27);

6.6. tale continuità funzionale del processo esecutivo rispetto a quello di cognizione si estrinseca in una tendenziale subordinazione del primo al secondo, resa evidente dalla necessità che a base di quello sia sempre ed indefettibilmente, per tutta la sua durata, un titolo, che ne fonda la legittimità, accertando in modo vincolante l’esistenza del diritto del creditore di agire in via esecutiva, ma al contempo ne delimita in modo insuperabile l’ambito;

6.7. va solo rilevato che, per imponenti esigenze pratiche, il carattere complementare della tutela giurisdizionale di esecuzione rispetto a quella di cognizione può comportare, a determinate condizioni e con riferimento a determinate categorie di titoli, che la prima preceda – quasi anticipandola o prevenendola, ove le parti del rapporto consacrato nel titolo si acquietino al suo contenuto ed alla sua attivazione – oppure al contrario segua l’altra, dando così luogo ai titoli esecutivi stragiudiziali ed a quelli giudiziali: con il titolo esecutivo giudiziale la tutela giurisdizionale di cognizione è già stata dispiegata (e si è esaurita, se il titolo è divenuto definitivo, oppure è ancora suscettibile di estrinsecazione, se il titolo non è ancora definitivo), mentre con quello stragiudiziale essa è di norma ancora solo eventuale;

6.8. da tanto deriva che la diversa tipologia dei titoli, giudiziale o stragiudiziale, determina l’ambito e la sede delle contestazioni ai fatti accertati da quelli: restando siffatte contestazioni ancora possibili soltanto nell’ipotesi in cui non vi sia o non vi sia stato già un processo di cognizione a ciò istituzionalmente deputato;

6.9. di conseguenza, mentre per un titolo esecutivo stragiudiziale la sede cognitiva – ed anche o spesso la prima sede cognitiva utile, a ben vedere – può adeguatamente individuarsi proprio nell’opposizione all’esecuzione intentata sulla base di quello, per un titolo esecutivo giudiziale tale sede c’è o c’era già istituzionalmente, visto che in quella il titolo è stato formato: in tale seconda ipotesi, allora, la vista continuità funzionale tra i due processi e la genesi del titolo nel primo di quelli impongono una rigorosa scansione delle corrispondenti fasi in cui la tutela giurisdizionale è attuata e quindi una rigida separazione degli ambiti e degli oggetti di quelli e, quanto al processo esecutivo, anche delle cosiddette parentesi cognitive in cui si risolvono gli incidenti oppositivi;

6.10. pertanto, in ipotesi di titolo esecutivo giudiziale, è assolutamente irretrattabile nel processo esecutivo e nei connessi incidenti oppositivi qualsiasi accertamento che sia istituzionalmente riservato al processo di cognizione in cui il titolo si è formato, in quanto idoneo ad essere valutato in un provvedimento suscettibile di acquistare l’autorità di cosa giudicata e di essere coperto e precluso dalla relativa forza: vi può essere una ed una sola sede di cognizione in cui fare valere una questione e questa è già in corso o si è già conclusa;

6.11. tanto comporta che anche nelle cosiddette parentesi cognitive del processo esecutivo e cioè nelle cause di opposizione ad esecuzione in ipotesi – si ripete – di titoli esecutivi di formazione giudiziale non possono giammai dedursi motivi analoghi o identici a quelli dedotti o astrattamente deducibili nello stesso processo che ha dato luogo al provvedimento giudiziale su cui si fonda l’esecuzione (salvo il caso – che però con tutta evidenza qui non ricorre – di vizi del provvedimento che ne inficino la giuridica esistenza, come in ipotesi di sentenza mai pubblicata – Cass. 9/77 – o priva di sottoscrizione del giudice – Cass. 6483/86 – o resa nei confronti di un soggetto deceduto prima della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio – Cass. 12292/01);

6.12. in caso di titolo giudiziale, quindi, con l’opposizione all’esecuzione è possibile fare valere unicamente fatti, che integrino una causa estintiva o impeditiva del diritto (ad es., il pagamento anche parziale, la novazione del debito, la sua remissione, la compensazione, l’avvenuta prescrizione, la transazione: Cass. 27159/06, Cass. 26089/05, Cass. 17866/05, Cass. 27160/06), purchè però siano successivi al momento in cui si è formato il giudicato sostanziale sul provvedimento che costituisce il titolo posto alla base dell’esecuzione (o, a tutto concedere, al momento in cui essi potevano essere utilmente dedotti nel processo in cui il provvedimento doveva divenire definitivo);

6.13. può così ribadirsi che, qualora a base di una qualunque azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell’esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo, diretto cioè ad invalidarne l’efficacia in base ad eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo controllare soltanto la persistenza della validità di quest’ultimo e quindi attribuire rilevanza solamente a fatti posteriori alla sua formazione o, se successiva, al conseguimento della definitività (salvo il caso dell’incolpevole impossibilità, per il debitore, di farli valere in quella unica competente sede).

7. Il ricorso va quindi rigettato; quanto alle spese del giudizio di legittimità, essendo infondata ogni argomentazione della sola controparte che ha in questa sede svolto attività, sussistono giusti motivi di integrale compensazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 21 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2011

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