Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3848 del 18/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3848 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 20176/2012 proposto da:
VERUCCI OLIVIERO (C.F.: VRC LVR 28E16 I217J) e CECCONI LILIANA (C.F.: CCN
LLN 29L69 H319R), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
dagli Avv.ti prof. Francesco P. Luiso e Bruno Sassani ed elettivamente domiciliati presso
lo studio del secondo, in Roma, via XX Settembre, n. 3;

– ricorrente —
/1

contro
CECCONI ROSA ANNA (C.F.: CCC RNN 36C70 H319U), rappresentata e difesa, in virtù
di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Paolo Barabino e Lucilla Botti
ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Paolo Accardo, in Roma,’ vi G.
Bazzoni, n. 3;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 864 del 2011 della Corte di appello di Firenze,
depositata il 14 giugno 2011 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2014

dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato; .
1

Data pubblicazione: 18/02/2014

sentito il prof. avv. Bruno Sassani per i ricorrenti,.
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 12 aprile 2013, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto di citazione, notificato il 3 giugno 2003, la sig. ra Cecconi Rosa Anna conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Livorno, i sigg. Verucci Oliviero e Cecconi Liliana, nonché il loro figlio Mauro rurale posto in Castellina M.ma, ricevuto, in parte, per successione del padre Pietro, ed in parte, per la cessione delle quote, spettanti alle sorelle. L'attrice chiedeva, pertanto, che, previo accertamento della sua esclusiva e piena proprietà sull'intero fabbricato, i convenuti fossero condannati a rilasciare lo stabile, da essi occupato, nella piena disponibilità della medesima. Si costituivano Mauro Verucci, Olivier° Verucci e Liliana Cecconi; quest'ultimi due proponevano, altresì, domanda riconvenzionale, volta ad accertare l'avvenuto acquisto per usucapione, a loro favore, della porzione di immobile, originariamente adibito a stalla, e da essi trasformata in abitazione. Il Tribunale di Livorno, con sentenza del 23 novembre 2006, accoglieva la domanda riconvenzionale, dichiarando, per l'effetto, che Liliana Cecconi ed Olivier° Verucci avevano usucapito la piena proprietà della porzione di immobile controversa. Interposto appello da parte dell'originaria attrice e nella regolare costituzione dei convenuti, la Corte d'Appello di Firenze, con sentenza n. 864/11, depositata il 3 giugno 2011 e non notificata, in totale riforma della sentenza di prime cure, rigettava la domanda riconvenzionale degli appellati, e li condannava all'immediata restituzione, in favore dell'appellante, della porzione di fabbricato in contestazione, compensando, tra le parti, le spese di entrambi i gradi. Oliviero Verucci e Liliana Cecconi hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 19 luglio 2012 e depositato il 24 settembre 2012, sulla base di un unico motivo. 2 Verucci, proponendo domanda di rivendicazione nei loro confronti circa un fabbricato L'intimata ha resistito con controricorso. Ritiene il relatore, che avuto riguardo all'art. 380 bis c.p.c. in relazione all'art. 375 n. 5, c.p.c., sussistono le condizioni per pervenire al rigetto del ricorso per sua manifesta infondatezza e, quindi, per la sua conseguente definizione nelle forme del procedimento camerale. applicazione dell'art. 1141, co. 1, c.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., assumendo che la Corte di appello toscano aveva erroneamente ritenuta pacifica la concessione del bene controverso in comodato e per aver fatto decorrere la materiale disponibilità del bene dal momento in cui fu in esso trasferita la residenza di essi ricorrenti. Tale doglianza appare, ad avviso del relatore, destituita palesemente di fondamento. Infatti, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il presupposto per l'operare della presunzione di cui all'art. 1141 c.c., è che la relazione con il bene consegua ad un atto volontario di apprensione (cfr. Cass. n. 5551 del 2005, secondo cui "la presunzione di possesso utile "ad usucapionem" di cui all'art. 1141 c.c. non opera quando la relazione con la cosa consegua non ad un atto volontario d'apprensione, ma ad un atto o ad un fatto del proprietario - possessore, poiché l'attività del soggetto che dispone della cosa (configurabile come semplice detenzione o precario) non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. In tal caso la detenzione non qualificata di un bene immobile può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo ad escludere che il persistente godimento sia fondato sul consenso, sia pure implicito, del proprietario concedente"; in senso conforme cfr., altresì, Cass. n. 18360 del 2004, e, da ultimo, Cass., ord. n. 14593 del 2011). Orbene, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale con motivazione logica ed adeguata, nella fattispecie in esame, ricorreva l'ipotesi di un rapporto nato per un atto 3 Con l'unico motivo formulato i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa volontario de/legittimo proprietario-possessore (la consegna del godimento del bene dalla sig.ra Rosa Anna alla sorella Liliana e al sig. Oliviero Verucci) e ciò è stato correttamente ritenuto, dalla stessa Corte di merito, sufficiente per escludere l'applicabilità dell'articolo in questione. D'altronde, è pacifico che costituisca onere di chi vuol far valere gli effetti del possesso ad manifestino inequivocabilmente — nei confronti del possessore - che sia intervenuto nella sfera soggettiva del detentore il mutamento del suo animus, non essendo sufficiente la mera prova dell'uso che egli faccia della cosa. Anche sotto questo profilo, si prospetta del tutto congruo il ragionamento logico espresso dalla Corte fiorentina, dal momento che i coniugi Verucci non hanno adempiuto al predetto onere incombente a loro carico. Per quanto ivi esposto, sembra piuttosto che, alla fattispecie in esame, avendo essa avuto inizio con il consenso della proprietaria, si applichi la disciplina contemplata dall'art. 1144 c.c., secondo cui "gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire all'acquisto del possesso". Non contrasta con tale disciplina la lunga durata dell'occupazione, in quanto "gli atti di tolleranza che secondo l'ad. 1144 c.c. possono servire di fondamento all'acquisto del possesso, traendo origine da rapporti di amicizia, di familiarità e di buon vicinato, mentre a priori ingenerano e giustificano la "permissio", conducono per converso ad escludere nella valutazione a posteriori la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone. La lunga durata dell'attività medesima può integrare elemento presuntivo nel senso dell'esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si veda in tema di rapporti non di parentela, ma di buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sè labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di quella tolleranza per un lungo arco di tempo" (cfr., ad es., Cass. n. 1042 del 1998). 4 usucapionem, dimostrare l'interversione della detenzione in possesso, mediante atti che Dunque, la Corte territoriale non è incorsa in alcuna violazione di norme di diritto, avendo correttamente escluso l'applicabilità dell'art. 1141, co. 1, c.c., e, quindi, rilevato esattamente che, solo se fosse stata comprovata la c.d. interversio possessionis, dal momento di tale mutamento sarebbe potuto decorrere il termine ventennale utile per l'acquisto del diritto reale a titolo di usucapione (nella ricorrenza, peraltro, di tutti i In ogni caso, la censura dei ricorrenti sembra rivelarsi come una richiesta di riesame del merito della controversia, non ammessa in sede di legittimità (avendo, peraltro, la Corte di merito adottato al riguardo una motivazione esauriente ed ispirata a principi di logicità, in modo conforme alle regole di diritto concretamente applicabili al caso di specie), tramite una nuova valutazione degli elementi probatori che porterebbe a ricostruire la loro relazione di fatto col bene, in termini di signoria esclusiva. In definitiva, quindi, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., ravvisandosi la manifesta infondatezza dell'unico motivo di ricorso, in relazione all'ipotesi enucleata dall'art. 375 n. 5 c.p.c., ravvisandosi sia l'adeguatezza e la logicità della motivazione della sentenza impugnata nella presente sede di legittimità (donde la sua incensurabilità ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) sia la sua conformità alla legittima interpretazione dell'art. 1141, co. 1, c.c. >>.
Considerato,

peraltro, che risulta essere stata prodotta in atti,

antecedentemente alla celebrazione dell’adunanza camerale (con istanza del 18 dicembre
2013, depositata in cancelleria in data 8 gennaio 2014), formale atto di rinuncia al ricorso
da parte del difensore legittimato dei ricorrenti, ritualmente notificato alla controricorrente, i
cui difensori hanno, altresì, depositato apposita dichiarazione di accettazione della
intervenuta rinuncia (preventivamente notificata al difensore delle parti ricorrenti);
ritenuto, quindi, che ricorrono le condizioni previste dall’art. 390 c.p.c. per la
conseguente dichiarazione, ai sensi del successivo art. 391 c.p.c., dell’estinzione del
5

presupposti previsti dall’art. 1158 c.c.).

presente giudizio di legittimità, senza che occorra adottare alcuna pronuncia sulla
regolazione delle relative spese, in virtù della formalizzata adesione alla sopravvenuta
rinuncia (avendo, oltretutto, i rispettivi difensori delle parti instato per la compensazione
integrale degli oneri economici giudiziali).
P.Q.M.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 9 gennaio 2014.

La Corte dichiara l’estinzione del presente giudizio di cassazione.

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