Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3849 del 07/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 07/02/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 07/02/2022), n.3849

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32802/2018 R.G. proposto da:

C.P. e R.E., res. in (OMISSIS), rappresentati e

difesi in giudizio dagli avv.ti Alberto Marcheselli di Genova e

Marina Milli di Roma, ivi el. dom.ti in P.le Clodio 8, come da

procura in atti;

– parte ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura Generale dello

Stato presso la quale è ex lege domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– parte controricorrente –

avverso sentenza Commissione Tributaria Regionale del Veneto n.

378/2/18 del 5/4/2018;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19 gennaio

2022 dal Consigliere Giacomo Maria Stalla.

 

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. C.P. ed R.E. propongono quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo (salvo che in punto numero dei vani, come già stabilito dal primo giudice) l’avviso di accertamento catastale loro notificato dalla Agenzia delle Entrate relativamente ad una unità immobiliare in comproprietà, sita in (OMISSIS) (fg. (OMISSIS), part. (OMISSIS), sub. (OMISSIS)).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:

l’avviso di accertamento opposto, recante inserimento in categoria A/2, scaturiva da denuncia Docfa di variazione per diversa distribuzione presentata dai comproprietari nel 2015 e recante proposta di categoria da C/1 a C/2;

il primo giudice, pur in difetto di unificazione catastale, aveva ritenuto corretta la categoria assegnata dall’ufficio (A/2) perché l’unità immobiliare in questione era costituita da vani che andavano considerati “accessori all’abitazione principale poiché interconnessi con quest’ultima e non autonomi ed indipendenti”, sicché l’unità immobiliare medesima “per i lavori eseguiti costituisce un’unica abitazione con l’immobile vicino, per cui va fusa con la stessa” (così la sentenza Commissione Tributaria Provinciale);

l’avviso era sufficientemente motivato, anche perché emesso all’esito di procedura partecipata Docfa e, inoltre, dopo sopralluogo attestato da verbale sottoscritto dalle parti;

secondo quanto argomentato nell’atto di appello, “potrebbe forse dubitarsi che l’unità immobiliare in questione possa definirsi fusa con quella adiacente, tenuto conto del differente numero civico, dei differenti infissi, della discontinuità strutturale degli immobili e della chiusura del collegamento interno, nonché del vincolo di interesse storico ed artistico, ma sul punto non vi è piena prova dell’effettiva impossibilità della fusione e della smontabilità dell’immobile stesso”.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4, – nullità della sentenza per motivazione illogica, contraddittoria e sostanzialmente mancante, dal momento che la Commissione Tributaria Regionale aveva accolto la tesi dell’agenzia delle entrate pur dopo aver dubitato della sua fondatezza quanto ad effettiva possibilità di fusione dei vani accessori con l’abitazione principale.

p. 2.2 Il motivo è infondato.

Va premesso che, in occasione della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (applicabile anche in materia tributaria) e della disamina dei residui margini di rilevanza in sede di legittimità del vizio motivazionale, le SU di questa Corte hanno avuto modo di chiarire (sent. n. 8053/14) che: “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (così, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. n. 2498/15 ed altre numerosissime).

Orbene, nella specie non è dato riscontrare alcuno dei vizi così ritenuti ancora residualmente rilevanti (con valutazione ispirata al “minimo costituzionale” della motivazione), posto che la Commissione Tributaria Regionale ha dato conto:

– dell’adeguatezza motivazionale dell’avviso di accertamento in quanto rinveniente da procedura partecipata Docfa e da contraddittorio preventivo in sede di sopralluogo, come da verbale controfirmato dalle parti;

– del recepimento di quanto già ritenuto dal giudice di primo grado, il quale aveva dato “pieno credito alla memoria dell’agenzia del territorio ed alla sua documentazione fotografica”, dalla quale si evinceva la descrizione dei lavori eseguiti nell’unità immobiliare in questione e la sua accessorietà all’immobile abitativo collegato, già censito in categoria A/2;

– della ritenuta inidoneità delle argomentazioni svolte in appello dai contribuenti a smentire la ricostruzione dei luoghi ed il compendio probatorio così vagliato dal primo giudice.

Lungi dall’apparire omessa, intrinsecamente contraddittoria, incomprensibile ovvero perplessa, la motivazione del giudice di appello è univocamente riferibile alla conferma dell’accertamento già svolto dal primo giudice, sul presupposto che i dubbi ingenerati nel motivo di appello non erano comunque tali da ritenere superata la tesi dell’agenzia delle entrate in ordine alla unitaria destinazione (abitativa) dell’immobile. In tal senso va evidentemente letta l’affermazione secondo cui le argomentazioni dell’appello miravano ad indurre dei dubbi sulla possibilità effettiva di fusione tra le unità immobiliari interessate e tuttavia, secondo quanto esplicitato dalla commissione regionale, questi dubbi non potevano assurgere a “piena prova della effettiva impossibilità di fusione e della smontabilità dell’immobile stesso”.

Il ragionamento appare dunque logicamente ricostruibile nel senso che:

– come già ritenuto dal primo giudice, l’amministrazione finanziaria aveva fornito prova tecnica (come riportato nella motivazione dell’avviso) della accorpabilità ed unitaria destinazione abitativa delle unità immobiliari in questione;

– gli appellanti, pur ingenerando dei dubbi in proposito, non avevano fornito elementi tali da superare la conclusività probatoria così invece conseguita, in senso opposto, dall’Agenzia delle Entrate.

Ciò basta, sulla base degli indicati i principi generali, ad escludere che si verta di sentenza nulla per inesistenza sostanziale della motivazione.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta subordinatamente – ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, – violazione e falsa applicazione delle norme sulla motivazione degli avvisi di accertamento; per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto legittimo l’avviso in questione solo perché ritenuto adeguatamente motivato, ma in realtà infondato proprio per difetto di prova della possibilità di unificazione degli immobili.

p. 3.2 Il motivo è infondato, dal momento che – per le già indicate ragioni la Commissione Tributaria Regionale non si è affatto limitata ad affrontare il tema della adeguata motivazione dell’avviso di accertamento, giungendo piuttosto anche ad affermarne la fondatezza (non l’infondatezza, come vorrebbero i ricorrenti) sul presupposto della ritenuta dimostrata destinazione abitativa di quella stessa unità immobiliare che i contribuenti proponevano di classificare in categoria C/2.

La indebita sovrapposizione di piani (tra “motivazione” e “prova” della pretesa di riclassificazione catastale contenuta nell’avviso opposto) è dunque insita proprio nella doglianza in esame, non già nella sentenza; il cui convincimento di fondatezza di questa pretesa va oltre l’affermata adeguatezza motivazionale, per attingere senz’altro al merito della classificazione appunto ricondotta alla comprovata (e non adeguatamente smentita) continuità abitativa dell’immobile in questione rispetto ad altro limitrofo, già inserito in categoria A/2.

p. 4.1 Con il terzo motivo ed il quarto motivo di ricorso, anch’essi di natura dichiaratamente subordinata, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Per avere la Commissione Tributaria Regionale deciso la causa ponendo l’onere della prova della impossibilità di unificare gli immobili a carico di essi correnti, non già dell’agenzia delle entrate sulla quale questo onere gravava per legge; facendo altresì, in questo modo, malgoverno della disciplina della prova contraria, dal momento che essi ricorrenti avevano assolto quest’ultimo onere di prova contraria proprio ingenerando il dubbio, così recepito dalla commissione regionale, della effettiva possibilità di fusione immobiliare.

p. 4.2 Questi due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria in quanto entrambi involgenti il tema dell’onere probatorio, sono parimenti destituiti di fondamento.

Come detto, la commissione tributaria regionale (e già così il primo giudice la cui statuizione è stata confermata in appello) ha ritenuto che l’agenzia delle entrate avesse soddisfatto l’onere probatorio posto a suo carico, e ciò mediante l’accertamento tecnico rinveniente dal sopralluogo e trasfuso nell’avviso.

Accertamento tecnico dal quale si evinceva – come indicato in sentenza e, del resto, riferito dagli stessi ricorrenti – che l’unità oggetto di sopralluogo era stata interamente ristrutturata ricavandosene un nuovo servizio igienico ed un locale lavanderia; si osservava inoltre che: “i due locali principali sono ben illuminati, le finiture sono di buon livello, l’impiantistica è a norma ed è presente l’impianto antifurto. Inoltre è stato realizzato un soppalco con struttura in ferro e legno che sostiene armadiature anch’esse in legno. L’unità immobiliare urbana è direttamente collegata all’unita a destinazione abitativa che si sviluppa sul limitrofo mappale n. 36. Si ritiene pertanto parte integrante della stessa (…). Pertanto si ritiene di attribuire all’unità immobiliare urbana in esame la stessa destinazione e categoria dell’immobile cui è collegata”.

Il recepimento in sentenza di questo accertamento equivale a convincimento di effettiva dimostrazione, da parte dell’agenzia delle entrate, dai presupposti in fatto e diritto della rettificata classificazione in categoria A/2; effettiva dimostrazione che il giudice di merito (con valutazione evidentemente insindacabile in questa sede di legittimità) ha ritenuto non inficiata dai dubbi pur avanzati nelle argomentazioni degli appellanti.

Va dunque escluso che la Commissione Tributaria Regionale:

– abbia posto l’onere della prova a carico dei contribuenti (terzo motivo di ricorso);

– pur avendo correttamente posto l’onere della prova a carico dell’agenzia delle entrate, abbia poi travisato la prova contraria offerta dagli appellanti, vertendosi in proposito non già di sovvertimento dei principi sulla prova contraria, quanto soltanto di diversa delibazione del quadro istruttorio complessivo (quarto motivo).

Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso, con condanna dei ricorrenti, tra loro in solido, alla rifusione delle spese di lite liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti, tra loro in solido, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, riunitasi con modalità da remoto, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022

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