Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3847 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. II, 17/02/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 17/02/2020), n.3847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12922-2016 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA COLA DI

RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA NARDONE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO ZADRA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di GENOVA, RG 2407/2014 depositata

il 11/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

Fatto

PREMESSO

CHE:

1. Con ricorso D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 15, O.M. proponeva opposizione avverso il provvedimento con cui il Pubblico Ministero aveva in suo favore liquidato la somma di Euro 6.385,20 a titolo di spese e quella di Euro 1.878 a titolo di compenso, a fronte di una richiesta complessiva di Euro 446.064,60, poi ridotta a Euro 294.549,45, in relazione alla custodia di una imbarcazione oggetto di sequestro probatorio penale.

Il Tribunale di Genova, con ordinanza resa l’11 gennaio 2016, ha respinto l’opposizione, confermando integralmente il decreto opposto.

2. Contro l’ordinanza ricorre per cassazione O.M..

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

a) Il primo motivo lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56, comma 1 e art. 58, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Tribunale ritenuto indispensabile, ai fini della liquidazione delle spese di custodia, il fatto che esse fossero già state “sostenute”, “pagate” dal custode “di tasca propria”, errando nell’applicazione congiunta dei richiamati artt. 56 e 58, quando il solo art. 58 trova applicazione in materia di custodia. Il motivo è infondato. Il Tribunale di Genova ha osservato che, conformemente a quanto in generale previsto per gli ausiliari dall’art. 56, comma 1 (“gli ausiliari del magistrato devono presentare una nota specifica delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico e allegare la corrispondente documentazione”), l’art. 58, comma 3, dispone per il custode di beni sottoposti a sequestro penale probatorio che “sono rimborsabili eventuali spese documentate se indispensabili per la specifica conservazione del bene”. Le due disposizioni, pertanto, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, richiedono entrambe che le spese, per essere rimborsate, siano state sostenute e che ciò sia documentalmente provato, con la specificazione che al custode – che è ausiliario del giudice (cfr., da ultimo, Cass. 17375/2018) – sono rimborsate solo quelle che vengano ritenute “indispensabili” per la specifica conservazione del bene. D’altro canto, l’art. 265 c.p.p., che disponeva che “le spese occorrenti per la conservazione e per la custodia delle cose sequestrate per il procedimento penale sono anticipate dallo Stato, salvo all’erario il diritto di recupero”, è stato abrogato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 299, comma 1.

Pertanto, correttamente il Tribunale di Genova ha concluso che, considerato che è pacifico che il ricorrente non ha nè allegato nè dimostrato di aver sostenuto le spese, ma che ha unicamente depositato la richiesta di pagamento da parte della società Oromare s.p.a., la domanda di rimborso era infondata.

b) Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56, commi 3 e 4 e art. 58, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Tribunale ritenuto applicabile al caso in esame il richiamato art. 56, che prescrive la necessaria autorizzazione del Pubblico Ministero per l’utilizzo di prestazioni da parte di terzi, quando invece in materia di custodia, che trova la sua disciplina unicamente nel citato art. 58, non è affatto necessaria alcuna “preventiva autorizzazione”, in quanto il presupposto per la liquidazione delle spese è che ne venga riconosciuta l’indispensabilità.

Il motivo non può essere accolto. Il rilievo del Tribunale circa la mancata, preventiva autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria al ricorrente ad avvalersi, per la custodia, delle prestazioni della società Oromare è effettuato dal Tribunale “in subordine e per mere ragioni di completezza”, così che il motivo è da ritenersi assorbito dal rigetto del precedente primo motivo.

c) Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58, comma 3 e art. 2051 c.c., nonchè del principio generale di divieto di reformatio in peius, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Tribunale ritenuto non liquidabili le spese ritenute rimborsabili dal provvedimento del Pubblico Ministero.

Il motivo è infondato. Il Tribunale, dopo aver concluso per l’infondatezza della domanda di liquidazione delle spese, ha tuttavia confermato la liquidazione disposta dal Pubblico Ministero, proprio in applicazione del principio di divieto della reformatio in peius invocato dal ricorrente.

d) Il quarto motivo denuncia ulteriore violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Tribunale ritenuto determinate spese per i servizi resi da Oromare quali attività tecniche autonome non rientranti nell’attività di normale custodia e perciò bisognevoli, ai sensi dell’art. 58, comma 4 di un autonomo incarico da parte della Procura della Repubblica, quando invece tali attività avrebbero costituito parte integrante dell’attività stessa di custodia.

Il motivo non può essere accolto: a prescindere dal rilievo per cui l’autonomia o meno di determinate attività rispetto alla normale custodia del bene sequestrato è valutazione in fatto che spetta al giudice di merito, la valutazione è effettuata dal Tribunale – come l’osservazione relativa alla necessità, comunque, della preventiva autorizzazione – per mera completezza, così che la doglianza va ritenuta assorbita dal rigetto del primo motivo.

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 8.000, oltre spese prenotate a debito.

Sussistono, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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